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PREPARAZIONE ITALIANO ORALE. PROMESSI SPOSI EPICA. I PROMESSI SPOSI. STORIA, RELIGIONE, LINGUA. Alessandro Manzoni scrive nell’ Ottocento , è un milanese ed ambienta il romanzo in questa zona: Milano e Lago di Como nei pressi di Lecco.
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PREPARAZIONE ITALIANO ORALE PROMESSI SPOSI EPICA
STORIA, RELIGIONE, LINGUA Alessandro Manzoni scrive nell’Ottocento, è un milanese ed ambienta il romanzo in questa zona: Milano e Lago di Como nei pressi di Lecco. Egli scrive nell’Ottocento ma ambienta il romanzo nel ‘600 in Lombardia. Perché lo ambienta in questo periodo? Perché ritiene che in quel secolo si potesse meglio vedere il contrasto fra bene e male; il bene era espresso dalle persone disponibili e solidali verso gli altri, mentre il male era raffigurato da coloro che commettevano prepotenze e violenze verso gli altri.
Perché ambienta il romanzo in quel tempo? Perché proprio in quel periodo la Lombardia era governata dai sovrani spagnoli, mentre in Italia vi erano dei Governatori. Era un governo molto debole, ricco di leggi che però non erano quai mai messe in pratica, soprattutto contro le persone più potenti. • La storia ha una grande funzione in questo romanzo, che può essere definito “romanzo storico”, abbastanza nuovo rispetto ai precedenti: non “inventa” nulla riguardo alla storia, ma l’autore si documentò moltissimo prima di scriverlo. I suoi predecessori, scrittori di romanzi storici, tendevano ad inventare molto. Nel romanzo di Manzoni, anche i personaggi comprendono persone realmente esistite ed altre inventate, ma le seconde sono però “verosimili”: avrebbero potuto vivere in quei tempi e luoghi. La prova è data dalla sua approfondita documentazione: aveva letto opere di storici, fonti indirette, ma anche fonti dirette: le leggi (grida) che venivano diffuse e scritte nel seicento.
Altro aspetto molto importante è la religione. Manzoni è cattolico e crede in un dio superiore. Crede che tutte le persone devano avere gli stessi diritti, di fronte a Dio e agli uomini. Si rende conto che certi esponenti della Chiesa sono “criticabili”, mentre altri sono quasi santi. Ciò si lega al concetto della “Provvidenza divina”: ente superiore che guida le vite degli uomini, essa fa si che possa sempre vincere il bene sul male: anche se non sempre si esprime in terra, ma il bene può trionfare anche dopo la morte. • Altro argomento importante è il linguaggio. Manzoni vive nei primi anni dell’Ottocento, quando non c’era ancora l’Unità d’Italia, siamo negli anni Venti dell’Ottocento. L’Italia era suddivisa in vari stati in mano a diversi sovrani ed era divisa anche nel linguaggio. La sua ambizione era quella di unire l’Italia con una lingua comune. Ritiene che non sia la sua la lingua adatta (il milanese era ricco di espressioni dialettali ed errori), ma che sia quella toscana la lingua giusta. La Toscana era per lui la culla della lingua italiana, patria di Dante Alighieri, che scrisse in volgare (trasformazione del latino). Le più grandi opere sono state infatti scritte in volgare. Manzoni scrisse allora di essere andato a “sciaqquare i suoi panni in Arno”, metafora per dire che era andato a conoscere meglio la lingua toscana.
Questo romanzo subì molte trasformazioni per quasi 20 anni, anche nel titolo: da Fermo e Lucia ai Promessi Sposi. Fermo si trasformò poi in Renzo.
INTRODUZIONE Manzoni “finge” di aver trovato un manoscritto di un autore del ‘600,di averlo letto e di aver sentito la necessità di riscriverlo; è una scusa per fare una critica della lingua del 600. E’ una bella storia e siccome, dice, non è la sua storia, la riscrive, ma nel momento in cui si accinge a questa oiperazione si accorge che è una lingua molto complessa e piena di errori. Pensa allora di riscriverla con il suo linguaggio, che pensa di abbellire andando a vivere per un po’ a Firenze. Trascive una pagina in lingua seicentesca, dimostrando che quel linguaggio è brutto e lontano dalla gente. Sicuramente il suo romanzo sarebbe stato letto comunque da persone di cultura, con una certa preparazione intellettuale.
