770 likes | 1.12k Views
Societ e istituzioni nell'impero franco. L'impero si compone di molte regioni e popoli eterogenei.La risposta di Carlo per cercare di creare unit di:proporre un'interpretazione della funzione prima monarchica e poi imperiale in chiave marcatamente religiosa;fondare un'amministrazione solida,
E N D
1. Le istituzioni politiche nell’era dell’ascrittivitŕ.
La Grecia, Roma e l’Alto Medioevo.
Dott. Stefano Scarcella Prandstraller
Lezione V – “Le istituzioni politiche nell’Alto Medioevo - II” Universitŕ “La Sapienza” di RomaFacoltŕ di Scienze della ComunicazioneCorso di laurea in Scienze della Comunicazione Pubblica ed Organizzativa Anno Accademico 2008-09 Corso di Storia delle Istituzioni Politiche SPS/03
2. Societŕ e istituzioni nell’impero franco L’impero si compone di molte regioni e popoli eterogenei.
La risposta di Carlo per cercare di creare unitŕ č di:
proporre un’interpretazione della funzione prima monarchica e poi imperiale in chiave marcatamente religiosa;
fondare un’amministrazione solida, centralizzata ed uguale in tutte le regioni dell’impero. Tuttavia ci sono delle difficoltŕ:
A) la societŕ carolingia, con “la separazione dalla vita commerciale della costa del Mediterraneo”, ha “ormai assunto un carattere essenzialmente agrario”;
B) non piů alimentata dagli uomini di cultura delle civitates romano-galliche e da un adeguato gettito fiscale, gradualmente, ma inesorabilmente “la debole sovrastruttura romana era venuta meno”.
C) la concentrazione della ricchezza nella campagna, la grave crisi della ricchezza mobile con la caduta del commercio e la scarsa circolazione monetaria impediscono la realizzazione di quelle condizioni minimali, per la costituzione di una gerarchia non feudale di funzionari stipendiati.
3. Societŕ e istituzioni nell’impero franco(Barraclough, 1976) Ciň rende impossibile a Carlo pensare di ripristinare in tutto, o anche solo in parte, il modello dello stato territoriale di derivazione romana, tenuto in piedi con sempre maggiore difficoltŕ nel V e VI secolo dai re merovingi.
La societŕ era tenuta insieme non dalla generale fedeltŕ allo stato, ma soltanto dai vincoli tra i singoli, dalla devozione dovuta al proprio signore e dall’obbedienza imposta dai ricchi proprietari terrieri, che reclamavano ed esercitavano diritti di governo in nome di tale loro qualitŕ.
La terra č ormai l’unica fonte della ricchezza e del potere politico e la classe dirigente quindi coincide in tutto e per tutto con la ricca aristocrazia fondiaria.
Lo stesso re, “nonostante l’unzione e la credenza nelle misteriose virtů del sangue reale, era soltanto il piů grande e il piů ricco dei nobili” ed “il suo ruolo gli era assicurato dalle terre che possedeva.
4. Societŕ e istituzioni nell’impero franco(Barraclough, 1976) La forza della monarchia dipende quanto mai dalle condizioni di floridezza del demanio reale, del fisco.
“La nuova societŕ era fondamentalmente diversa, quanto a mentalitŕ e carattere, da quella dell’epoca merovingia. Soprattutto si era perduto nei confronti del passato romano quel rapporto diretto, anche se in via di continuo indebolimento, caratteristico di tutti i primi stati germanici”.
Il capitale economico e culturale ereditato da Roma č ormai esaurito e la societŕ carolingia deve “fare da sé”.
“La nuova nobiltŕ non imitava piů quella gallo-romana, scomparsa da molto tempo; la lingua in cui si esprimeva era di ceppo germanico”; “gli appartenenti agli strati piů alti della societŕ [...] erano analfabeti ad eccezione di pochi,e consideravano il leggere e lo scrivere attivitŕ da subalterni.
5. Il nuovo ruolo della religione(Barraclough, 1976) Tra i laici le classi superiori colte sono scomparse ed ormai la cultura č patrimonio di monaci e sacerdoti;
di conseguenza, “la societŕ carolingia” assume “rispetto alla merovingia una diversa, piů forte impronta clericale”;
“con i Carolingi la religione divenne una forza operante nella societŕ: fu una grande svolta, l’inizio di una tradizione durevole, sebbene tale forza potesse sottrarsi, come poi accadde, al controllo di una autoritŕ politica indebolita, non piů in grado di controbilanciare l’influenza di una gerarchia ecclesiastica militante”;
“con Carlo prende forza la concezione della religione non piů come semplice mezzo di salvezza personale, ma come forza motrice e trasformatrice della societŕ”.
