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Gli effetti della conquista romana sugli assetti socioeconomici della regio III. Lezione X. Gli effetti immediati della vittoria romana. La degradazione sociale di Lucani e Bruzi, privati del diritto di servire nell’esercito dopo la II guerra punica.
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Gli effetti della conquista romana sugli assetti socioeconomici della regio III Lezione X
Gli effetti immediati della vittoria romana • La degradazione sociale di Lucani e Bruzi, privati del diritto di servire nell’esercito dopo la II guerra punica. • La confisca di parte dei territori delle comunità ostili a Roma, soprattutto lucane e bruzie, che diviene ager publicus populi Romani. • Le prime confische sono operate dopo la guerra contro Pirro; altri provvedimenti in questo senso dopo la II guerra punica. • Parte dell’ager publicus sarà lasciato indiviso e sfruttato da grandi possidenti o da societates romane per la pastorizia e la silvicolura, parte accoglierà colonie di diritto romano e latino.
Aulo Gellio, Notti Attiche, X, 3, 18-19: umiliante punizione dei Bruzi • Quando il cartaginese Annibale si trovava con l’esercito in Italia e il popolo romano aveva combattuto alcune battaglie sfavorevoli, primi in tutta l’Italia i Bruzi passarono dalla parte di Annibale. I Romani sopportarono ciò di malanimo e quando Annibale abbandonò l’Ita-lia ed i Cartaginesi furono sconfit-ti, a causa di tale infamia non ar-ruolarono più i Bruzi come soldati, né li consideravano alleati, ma li assegnarono al posto degli schiavi ai magistrati che si recavano nelle province per assisterli e servirli. • Cum Hannibal Poenus cum exercitu in Italia esset et aliquot pugnas populus Romanus adversas pugnavisset, primi totius Italiae Bruttii ad Hannibalem desciverunt. Id Romani aegre passi, postquam Hannibal Italia decessit superatique Poeni sunt, Bruttios ignominiae causa non milites scribebant nec pro sociis habebant, sed magistratibus in provincias euntibus parere et praeministrare servorum vicem iusserunt.
La riduzione del territorio silano ad ager publicus • Un provvedimento che Dionigi di Alicarnasso, XX, 15 data alla conclusione della guerra contro Pirro. • Qualche studioso ha ipotizzato che il provvedimento menzionato da Dionigi vada spostato dopo la guerra annibalica, senza motivazioni del tutto convincenti. • Probabile che le requisizioni all’indomani della II guerra punica, ricordate da Appiano, si siano aggiunte alle precedenti confische, attestate per l’area silana da Dionigi.
OiJ Brevttioi eJkovnte" uJpotagevnte" JRwmaivoi" th;n hJmivseian th'" ojrei-nh'" parevdwkan aujtoi'", h} kalei'tai me;n Sivla, mesth; d j ejsti;n u{lh" eij~ oijkodomav~ te kai; nauphgiva" kai; pa'san a[llhn kataskeuh;n eujqev-tou: pollh; me;n ga;r ejlavth pevfu-ken oujranomhvkh" ejn aujth/', pollh; de; ai[geiro", pollh; de; piveira peuvkh ojxuvh te kai; pivtu" kai; fhgo;" ajmfilafh;" kai; melivai tai'" diarreouvsai" libavsi piainovmenai, kai; pa'sa a[llh baqei'a sunufaino-mevnh toi'" klavdoi" u{lh skiero;n ajpotelou'sa di j o{lh" hJmevra" to; o[ro". I Bruzi si sottomisero spontanea-mente ai Romani e cedettero loro metà della selva che si chiama Sila, ricca di alberi adatti all’edificazione di case, ad allestimenti navali e ad ogni altro genere di costruzioni. Vi crescevano abeti che toccavano il cielo, numerosi pioppi, resinosi pini, faggi, pini marittimi, ampie querce, frassini fecondati dalle acque che scorrono in mezzo, e ogni altro genere di albero che coi rami densi mantiene ombreggiato il monte per tutto il giorno. Dionigi di Alicarnasso, XX, 15: la riduzione del territorio silano ad ager publicus e il suo sfruttamento