INTRODUZIONE DEL MANZONI • La storia è una guerra illustre contro il tempo, perché toglie al tempo gli anni passati, finiti, e li richiama in vita, passandoli in rassegna e cercando di schierarli di nuovo in battaglia. Metafora: la storia fa rivivere degli anni già defunti, rendendoli vivi. • Gli storici (ironico= illustri campioni) che in questa guerra contro il tempo, guadagnano tanta fama facendo questo lavoro, catturano solo le cose più importanti e illustri, dei grndi condottieri e principi, trascurando la gente comune. La presentano con un linguaggio raffinato facendone quasi un’opera letteraria, non chiara. Però, l’anonimo dice, io che sono una persona comune, non devo addentrarmi in questi argomenti così alti (di potenti), nè di politica (maneggi= cosa sporca) e neppure di guerra. Dietro tutte queste parole ironiche, c’è la critica alla storia, come venuiva fatta fino ad allora.
“Solo che ho avuto notizia di fatti importanti, anche se capitarono a delle genti umili (meccaniche) povere, mi accingo a lasciarne memoria alla storia, ritengo di doverli lasciare ai posteri. In essa si vedrà in un piccolo teatro (Lombardia) avverarsi delle tragedie terribili, scene di grande malvagità, intervallate da scene di grande bontà (si contrasteranno nella storia il bene ed il male)”. • Tenendo presente che le nostre terre (climi) sono sotto la direzione di un re cattolico, di un governatore mandato dal re cattolico (eroe di nobile origine) che per un periodo limitato di tempo ne tiene il governo, e degni senatori e magistrati, re-sole, governatore-luna, magistrati-pianeti. Costoro vengono paragonati ad Argo e Briareo (che avevano 100 occhi e braccia, potrebbero fare tanto, ma interviene contro di loro il diavolo) Siccome però avvengono episodi di tale malvagità che non possono essere imputati a personaggi così degni e bravi, siccome mentre loro govenano in modo così degno succedono delle cose così malvagie, altra causa non possiamo dire se non che sia colpa del diavolo (ironico).
L’ironia è del Manzoni, emergono i suoi pensieri, si nasconde conme autore nel pensiero dell’anonimo, ma in realtà è lui a scrivere questa pagina. • Perciò, narrando questo racconto che è avvenuto mentre io ero giovane (l’anonimo) e quindi la maggior parte dei protagonisti non esistano più e siano morti, per rispetto nei loro confronti e delle loro famiglie, io tacerò i loro veri nomi e i nomi delle località. Ma non ritengo che il mio lavoro sia mono valido per questo, la sostanza rimane (sostanza), manca solo il sovrappiù (accidenti), facendo riferimento a due termini della filosofia. • Manzoni ha dimostrato che, scrivere in una lingua faticosa per chi legge, non fa andare avanti volentieri nella lettura. Sono presenti periodi molto lunghi, numerose metafore e cirazioni colte, un misto di errori ortografici e parole comuni mescolate con un lessico elevato: ciò non fa piacere al lettore.
L’introduzione scritta da Manzoni può essere divisa in due parti, poiché in esse il linguaggio è diverso. • Infatti, una parte è scritta nella lingua del Seicento (Manzoni viveva nell’Ottocento), perché l’autore finge di aver ritrovato un manoscritto del Seicento che narra una storia ambientata nel milanese e sul lago di Como in quei tempi. Decide di riscrivere queste vicende nella lingua più comprensibile e corretta del suo tempo, l’Ottocento. • Manzoni mette in luce l’argomento fondamentale: si tratta di un romanzo storico ambientato nel periodo in cui in Lombardia governavano gli spagnoli. • La differenza fondamentale è che nei romanzi storici si narrano le storie dei personaggi illustri (re, signori, grandi condottieri), mentre lui decide di parlare dellepersone meccaniche, che fanno lavori umili. Così esprime la sua critica alla storiografia a lui contemporanea: la storia è fatta e subìta principalmente dai più umili.