∆Ex h|" hJ me;n e[ggista qalavtth" kai; potamw'n fuomevnh tmhqei'sa th;n ajpo; rJivzh" tomh;n oJlovklhro" ejpi; tou;" limevna" tou;" e[ggista katavgetai, pavsh/ diarkh;~ ∆Italiva/ prov" te ta; nautika; kai; pro;" ta;" tw'n oijkiw'n kataskeuav": hJ de; a[nw qalavtth" kai; potamw'n provsw kormasqei'sa kata; mevrh kwvpa" te parevcei kai; kontou;" kai; o{pla pantoi'a kai; skeuvh ta; katoikivdia, foravdhn uJp j ajnqrwvpwn komizomevnh: Gli alberi che crescono più vicini al mare e ai fiumi sono tagliati sino al ceppo in un unico pezzo e vengono spediti ai porti più vicini e forniscono a tutta l’Italia il fabbisogno per costruzioni navali ed edilizie; quelli invece che si trovano lontani dal mare e dai fiumi sono tagliati in diversi pezzi e trasportati a spalla dagli uomini; questi alberi forniscono remi, pertiche e ogni genere di attrezzi e suppellettili domestiche. Dionigi di Alicarnasso, XX, 15: la riduzione del territorio silano ad ager publicus e il suo sfruttamento
hJ de; pleivsth kai; piotav-th pittourgei'tai kai; parevcei pasw'n w|n i[smen hJmei'" eujwdestavthn te kai; glukutavthn th;n kaloumevnhn Brettivan pivttan: ajf j h|" megavla" oJ tw`n JRwmaivwn dh'mo" kaq j e{kaston ejniauto;n ejk tw'n misqwvsewn lambavnei prosovdou". Ma la parte più abbon-dante e resinosa viene utilizzata nella fabbrica-zione della pece, di cui fornisce la qualità più odorosa e soave che si co-nosca, la cosiddetta pece bruzia, dal cui appalto lo stato romano ricava ogni anno grosse entrate. Dionigi di Alicarnasso, XX, 15: la riduzione del territorio silano ad ager publicus e il suo sfruttamento
Ateneo, Deipnosofisti, V, 208 f: sfruttamento degli alberi ad alto fusto della Sila tw'n de; iJstw'n oJ me;n deuvtero" kai; trivto" euJrevqhsan, dusce-rw'" de; oJ prw'to" euJrevqh ejn toi'" o[resi th'" Brettiva" uJpo; subwvtou ajndrov": ka-thvgage d j aujto;n ejpi; qavlattan Fileva" oJ Tauromenivth" mhca-nikov". • Degli alberi [della Syracusia di Ierone II], il secondo e il terzo furono trovati senza difficoltà, mentre il primo fu trovato a fatica, sulle montagne del Bruzio, da un guardiano di porci. Lo portò giù al mare Phileas, ingegnere di Tauromenio.
Le specie arboree sfruttate nella Sila • Una notevole varietà, in relazione all’altitudine, alla vicinanza al mare, al grado di umidità. • ejlavth oujranomhvkh", “abete che tocca il cielo” (Abies): un legname usato in edilizia, nella carpenteria navale (navi da guerra, per la sua leggerezza), fornisce naturalmente una resina, ma era annoverato tra gli alberi da pece. • ai[geiro", “pioppo” (Populus Nigra): per la sua leggerezza impiegato per scudi; i rametti erano impiegati per legare le viti. • piveira peuvkh, “pino resinoso” (Pinus Nigra): un pino di montagna, in Calabria e Sicilia presente nella varietà di alta quota pinus nigra laricio Calabrica, uno degli alberi più imponenti d’Europa; molto apprezzato per la pece, era utilizzato anche in carpenteria navale (l’albero maestro della Syracusia).
Il pino laricio in Calabria • Diffuso oggi in tutta la Sila e, parzialmente, nelle Serre e in Aspromonte, tra le altitudini di 1100 e 1700 metri. • Uno degli alberi più imponenti d’Europa, raggiunge i 45 metri di altezza e un diametro alla base di 2 metri. • Nell’immagine uno dei pini larici della riserva naturale dei Giganti della Sila, in località Fallistro (Spezzano della Sila).
Le specie arboree sfruttate nella Sila • ojxuvh , “faggio” (Fagus): le numerose specie non erano distinte dagli antichi; Teofrasto consiglia l’uso di questo legname per fabbricare mobilio, oggetti al tornio, aste per le lance; sconsigliato in edilizia e in carpenteria perché teme l’umidità; i suoi frutti entravano nell’alimentazione suina e anche umana. • pivtu~, “pino” (tradizionalmente identificato con il Pinus Halepensis), un pino marittimo impiegato in carpenteria navale per sue forme sinuose e per la sua vicinanza al mare. • fhgo;" ajmfilafhv" , “ampia quercia” (Quercus Aegilops), la quercia vallonea; un legno resistente impiegato nelle costruzioni, anche navali, per la sua resistenza all’acqua; le sue ottime ghiande entravano anche nell’alimentazione umana. • melivai tai'" diarreouvsai" libavsi piainovmenai, “frassini resi verdeggianti dalle zone umide” (Fraxinus Excelsior): un legname flessibile, adatto alla fabbricazione di carri, remi, aste per lance.