In apparenza fa delle lodi ai reali spagnoli cattolici, ma, in realtà, sotto sotto vi è una critica verso di loro: è un governo che non fa applicare ed eseguire le leggi, soprattutto quando si tratta di colpire i potenti. • Altro concetto importante è la lotta fra il bene e il male, con la assai frequente vittoria di quest’ultimo, che spesso sovrasta l’uomo, specie nel secolo 17°. Infatti, prevalgono i prepotenti e le leggi colpiscono duramente solo i più deboli. • L’aspetto religioso è molto forte: esistono persone molto buone ed altre malvage. • I personaggi sono verosimili, potrebbero essere esistiti con quelle caratteristiche. Allo stesso tempo inserisce anche persone veramente esistite (Cardinale Borromeo). • Altro aspetto è quello linguistico: l’Italia era divisa in lingue e dialetti. Lui è alla ricerca di una lingua unica, unitaria, adatta a tutte le persone, sfrondata di tutti gli elementi retorici, molto presenti nella lingua del Seicento (metafore, citazioni colte, parole in latino, dilatteli, errori grammaticali).
Si rende conto che non è il caso di esprimere con precisione i nomi e luoghi, per rispetto verso le persone, ma anche perché la sostanza del suo lavoro rimane anche se questi “accidenti” non vengono percisati. • Il romanzo inizia con una domanda retorica, la cui risposta è prevedibile: • “Ma quando io avrò fatto la fatica di capire tutto questo manoscritto, chi andrà a rileggerlo?” Nessuno, è la sua risposta! • Solo la prima pagina è molto elaborata, ma poi il testo continua con uno stile più comprensibile. Manzoni si lamenta di come sia sgrammaticato il manoscritto. Parla di idiotismi-errori lombardi, dialettali, di una retorica pedante e nell’insieme di una lingua di cattivo gusto: rozzo ed elegante insieme (falso), il Seicento è il secolo del Barocco. • Sembra aver deciso di lasciar perdere tutto, ma nell’atto di chiudere il manoscritto gli dispiace tralasciare una storia che gli era piaciuta così tanto. Decide allora di trascriverlo con un’altra lingua, la sua. • Leggendolo si era reso conto di alcune stranezze e particolarità dei fatti narrati, si dedicò, allora, ad una ricerca per vedere se potessero avere un fondo di verità questi avvenimenti; consulta fonti dirette = i documenti di allora, leggi ecc. e indirette = quello che scrivono gli storici del tempo, e vi scoprì episodi simili a quelli narrati e personaggi effettivamente esistiti.
PRIMO CAPITOLO Il primo capitolo ha carattere descrittivo: vengono descritti i luoghi in cui accadono i primi avvenimenti. Il racconto è ambientato in un paesino collinare nella zona del lago di Lecco, di cui non viene volutamente citato il nome. Al confluire dell’Adda, emissario del Lago di Como, in un primo punto il bacino è stretto, ma poi si allarga e vi è un ponte che congiunge le due rive. Le due montagne che fiancheggiano la zone, San Martino e Resegone, si possono vedere già da Milano. Manzoni parla con molto amore e familiarità di questi posti, vi andava con la famiglia a villeggiare. Era una zona ricca di villaggi e casali, di cui Lecco è il principale e si affaccia sul lago, al giorno d’oggi (Ottocento) egli dice che stà diventando una città, ma a qui tempi (Seicento), quando era solo un borgo, Lecco aveva anche un castello.
Segnala già i difetti del governo spagnolo: una guarnigione di soldati spagnoli vi risiedevano e avevano la facoltà di fare ciò che volevano: rubavano nei campi, dalle viti l’uva, usavano prepotenza verso le donne della zona, che fossero sposate o non (onore di alloggiare un comandante = sarcasmo erano dei ladri, vantaggio =sarcasmo rubavano il raccolto, insegnavano la modestia alle fanciulle = erano prepotenti, carezzavano le spalle a mariti e padri = li prendevano in giro, erano violenti verso le loro donne, alleggerire la fatica ai contadini = rubavano i loro raccolti). • Lungo la riva del Lago di Como salivano strade e stradine che portavano a bei punti di vista sullo stesso. E’ un paesaggio lacustre ma vi è anche la montagna; quando ci si sposta il panorama continua a cambiare. E’ un luogo selvaggio, poco abitato, ma talvolta vi sono delle case sparse.