Le tre tipologie di sfruttamento del legname silano secondo Dionigi • Sono in rapporto con la vicinanza al mare o a corsi d’acqua: • Gli alberi più vicini al mare e ai fiumi (Savuto, Crati, Neto) forniscono materiali per i cantieri navali e l’edilizia. • Gli alberi più lontani dalle vie di comunicazione erano tagliati e portati a dorso d’uomo. • Principalmente abeti e pini di montagna producono una pece assai grassa e profumata, la migliore nota nell’antichità. • Non rientrano nella schema di Dionigi di Alicarnasso i grandi pini larici, che crescevano nei luoghi più alti e distanti dai corsi d’acqua.
Il rapporto della silvicoltura con le altre attività produttive • La viticoltura: l’impiego di pali di legno per sostenere le viti, legate con rametti di frassino; l’uso della pece per impermeabilizzare i contenitori e aromatizzare il vino. • L’allevamento: i frutti delle querce vallonee (in inverno) e quelli dei faggi (in estate) davano cibo al bestiame. • La cantieristica navale: i diversi tipi di legname erano adatti alla costruzione di molte parti di una nave. • La produzione di armi: alcuni tipi di legname erano adatti alla fabbricazione di scudi e lance (o{pla pantoi'a nel senso stretto di “armamenti di ogni genere”). • La produzione ceramica: il legname (e il carbone vegetale) forniva combustibile per le fornaci.
Cicerone, Brutus, 85: tensioni nella Sila del II sec. a.C. • Memoria teneo Smyrnae me ex P. Rutilio Rufo au-disse, cum diceret adu-lescentulo se accidisse, ut ex senatus consulto P. Scipio et D. Brutus, ut opinor, consules de re atroci magnaque quaere-rent. • Mi ricordo di aver sentito raccontare a Smirne da P. Rutilio Rufo un episodio avvenuto quando egli era un ragazzino: per decreto del Senato i consoli, mi pare P. Scipione e D. Bruto, dovettero istruire un processo su un delitto di grande efferatezza.
Cicerone, Brutus, 85: tensioni nella Sila del II sec. a.C. • nam cum in silva Sila facta caedes esset no-tique homines interfecti, insimulareturque fami-lia, partim etiam liberi societatis eius, quae picarias de P. Cornelio L. Mummio censoribus redemisset, decrevisse senatum, ut de ea re cognoscerent et statue-rent consules. • Nella foresta della Sila era stato compiuto un eccidio, nel quale erano stati uccisi alcuni personaggi molto noti; ne venivano incolpati gli schiavi, e anche alcuni uomini liberi, della società che dai censori P. Cornelio e L. Mummio aveva avuto in appalto l’estrazione della pece; il Senato stabilì che sull’avvenuto indagassero e giudicassero i consoli.
Cicerone, Brutus, 85: tensioni nella Sila del II sec. a.C. • Un episodio del 138 a.C., che Cicerone afferma di aver appreso da un contemporaneo agli eventi. • P. Rutilio Rufo in quanto legato del governatore d’Asia nel 94-93 a.C. si era opposto ai publicani che avevano l’appalto delle tasse provinciali. • Al ritorno a Roma subì un processo ed fu costretto all’esilio, nella stessa provincia d’Asia, dove Cicerone lo incontrò. • Non un semplice fatto di cronaca nera o una rivolta servile (coinvolgimento anche di uomini liberi), ma la spia di tensioni economiche fra la società che nel 142 a.C. aveva ottenuto l’appalto dell’estrazione della pece nella Sila e, forse, l’élite dirigente locale.
Il problema dei noti homines • L’ipotesi di A. Giardina: possidenti terrieri locali, impegnati in attività agricole, poiché i publicani tendevano a sfruttare per comodità le aree boschive più vicine al mare e ai corsi d’acqua (che erano anche quelli di maggior pregio agricolo). • L’ipotesi di J.-C. Beal: gruppi che intendevano sfruttare in modo meno distruttivo i boschi delle zone interne e più alte (che davano la pece migliore), selezionando gli alberi più vecchi, da tagliare per la produzione di legname. • La definizione ciceroniana noti homines pare comunque escludere modesti allevatori o montanari: dovremmo piuttosto pensare, al limite, ai gruppi dirigenti di qualche comunità locale.
Cicerone, Brutus, 85: tensioni nella Sila del II sec. a.C. • Possibile anche che il conflitto fosse originato da una controversia confinaria tra la società di publicani e una comunità locale. • Cicerone conferma comunque le forme di sfruttamento di questa sezione dell’ager publicus attestate da Dionigi di Alicarnasso: appalto censorio a societates di publicani. • Il processo (Cic., Brutus, 86-88) terminò con la piena assoluzione dei socii, grazie all’energica difesa del grande oratore Ser. Sulpicio Galba.