Descrizione del personaggio Don Abbondio Per una di queste stradine tornava verso casa, sul fare della sera, il 7 novembre 1628, il curatoDon Abbondio (personaggio inventato), che leggeva il breviario e dava calci ai sassi spostandoli da davanti a se’ ( come se questi sassi fossero gli ostacoli che lui incontrava nella sua vita: infatti era una persona che non affrontava i problemi, ma li scansava), questo piccolo particolare ci fa capire la psicologia del personaggio. In quei luoghi risiedeva l’esercito spagnolo; i soldati davano fastidio alle ragazze, compievano violenze, rubavano i raccolti dei contadini. Era una categoria sociale privilegiata, infatti, facevano ciò che volevano e non erano puniti da nessuno.
I Bravi • Manzoni scrive che i bravi sono una specie ora, nell’Ottocento, del tutto perduta, estinta, ma allora, nel Seicento, era floridissima in Lombardia, cioè esisteva da molto tempo, nonostante il Governo avesse fatto di tutto per eliminarli. Difatti, il governo aveva emanato delle leggi = grida che il Manzoni ripropone (scritte in corsivo nel testo, per far capire che si era a lungo documentato su manoscritti originali); si chiamavano così, grida, perché venivano enunciate ad alta voce per la strada dai banditori, ciò poiché quasi nessuno sapeva leggere (es. grida del 8 aprile 1553, legge molto chiara, che definisce chi sono i bravi e intima ad essi di sparire entro 6 giorni). • Lo Stato spagnolo aveva varato in quegli anni molte leggi, ma era stato incapace di applicarle. I vari governatori di Milano intimarono a queste persone, che lavorano al servizio dei signorotti locali, compiendo per loro quegli atti di violenza e sopraffazione che ritenevano necessari, di andarsene, ma senza ottenere esito positivo.
I nobili si circondavano di questi delinquenti e li tenevano nei loro palazzi o castelli, mantenendoli e preservandoli dalla giustizia, ma in cambio essi dovevano svolgere qualunque ordine loro imposto. Nessuno poteva andare a prenderli nei castelli perché vigeva il “diritto di asilo” (sancito ancora in epoca romana da Costantino ma ancora vigente): questi erano luoghi privilegiati in cui le categorie privilegiate (nobili= in palazzi e castelli, clero= in chiese e monsteri) godevano di priviliegi. • L’incontro tra Don Abbondio e i bravi. Che i due personaggi descritti (i bravi) stessero aspettando qualcuno non c’era dubbio, ma ciò che più stupì Don Abbondio è il fatto che aspettassero proprio lui. Difatti gli andarono incontro indicandolo. Lui spiavò le loro mosse, ma nel frattempo fu assalito da mille pensieri: cercò una via di fuga, pensò se si fosse comportato male contro qualcuno, ma così non era stato. • I pensieri di Don Abbondio sono espressi con il discorso indiretto (inizialmente legato e poi più libero).
Affrettò il passo, cercando dentro di se’ la quiete per farsi vedere sereno e tranquillo dai bravi, ma quando si trovò di fronte a loro le prime parole che disse fra se’ furono: “ci siamo” (discorso diretto). • Don Abbondio risponse subito ai due bravi: “Cosa comanda”, dimostrando che era pronto ad ubbidire. I due bravi gli chiesero se avesse intenzione di sposare in quel giorno Renzo Tramaglino e Lucia Mondella e gli intimarono di non farlo, dicendo: “questo matrimonio non sa da fare”. • I due bravi erano diversi tra loro; uno parlava di più ed era un po’ più diplomatico, l’altro parlava poco (con varie bestemmie) ma era più violento e faceva più paura. • Don Abbondio dimostrò da subito di essere un personaggio particolare diecando a proposito dello sposalizio:“fanno i loro pasticci fra di loro”, che non è cosa comune da dire riguardo ad una giovane coppia che decide di sposarsi in chiesa! Ma è un timoroso e dimostra di essere subito pronto a cedere alle pressioni dei più forti.
“L’illustrissimo signore, il nostro padrone Don Rodrigo, lo manda a salutare”, così lo salutano i bravi, ma solo per fargli capire chi li manda, perciò citano il nome del nobile del luogo, che difatti si circondava di bravi per compiere dei delitti. • Non a caso, il nome del signore fu nella mente di Don Abbondio fu come un lampo (similitudine) che illuminò e fece accresce il suo terrore, ciò gli fece fare un grande inchino. I due bravi gli fecero stringere una promessa e Don Abbondio si mostrò subito disposto all’ubbidienza, ma, se prima avrebbe fatto di tutto per scansarli (i due bravi), adesso cercò di rivolgere ancora loro la parola, tentando un compromesso. Ma questi se ne andarono canticchiando una canzoncina sconcia. Lui se ne ritornò a casa con le gambe “aggranchiate” = legate come quelle di un granchio (metafora che paragona le sue gambe e la sua andatura a quella del granchio).
IL PERSONAGGIO DI DON ABBONDIO Per una di queste stradine tornava verso casa sul fare della sera (il sole cala in mezzo alle montagne e dilaga una luce color porpora), il 7 novembre 1628, il curatoDon Abbondio, dicendo il suo offizio- leggendo il breviario. Il manoscritto non dice di che famiglia egli fosse (è un personaggio inventato). Giunto ad una svolta alzò gli occhi e vide la strada che si divideva in due (ad Y), una portava alla sua chiesa, l’altra ad un tabernacolo e scendeva poi verso il lago. Svoltando vide due uomini che stavano in modo sguaiato e da prepotenti, appoggiati ad un muretto. L’abito ed il portamento non lasciavano dubbi su chi fossero. • Quindi, Don Abbondio lo conosciamo fin dal primo incontro con i bravi, quando essi si rivolgono a lui, prontamente risponde: “Cosa comanda”, dimostrando che era pronto ad ubbidire.
Don Abbondio dimostra da subito di essere un personaggio particolare dicendo a proposito dello sposalizio:“fanno i loro pasticci fra di loro”, che non è cosa comune da dire riguardo ad una giovane coppia che decide di sposarsi in chiesa! Ma è un timoroso e dimostra di essere subito pronto a cedere alle pressioni dei più forti. • E quando sente pronunciare il nome di don Rodrigo fu come un lampo che lo illuminò e fece accresce il suo terrore, facendogli fare un grande inchino. I due bravi gli fecero stringere una promessa e Don Abbondio si mostrò subito disposto all’ubbidienza, ma, se prima avrebbe fatto di tutto per scansarli (i due bravi), adesso cercò di rivolgere ancora loro la parola, tentando un compromesso.
Nella DIGRESSIONE scopriamo che Don Abbondio “non era natocon uncuor di leone” (cuor di leone = metafora, ma la negazione del contrario, non era nato con un cuor di leone = è unalitote), quindi non era coraggioso. • Attraverso la metafora dell’animale “senza artigli né zanne” = privo di armi di difesa e di coraggio, lo descrive come indifeso in mezzo ad animali feroci. Certo non mancavano le leggi, che anzi erano tantissime e particolareggiate, ma non venivano applicate e fatte eseguire.
Don Abbondio è il primo personaggio ad apparire nel romanzo. La sua figura è introdotta dal Manzoni tramite una descrizione focalizzatrice del paesaggio che lo circonda: la tranquillità del paesaggio che lo circonda, il modo in cui cammina, sono tutti simboli della sua vita tranquilla e del suo modo superficiale di vivere il ministero del sacerdozio. • Molto pacata, ma soprattutto dettata dalla paura (come viene indicato nel capitolo 2, egli non aveva certo un cuor di leone), è anche la reazione che ha Don Abbondio all'incontro con i bravi (gli "scagnozzi" a servizio dei signorotti locali) i quali senza mezzi termini gli raccomandano di non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia con la celeberrima affermazione “questo matrimonio non s'ha da fare, né domani, né mai”.