Plutarco, Catone maggiore, 21, 5: il coinvolgimento della nobilitas nello sfruttamento della pcce • Impegnatosi più strenuamente ad acquisire denaro, giunse a conside-rare l’agricoltura più come un dilet-to che come un’attività redditizia, e investì i suoi capitali in affari sicuri e garantiti. Acquistò impianti di pi-scicoltura, sorgenti termali, botte-ghe concesse ai follatori, laboratori per la lavorazione della pece, terreni con pascoli e foreste; tutto ciò gli procurò grandi profitti e, per usare le sue parole, “non poteva esser rovinato nemmeno da Zeus”. • ἁπτόμενος δὲ συντονώτερον πορισμοῦ τὴν μὲν γεωργίαν μᾶλλον ἡγεῖτο διαγωγὴν ἢ πρόσοδον, εἰς δ᾽ ἀσφαλῆ πράγ-ματα καὶ βέβαια κατατιθέμε-νος τὰς ἀφορμάς ἐκτᾶτο λίμ-νας, ὕδατα θερμά, τόπους κνα-φεῦσιν ἀνειμένους, ἔργα πίσ-σια, χώραν ἔχουσαν αὐτοφυεῖς νομὰς καὶ ὕλας, ἀφ᾽ ὧν αὐτῷ χρήματα προσῄει πολλὰ μηδ᾽ ὑπὸ τοῦ Διός, ὥς φησὶν αὐτός, βλαβῆναι δυναμένων.
Altre forme di sfruttamento dell’ager publicus indiviso • Aldilà del ben documentato sfruttamento da parte delle societates dei publicani ai fini della silvicoltura, si possono supporre altre forme di uso dell’ager publicus: • L’assegnazione di ampie estensioni a ricchi imprenditori romani, per le attività di tipo estensivo, prevalentemente di pastorizia (soprattutto in Lucania). • Le scarse testimonianze di proprietà private di senatori o cavalieri nella regione nel II sec. a.C. confermano che l’attenzione di questi imprenditori si concentrò proprio sull’ager publicus. • L’assegnazione in piccoli lotti ai vecchi proprietari, dietro pagamento di un canone (come documentato nella regione di Taranto).
Le attività di pastorizia nell’ager publicus • Un’attività condotta prevalentemente attraverso manodopera servile, in condizioni simili a quelle che determinarono una rivolta servile di pastores in Apulia nel 185 a.C. • Un colpo alla piccola e media proprietà locale, che contava sullo sfruttamento delle vecchie terre comuni come complemento alla coltivazione delle proprietà private. • Accanto all’allevamento di caprini e ovini, da rilevare per la nostra regione l’importanza dei suini.
La colonizzazione dell’Italia meridionale Una prima iniziativa nel 273 a.C., con la fondazione, poco documentata, della colonia latina di Paestum, nel territorio confiscato ai Lucani dopo la guerra contro Pirro. Un più ampio programma, attuato negli anni 197-192 a.C., che portò alla distribuzione di ampie porzioni di ager publicus. Fondazione di 8 colonie romane, probabilmente con 300 capifamiglia ciascuna: Puteoli (Pozzuoli), Volturnum (Castel Volturno), Liternum (presso Villa Literno), Salernum (Salerno), Sipontum (vicino a Manfredonia), Buxentum (Policastro Bussentino), Croto (Crotone) e Tempsa (presso Falerna?). Creazione di due popolose colonie latine nel territorio bruzio: Copia (Sibari - Thurii), con 3.300 coloni e lotti di 40 e 20 iugeri, e Valentia (Vibo), con 4.000 coloni e lotti di 30 e 15 iugeri. 22
Livio, XXXII, 29, 3-4 (197 a.C.): il voto di 5 colonie romane • C. Atinius tribunus plebis tulit ut quinque coloniae in oram maritimam deducerentur, duae ad ostia fluminum Uolturni Liternique, una Puteolos, una ad Castrum Salerni: his Buxentum adiectum; trecenae familiae in singulas colonias iubebantur mitti. Tresuiri deducendis iis, qui per trien-nium magistratum haberent, creati M. Seruilius Geminus, Q. Minucius Thermus, Ti. Sempro-nius Longus. • Il tribuno della plebe Gaio Atinio presentò la proposta che venissero dedotte cinque colonie sulla costa, due presso la foce dei fiumi Literrno e Volturno, una a Pozzuoli, una presso Castro di Salerno; a queste venne aggiunta Bussento, e fu ordinato che venissero inviate in ciascuna delle singole colonie trecento famiglie. Furono nominati triumviri, con l’incarico di dedurre queste colonie, Marco Servilio Gemino, Quinto Minucio Termo e Tiberio Sempronio Longo. Erano destinati a restare in carica tre anni.