Don Abbondio allora torna a casa impaurito, talmente condizionato dalle minacce dei bravi che, con astuzia e grazie all'uso di alcune frasi latine, lingua sconosciuta al povero Renzo, riesce a rimandare la celebrazione delle nozze, ma senza rivelarne il motivo, cosa questa che farà invece la sua donna di casa, Perpetua. • Una delle conseguenze di questa sua indole timida e paurosa è la reticenza: don Abbondio in più occasioni non ha il coraggio e la forza di completare o di esporre completamente i suoi pensieri. • Il curato dimostra in più passi del romanzo una sfiducia nei confronti delle autorità ecclesiastiche: ad esempio, nel secondo capitolo rifiuta in maniera categorica l'ipotesi di chiedere l'aiuto al cardinale per risolvere la questione del matrimonio tra i due sposi. • Questi atteggiamenti sono dovuti soprattutto al suo modo di vivere il ministero sacerdotale, dettato dai motivi della sua scelta di vita: don Abbondio, come viene specificato nel capitolo 2, non si è fatto curato per motivazioni di fede, bensì perché a quei tempi il riunirsi in corporazioni era l'unico modo per i più deboli di non restare sopraffatti.
LE LEGGI AI TEMPI IN CUI E’ AMBIENTATO IL ROMANZO • Il governo aveva emanato delle leggi = grida che il Manzoni ripropone (scritte in corsivo nel testo, per far capire che si era a lungo documentato su manoscritti originali); si chiamavano così, grida, perché venivano enunciate ad alta voce per la strada dai banditori, ciò poiché quasi nessuno sapeva leggere (per esempio la grida del 8 aprile 1553, legge molto chiara, che definisce chi sono i bravi e intima ad essi di sparire entro 6 giorni).
QUALI DOCUMENTI HA CONSULTATO MANZONI PER ARRIVARE ALLA VEROSIMIGLIANZA La storia ha una grande funzione in questo romanzo, che può essere definito “romanzo storico”, abbastanza nuovo rispetto ai precedenti: non “inventa” nulla riguardo alla storia, ma l’autore si documentò moltissimo prima di scriverlo. I suoi predecessori, scrittori di romanzi storici, tendevano ad inventare molto. Nel romanzo di Manzoni, anche i personaggi comprendono persone realmente esistite ed altre inventate, ma le seconde sono però “verosimili”: avrebbero potuto vivere in quei tempi e luoghi. La prova è data dalla sua approfondita documentazione: aveva letto opere di storici, fonti indirette, ma anche fonti dirette: le leggi (grida) che venivano diffuse e scritte nel seicento.
La differenza fondamentale è che nei romanzi storici si narrano le storie dei personaggi illustri (re, signori, grandi condottieri), mentre lui decide di parlare dellepersone meccaniche, che fanno lavori umili. Così esprime la sua critica alla storiografia a lui contemporanea: la storia è fatta e subìta principalmente dai più umili. I personaggi sono verosimili, potrebbero essere esistiti con quelle caratteristiche. Allo stesso tempo inserisce anche persone veramente esistite (Cardinale Borromeo).
2° capitolo • Don Abbondio si trova di fronte a due pericoli, quello imminente di Renzo e quello di Don Rodrogo, più lontano. Don Abbondio si trova a dover rivelare al Renzo il nome di Don Rodriogo. • Renzo si allontana dalla casa di Don Abbondio provando una gran rabbia nei confronti di Don Rodrigo, tanto da pensare di volerlo uccidere. Pensa di aspettarlo fuori dal suo palazzo ed ucciderlo. Allo stesso tempo è triste per quello che è successo; sa di essere dalla parte del più debole e che non sarà facile uscirne tranquillamente. • Finché compare nella sua mente un pensiero, quello di Lucia, che fa tornare in lui i sentimenti più naturali e sereni. Non è più violento. Pensa che se Don Rodrigo se l’è presa a tal punto da aver impedito il loro matrimonio, forse avrà già dato dei segnali alla sua fidanzata Lucia del suo interesse.