Livio, XXXIV, 45, 1-5: la fondazione di otto colonie romane nel Mezzogiorno • Coloniae ciuium Romano-rum eo anno deductae sunt Puteolos Uolturnum Liter-num, treceni homines in singulas. item Salernum Bu-xentumque coloniae ciuium Romanorum deductae sunt. deduxere triumuiri Ti. Sempronius Longus, qui tum consul erat, M. Seruilius Q. Minucius Thermus. ager diuisus est, qui Campanorum fuerat. • Quell’anno [194 a.C.] vennero dedotte colonie di cittadini romani a Pozzuoli, Volturno e Literno, con trecento uomini ciascuna. Del pari furono dedotte colonie di cittadini romani a Salerno e Bussento. I triumviri che provvidero alla deduzione furono Tiberio Sempronio Longo, che allora era console, Marco Servilio e Quinto Minucio Termo. Venne distribuito il territorio che era appartenuto ai Campani.
Livio, XXXIV, 45, 1-5: la fondazione di otto colonie romane nel Mezzogiorno • Sipontum item in agrum qui Arpinorum fuerat coloniam ciuium Romanorum alii triumuiri, D. Iunius Brutus, M. Baebius Tam-philus, M. Heluius deduxerunt. Tempsam item et Crotonem colo-niae ciuium Romanorum deductae. Tempsanus ager de Bruttiis captus erat: Bruttii Graecos expulerant; Crotonem Graeci habebant. triumuiri Cn. Octauius L. Aemilius Paulus C. Laetorius Crotonem, Tempsam L. Cornelius Merula Q. <. . .> C. Salonius deduxerunt. • Del pari a Siponto, nel territorio un tempo di proprietà degli abitanti di Arpi, altri triumviri, Decimo Giunio Bruto, Marco Bebio Tanfilo e Marco Elvio, dedussero una colonia di cittadini romani. Colonie di cittadini romani furono fondate anche a Tempsa e a Crotone. Il territorio di Tempsa era stato sottratto ai Bruzi; i Bruzi avevano cacciato i Greci, che invece tenevano Crotone. I triumviri Gneo Ottavio, Lucio Emilio Paolo e Gaio Letorio dedussero la colonia di Crotone, Lucio Cornelio Merula, Quinto … e Caio Salonio quella di Tempsa.
Liv., XXXIV, 53, 1-2: la decisione di fondare le colonie di Copia e di Valentia • Exitu anni huius Q. Aelius Tubero tribunus plebis ex senatus consulto tulit ad plebem plebesque sciuit uti duae Latinae coloniae, una in Bruttios, altera in Thurinum agrum deducerentur. his deducendis triumuiri creati, quibus in triennium imperium esset, in Bruttios Q. Naeuius M. Minucius Rufus M. Furius Crassipes, in Thurinum agrum A. Manlius Q. Aelius L. Apustius. ea bina comitia Cn. Domitius praetor urbanus in Capitolio habuit. • Sul finire dell’anno [194 a.C.] il tribuno della plebe Q. Elio Tuberone propose al popolo, in base ad un senatoconsulto, che fossero dedotte due colonie latine, una nel Bruzio, una nel territorio di Turii; il popolo approvò. Furono nominate per costituirle dei triumviri, con poteri triennali: per il Bruzio Q. Nevio, M. Minucio Rufo e M. Furio Crassipede, per il territorio di Turii A. Manlio, Q. Elio e L. Apustio. I comizi per quelle due elezioni furono presieduti dal pretore urbano Cn. Domizio, in Campidoglio.
Livio, XXXV, 9, 7-8: la fondazione della colonia latina nel territorio di Turii • eodem anno coloniam Latinam in castrum Frentinum triumuiri deduxerunt A. Manlius Uolso L. Apustius Fullo Q. Aelius Tubero, cuius lege deducebatur. tria milia peditum iere, trecenti equites, numerus exiguus pro copia agri. dari potuere tricena iugera in pedites, sexagena in equites: Apustio auctore tertia pars agri dempta est, quo postea, si uellent, nouos colonos adscribere possent; uicena iugera pedites, quadragena equites acceperunt. • In quello stesso anno [193 a.C.] i triumviri A. Manlio Vulsone, L. Apustio Fullone e Q. Elio Tuberone, autore della legge relativa, dedussero una colonia latina a Castro Frentino. Vi si recarono 3 mila fanti e 300 cavalieri, un numero piccolo in rapporto all’estensione del territorio. Si sarebbero potuti assegnare 30 iugeri ciascuno ai fanti e 60 ai cavalieri: per suggerimento di Apustio si lasciò da parte un terzo del territorio, per poterne in seguito, se si fosse voluto, iscrivere nuovi coloni; i fanti ebbero 20 iugeri ciascuno, i cavalieri 40.
Livio, XXXV, 40, 5-6: la fondazione di una colonia latina a Vibo • Eodem hoc anno Uibonem colonia deducta est ex senatus consulto plebique scito. tria milia et septingenti pedites ierunt, trecenti equites; triumuiri deduxe-runt eos Q. Naeuius M. Minucius M. Furius Cras-sipes; quina dena iugera agri data in singulos pedites sunt, duplex equitibus. Brut-tiorum proxime fuerat ager; Brutti ceperant de Graecis. • Nel medesimo anno [192 a.C.] fu dedotta una colonia a Vibo in base a un senatoconsulto e ad un plebiscito. Vi andarono 3.700 fanti e 300 cavalieri; li condussero i triumviri Q. Nevio, M. Minucio e M. Furio Crassipede; vennero assegnati 15 iugeri di terra ciascuno ai fanti, il doppio ai cavalieri. Quel territorio apparteneva ultimamente ai Bruzi; i Bruzi lo avevano preso ai Greci.
Il rapporto con le antiche colonie greche • Una sovrapposizione a: • Dikearchia – Puteoli • Pyxous – Buxentum • Temesa – Tempsa • Kroton – Croto • Thurioi – Copia • Hipponion – Valentia • L’invio di coloni solo nei centri più spopolati, in cui l’elemento greco era in crisi, e il rispetto per le città magnogreche ancora vitali: Metaponto, Locri e Reggio nella nostra regione, ma anche Napoli e Taranto. • La possibilità che il centro urbano della colonia non coincidesse con la città greca: il caso di Croto, forse ubicata a Capo Colonna. 31
Le motivazioni sociali e strategiche del programma di colonizzazione • La critica concorda nell’assegnare al programma di colonizzazione dell’Italia meridionale ragioni principalmente strategiche e, in secondo luogo, sociali. • La motivazione strategica: il controllo delle coste, minacciate dall’invasione di Filippo V di Macedonia e Antioco III di Siria. • O piuttosto un controllo verso l’interno, sulle riottose popolazioni italiche? • La motivazione sociale: insediamento di contadini impoveriti e di veterani in aree spopolate dalla II guerra punica. 32
Le motivazioni e gli effetti economici del programma di colonizzazione • Parte della critica ha sottolineato l’inefficacia economica di programma di colonizzazione pensato da Roma per le proprie esigenze strategiche, piuttosto che in base alle necessità della regione. • Una destrutturazione degli assetti economici della regione, già duramente colpita dalla II guerra punica. • In definitiva, anche la colonizzazione romana avrebbe contribuito alla decadenza economica del Mezzogiorno. • Una eccessiva semplificazione, che non tiene conto delle situazioni particolari, come lo straordinario successo di Puteoli, ma anche i buoni risultati della colonizzazione di Copia e Valentia.
Le motivazioni e gli effetti economici del programma di colonizzazione • Il programma di colonizzazione ebbe certo anche effetti economici, non sempre negativi, sulla Lucania e sul Bruzio. • Ma il programma stesso prevedeva questi effetti? Vi erano delle motivazioni di ordine economico dietro di esso? • Due possibili direzioni: • Lo sfruttamento dei territori coloniari ai fini dell’agricoltura e dell’allevamento. • Lo sfruttamento dei territori coloniari ai fini del commercio.
La vocazione agricola delle colonie latine • Le tre popolose colonie latine di Paestum, Copia e Valentia sorgevano in alcuni fra i territori più estesi e adatti all’agricoltura di tutta la regione. • L’impianto dei coloni incise fortemente sulle forme di occupazione del territorio: • Le ricognizioni nell’ager di Paestum mostrano la crisi delle vecchie fattorie lucane e una conversione delle colture dall’arboricoltura verso i cereali. • Nel territorio di Copia l’archeologia mostra la cessazione delle attività delle vecchie fattorie della fase precedente.
Una vocazione agricola per le colonie di diritto romano? • Anche la colonia romana di Croto poteva contare su un buon terreno agricolo • Meno ampio il terreno a disposizione di Buxentum e, forse, di Tempsa: ma qui i coloni erano probabilmente solo 300, secondo la tradizione delle coloniae civium Romanorum. • Le ricerche di superficie nel territorio di Buxentum mostrano in effetti una continuità nelle forme di occupazione del territorio: fattorie dove si praticava soprattutto una policoltura di sussistenza. • Ma la rete delle fattorie si riorganizza su nuove linee di comunicazione, dirette a Buxentum, Velia e Paestum.
Il carattere delle proprietà nelle nuove colonie • Le assegnazioni nelle colonie latine danno vita a proprietà di estensione media per i pedites (5 ha a Copia, poco meno di 4 ha a Valentia), medio-grande per gli equites (10 ha a Copia, 7,5 ha a Valentia). • Nelle proprietà degli equites potrebbero aver trovato lavoro come braccianti i contadini locali, vittime delle espropriazioni. • Nessun dato in riferimento all’estensione dei lotti nelle colonie romane: in precedenza i lotti erano di appena 2 iugeri (mezzo ettaro). • La sopravvivenza dei coloni doveva necessariamente essere assicurata dallo sfruttamento dell’ager publicus rimasto indiviso.