Si dirige a casa di Lucia e trova una bambina, Bettina, figlia dei vicini di casa (Manzoni delinea in modo preciso anche i personaggi che compaiono una sola volta nel romanzo). Le chiede di chiamare Lucia, ma in disparte. La bimba ha la caratteristica di essere responsabile (si coglie in questa figura il senso di responsabilità che può essere presente anche nei più piccoli se viene loro spiegato bene il motivo). • Lucia si trova nella camera con delle amiche e sta indossando l’abito da sposa, con una acconciatura molto particolare. • Viene invitata in disparte dalla bimba che le dice di scendere che c’è Renzo che le vuole parlare. Lucia scende e lo vede con un viso triste. Lui riferisce che Don Abbondio ha rimandato il matrimonio a causa di Don Rodrigo e lei afferma: “ma fino a questo segno (= punto) !”. Questa frase fa capire a Renzo che lei è già al corrente della situazione. Chiede spiegazioni a Lucia, ma lei dice che deve mandar via le amiche. Lo fa motivando il rinvio del matrimonio con la malattia che ha colpito Don Abbondio. Le giovani amiche se ne vanno ma, curiose, si recano sotto la finestra del prete e Perpetua conferma la malattia del curato.
3° capitolo • Lucia entra nella stanza al piano terra dove è presente la madre Agnese e Renzo; entrambi sono dispiaciuti per il fatto che lei non abbia confidato nulla a loro. Luci racconta che pochi giorni prima, tornando dalla filanda, aveva incontrato Don Rodrigo con un amico (il cugino= Conte Attilio) e loro avevano cercato di intrattenerla con chiacchere non belle (figura retorica= litote) e aveva sentito alla fine che Don Rodrigo diceva: “scommettiamo?”. Don Rodrigo era invaghito di Lucia e aveva fatto una scommessa con il cugino che sarebbe riuscito a sedurla. • Lei si era confidata con Padre Cristoforo, suo confessore. Non si era confidata con la madre per non rattristarla, ma anche per non far girare la chiacchera (temeva che la madre dicesse in giro per il paese la cosa: Agnese era un po’ pettegola), tanto più che con il matrimonio imminente sarebbe passato tutto. Padre Cristoforo le aveva detto di affrettare il matrimonio, ecco perché lei si era trovata a dover dire a Renzo di affrettare le nozze
Con un misto di tenerezza mesta (triste) e rabbiosa Renzo promette di fargliela pagare a Don Rodrigo. • Lucia chiede a Renzo di andare lontani, ma non sono ancora sposati e non possono andarsene insieme: non sarebbero nelle regole. Agnese consiglia a Renzo di andare a Lecco dal Dottor Azzeccagarbugli (soprannome di un avvocato molto famoso a Lecco) che è capace di aiutare la gente, perché conosce il diritto ed è capace di aiutare gli umili. La cultura di Agnese è fatta di frasi fatte, modi di dire e proverbi popolari. • Anche Renzo lo conosce per sentito dire. Prende 4 capponi e si dirige dall’avvocato pensando alla sua disgrazia e al discorso da fare ad Azzeccagarbugli. • I poveri capponi tenuti per le zampe dalle mani agitate di Renzo, spesso si beccano tra loro, come fanno troppo frequentemente i compagni di sventura (coloro che sono in un momento di disgrazia, invece di aiutarsi cercano di farsi del male l’uno con l’altro). Manzoni prende spunto dalle azioni degli animali, per fare un ragionamento sugli uomini che, in effetti, non sono molto meglio degli animali.
IL PERSONAGGIO RENZO TRAMAGLINO • Renzo Tramaglino è uno dei protagonisti del romanzo: egli è infatti il promesso sposo di Lucia. • Nella descrizione del Manzoni appare come un contadino ingenuo e ignorante, assiduo ed onesto lavoratore, animato da grande forza di volontà che gli permette di affrontare tutte le situazioni, a volte cacciandosi in guai seri. • È un ragazzo buono ed onesto ed ha una personalità paesana, semplice e sincera. Non si pone troppi problemi nell'agire, anche in modo eccessivo, ed a volte ha dei ripensamenti sulle proprie azioni: ad esempio, nel capitolo 2 si infuria con don Abbondio, chiedendo poi perdono per declinare la propria ira verso il vero responsabile del sabotaggio, don Rodrigo.
Anche in altre occasioni si dimostra impulsivo ed attivo: come quando appoggia in pieno il piano del matrimonio clandestino di Agnese e fa di tutto per convincere Lucia a parteciparvi o quando ingenuamente confida I sui problemi ad Azzeccagarbugli, senza capire con chi sta parlando. • Entrando dall’Avvocato Renzo è preso dallo sconforto che può cogliere un illetterato di fronte ad un uomo di cultura. Si rincuora pensando ai capponi: almeno ha modo di ripagarlo. • Chiede del dottore e la serva, vedendo i capponi, cerca subito di impossessarsene; era avvezza (=abituata) a tali doni. • L’avvocato lo fa accomodare nel suo studio, che somiglia molto a lui (libri vecchi e polverosi = poco letti, una gran confusione sulla tavola = anche lui fa molta confusione nei suoi pensieri, le gride = leggi, un seggiolone molto consumato, ricoperto di pelle ma con borchie cadute da tempo e lui con indosso una toga consumata dagli anni, ma che ora non indossa più = non pratica da anni in tribunale e la usa per casa).
Chiude la porta e chiede a Renzo cosa vuole. Il giovane chiede se si può essere penalizzati se si minaccia un curato affinché non celebri un matrimonio. L’avvocato dice che si trattava di un caso chiaro e contemplato nelle leggi = grida. Volendo dimostrarglielo cerca nel disordine una grida del 1627. La tiene aperta e leggendola chiarisce: … quel prete non faccia ciò che gli è tenuto…contro i contravventori si procede a pena pecuniaria e corporale o galera, fino alla morte…c’è proprio tutto! • E’ una legge, un documento diretto che fu consultato dal Manzoni e gli ispirò tutto il romanzo. A quel tempo succedeva infatti, che i prepotenti potessero vietare addirittura i matrimoni. Le leggi venivano scritte in base alle necessità e agli accadimenti del tempo. • Ma Azzeccagarbugli pensa che Renzo sia un bravo, equivoca, ed è comunque disposto ad aiutarlo. “Vi siete fatto tagliare il ciuffo” (il ciuffo apparteneva ai bravi, che lo usavano per nascondersi in caso di assalto). Agnese credeva aiutasse la povera gente, invece scopriamo che aiuta i malandrini.
Il povero Renzo dice, “io non ho mai portato il ciuffo in vita mia”; ma l’avvocato afferma che lui deve sapere le cose come sono, sarà poi lui ad imbrogliarle. L’avvocato precisa che sarebbe andato da colui che lo aveva mandato a fare la prepotenza per chiedere per lui l’asilo. • Ha intenzione di aiutarlo, perché è convinto che sia un delinquente. Ma Renzo rimane statico, impassibile, stupito e meravigliato. Ma quando capisce l’equivoco Renzo lo ferma (similitudine del prestigiatore in piazza che tira fuori il nastro dalla bocca, metafora gli tronca il nastro in bocca) e gli dice la verità. • Si torna a casa di Lucia, nel periodo delle noci, è autunno, arriva un frate viaggiatore, Fra’ Galdino, che racconta una leggenda.
Nei primi versi del proemio e’ indicato l’argomento dell’Eneide: le imprese guerresche di Enea, il protagonista del poema. • Enea viene definito “devoto” “pius”, perche’ usa questo epiteto virgilio? - perche’ e’ devoto agli dei, - perche’ e’ rispettoso dei legami familiari e delle leggi della patria.
LE DIFFERENZE TRA L’EROE DI VIRGILIO E QUELLO DI OMERO : L’eroe di Virgilio è molto più umano e possiede le debolezze tipiche degli uomini. • A CHI SI RIVOLGONO I NARRATORI NELLE INVOCAZIONI DEL PROEMIO Alla musa • ATTUALMENTE LO STATO IN CUI ERA COLLOCATA CARTAGINE: È la Tunisia
NELL’ENEIDE CARTAGINE FU FONDATA DA: Didone • ANALOGIE TRA DIDONE ED ENEA La simpatia di Didone per i Troiani nasce spontanea in lei che ha dovuto affrontare una sorte analoga, travolta da mille affanni: l’esperienza del dolore per la perdita di persone care e l’allontanamento dalla patria (Tiro).