Il problema della riduzione delle assegnazioni a Copia • Livio, XXXV, 9, 8 ricorda che i lotti assegnati a Copia avrebbero potuto essere di maggiore estensione; ma su suggerimento del triumviro L. Apustio Fullone si decise di accantonare 1/3 del territorio per futuri insediamenti. • Di fatto non abbiamo notizia di nuovi invii di coloni. • La decisione di Apustio potrebbe esser stata motivata dalla volontà di lasciare indivisa parte del territorio, in favore della classe imprenditoriale romana, che poteva sfruttare questo ager publicus ai fini della pastorizia. • Forse da qui il germe di nascita del latifondo dell’agro Copiense, noto circa un secolo dopo dall’orazione Pro M. Tullio di Cicerone.
Una motivazione commerciale dietro il programma di colonizzazione? • Un’ipotesi particolarmente sviluppata in anni recenti da Rita Compatangelo-Soussignan. • Le colonie si impiantano dove esistevano installazioni portuali, naturali punti di sbocco delle produzioni locali su tutto il Mediterraneo. • Un programma portato avanti da Scipione Africano e dal suo gruppo, il cui interesse per il Mediterraneo orientale non era solo politico. • I commercianti magnogreci potevano essere gli apripista dei negotiatores romani nella penetrazione sui mercati orientali (anche nella forma di joint ventures). • I contatti tra le colonie dell’Italia meridionale e il grande centro commerciale di Delo.
I contatti tra le colonie e Delo • Il confronto tra le presenze italiche nella ben documentata Delo e il popolamento delle colonie del Mezzogiorno non porta a risultati soddisfacenti, a causa della quantità, della cronologia e della qualità della documentazione epigrafica di queste ultime: • Buxentum non ci ha restituito iscrizioni di età repubblicana. • Croto, Tempsa, Vibo Valentia e Copia presentano qualche consonanza onomastica, ma per lo più in riferimento a gentilizi latini molto diffusi in tutta Italia. • Più precise le relazioni che si possono stabilire con le colonie campane, specialmente con Puteoli.
Il caso dei Laronii di Vibo Valentia • Una gens senatoria probabilmente originaria di Vibo Valentia per la presenza di numerosi laterizi bollati con tale nomen nel territorio vibonesee per l’attestazione di un Q. Laronius Q. f. che fu IIIIvir iure dicundo quinquennalis a Vibo. • Q. Laronius legatus di Agrippa nella guerra guerra contro Ses. Pompeo e poi console suffetto nel 33 a.C. • Presenze di Laronii a Messina agli inizi del II sec. a.C. • Attestazioni del gentilizio a Delo verso il 125 a.C.
Il caso dei Venuleii - Vinuleii di Copia • La gens Vinuleia è attestata nell’élite economica e politica di Copia nella tarda età repubblicana. • La gens Venuleia entra a far parte del Senato forse già nella prima parte del I sec. a.C. (un possibile IIIvir capitalis nell’82 a.C., un legatus senatorio nel 45-43 a.C.). • Un Venuleius esattore della decima in Sicilia ai tempi di Verre. • Una presenza dei Venuleii a Delo intorno al 140 a.C.
Le motivazioni commerciali della colonizzazione: un’ipotesi da valutare con prudenza • La dubbia rilevanza di queste motivazioni nella politica romana in genere. • Gli indizi richiamati dalla Compatangelo-Soussignan sono piuttosto labili per le colonie della nostra regione: i Venuleii possono identificarsi con i Vinuleii? • Indizi che appaiono a partire dalla metà del II sec. a.C., circa 50 anni dopo la fondazione delle colonie. • La documentazione archeologica delle colonie nella prima metà del II sec. a.C. al momento mostra piuttosto una stasi dei commerci, in particolare con la quasi completa assenza della ceramica Campana A. • Più prudente considerare gli sviluppi evocati dalla Compatangelo-Soussignan come un effetto a lungo termine della colonizzazione, piuttosto che come una delle sue ragioni.
Le attività artigianali nelle nuove colonie • Un fenomeno ancora poco studiato per i primi decenni di vita delle nuove colonie. • A Copia si segnala tuttavia una caratteristica produzione di ceramica grigia, destinata alle esigenze locali (ma rinvenimenti anche nelle vicine Metaponto ed Eraclea).
Gli effetti demografici del programma di colonizzazione: il dato delle fonti letterarie • La colonizzazione porta ad una parziale ripresa demografica della regione: i dati relativi alle 5 colonie di inizio II sec. a.C. indicano l’installazione di 8.200 famiglie. • La finalità di una ripresa demografica è esplicitamente richiamata per Copia da Strabone. • Possibile che il programma abbia incontrato difficoltà e che i suoi effetti siano stati limitati e temporanei: • Alcuni indizi lasciano presumere una certa difficoltà nel reclutamento dei coloni e che dunque il programma non fosse del tutto gradito. • I nomi beneauguranti di Copia e Valentia volevano forse presentare in modo accattivante colonie che non destavano grande interesse? • Lo stato di spopolamento di Buxentum e Sipontum pochi anni dopo la fondazione delle colonie (ma le due colonie vennero rifondate e almeno Buxentum fu per i secoli seguenti un centro di una certa importanza). • La definizione di Liternum come vicus ignobilis ac deserta palus in Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili, V, 3, 2b .
Strabone, VI, 1, 13: Copia come colonia di ripopolamento • Θούριοι δ᾽ εὐτυχήσαν-τες πολὺν χρόνον ὑπὸ Λευκανῶν ἠνδραποδί-σθησαν, Ταραντίνων δ᾽ ἀφελομένων ἐκείνους ἐπὶ Ῥωμαίους κατέφυ-γον. οἱ δὲ πέμψαντες συνοίκους ὀλιγανδροῦ-σι μετωνόμασαν Κωπιὰς τὴν πόλιν. • Quanto agli abitanti di Turi, costoro, dopo aver avuto per lungo tempo buona fortuna, furono poi fatti schiavi dai Lucani; quando però i Tarantini cacciarono questi ultimi, essi fecero ricorso ai Romani, che vi mandarono coloni per supplire allo scarso numero di abitanti e denominarono la città Copia.
Livio, XXXIV, 42, 5-6: i Latini di Ferentinum si iscrivono nelle colonie romane • nouum ius eo anno a Ferentinatibus temptatum, ut Latini qui in coloniam Romanam nomina dedis-sent ciues Romani essent: Puteolos Salernumque et Buxentum adscripti coloni qui nomina dederant, et, cum ob id se pro ciuibus Romanis ferrent, senatus iudicauit non esse eos ciues Romanos. • In quell’anno [195 a.C.] gli abitanti di Ferentino cercarono di far approvare una nuova norma di diritto per la quale i Latini che si fossero fatti iscrivere in una colonia romana sarebbero divenuti cittadini romani: per Pozzuoli, Salerno e Bussento furono iscritti come coloni quelli che avevano dato i loro nomi, e siccome essi pretendevano di essere per questo cittadini romani il Senato sentenziò che non lo erano.
Il dato di Livio, XXXIV, 42, 5-6 • Le possibili motivazioni “strumentali” dei coloni che ancora non erano cives Romani: ottenere attraverso l’iscrizione nella colonia la cittadinanza. • Ottenuto lo status desiderato, è legittimo sospettare che i nuovi cittadini avrebbero presto abbandonato la colonia per tornare ai loro luoghi d’origine. • Il Senato respinse questa interpretazione, ma apparentemente non impedì che i Latini di Ferentinum si iscrivessero nelle liste delle colonie: un indice di difficoltà nel reclutare anche il modesto numero di 300 coloni.
Livio, XXXIX, 23, 3-4 (186 a.C.): lo spopolamento di Buxentum e Sipontum • extremo anni, quia Sp. Postumius consul renuntia-uerat peragrantem se prop-ter quaestiones utrumque litus Italiae desertas colo-nias Sipontum supero, Bu-xentum infero mari inue-nisse, triumuiri ad colonos eo scribendos ex senatus consulto ab T. Maenio prae-tore urbano creati sunt L. Scribonius Libo M. Tuccius Cn. Baebius Tamphilus • Alla fine dell’anno [186 a.C.], poiché il console Sp. Postumio aveva riferito che, durante le sue peregrinazioni dovute alle inchieste lungo i due litorali dell’Italia, aveva trovato spo-polate le colonie di Siponto sull’Adriatico e di Bussento sul Tirreno, con un decreto del Senato furono nominati trium-viri dal pretore urbano T. Menio – per il reclutamento di coloni in quelle località – L. Scribonio Libone, M. Tuccio e Cn. Bebio Tanfilo.
Gli effetti demografici del programma di colonizzazione: il dato delle fonti archeologiche • Alcuni indizi archeologici confermano la persistenza di problemi demografici anche nei nuovi insediamenti: • L’area dell’urbanizzazione di Copia è inferiore a quella di Turii: il Lungo Muro taglia i quartieri della città greca. • A Crotone l’abitato (la città greca alleata?) si restringe alla collina del Castello, corrispondente alla vecchia acropoli; alcuni dei vecchi quartieri abitativi sono occupati da necropoli. • Le stesse difficoltà di identificazione di Tempsa sembrano indicare che la colonia ebbe vita stentata e per questo non ha lasciato segni archeologici evidenti.