Il ruolo che il sovrano franco assegna alla religione implica “il ritorno ad una societŕ di tipo piů primitivo”, tanto che la “monarchia cristiana” mutua “parecchie caratteristiche dalla monarchia sacerdotale degli antichi popoli germanici”.
6. Il nuovo ruolo della religione(Barraclough, 1976) Il rex Francorum č “fatto reggitore del popolo cristiano” per “il decreto del Nostro Signor Gesů Cristo”, per cui sulle sue spalle poggia “la salvezza di tutta la Chiesa di Cristo”.
Nel pensiero politico di Alcuino da York, che coincide con quello ufficiale del tempo, non c’č distinzione tra Chiesa e Stato e non vi sono due singoli corpi da tenere rigorosamente separati o da subordinare l’uno all’altro.
La religione č parte della vita dello stato, che č fondato sulla legge divina, e questa si identifica con il diritto canonico codificato, che č considerato anche la suprema norma civile.
Essa significa rispetto della legge, conservazione dell’ordine costituito e giusto adempimento dei comandi di Dio.
Ciň la rende da Carlo Magno in poi “la base della societŕ”.
7. Le istituzioni politiche centrali Il governo centrale era costituito dal palatium, l’imperatore e il suo seguito, tra cui comites palatini e antrustiones; nulla aveva a che vedere con il palatium di Clodoveo e dei suoi immediati successori, che poteva contare su giuristi e burocrati gallo-romani colti e ragionevolmente preparati.
Il palatium di Carlo aveva cura del patrimonio del sovrano e dei suoi interessi, ma non governava lo stato;
Il concetto romano di stato come qualcosa di distinto dal patrimonio personale del re era scomparso a tutti gli effetti pratici.
Non esistevano i ministri, cui affidare interi settori dell’amministrazione, né una cancelleria.
Il re, quindi, doveva prendere tutte le decisioni da solo” e il fatto che “egli potesse affrontare soltanto pochi dei problemi che sorgevano costituiva di per sé un grave limite”.
8. Il rapporto centro-periferia(Barraclough, 1976) La maggior parte degli ordini era trasmessa a voce e quando era necessaria la stesura di un qualche documento, il lavoro burocratico, di cancelleria, era svolto dal clero, la categoria che per ragioni professionali era in grado di leggere e scrivere”. Nell’amministrazione centrale, come in quella periferica, tutto dipendeva dagli uomini.
“La caratteristica del governo carolingio non č il controllo esercitato dal centro verso la periferia, ma proprio l’assenza di tale controllo”.
I casi in cui il re aveva notizia dei fatti ed ancor piů quelli in cui effettivamente interveniva erano del tutto eccezionali e spesso ciň si verificava solo quando “i reclami si facevano forti, quando in qualche provincia le estorsioni e le repressioni provocavano una reazione violenta”.
Non essendoci una burocrazia che potesse eseguire gli ordini del governo centrale, in caso di rifiuti o insubordinazioni “non si poteva fare altro che raccogliere delle truppe e imporre l’obbedienza con una spedizione militare”.
9. La funzione legislativa Il potere centrale emanava leggi:
dette capitulares (capitolari), perché costituite da una serie di brevi articoli, i capitula, emanati nel corso di placiti;
constitutiones (costituzioni) o edicta (editti), derivanti, alla maniera romana, da attivitŕ di decisione o decretazione da parte del sovrano.
Il placitum, in francone tag, e cioč “giorno” o “dieta”, č l’assemblea solenne dei grandi del regnum, che ha luogo due volte l’anno, in maggio e in autunno;
salvo giustificato motivo, comites, vescovi ed altri grandi laici ed ecclesiastici erano obbligati a prendervi parte, ed in tali occasioni “venivano istruiti o rimproverati, e, se necessario, destituiti”;
“un’assenza non adeguatamente giustificata equivaleva ad una ribellione”, in quanto “questi incontri una o due volte all’anno con il re rappresentavano l’unica occasione per un controllo veramente efficace” del loro operato.
10. Il “doppio binario” legislativo-feudale(Barraclough, 1976) La legislazione insisteva sugli aspetti dell’organizzazione sociale non coperti da rapporti di natura feudale, mentre questi ultimi erano governati e regolati, piuttosto che da norme generali, da singoli accordi tra individui, che in una societŕ orale come quella carolingia solo eccezionalmente erano redatti per iscritto.
La documentazione legislativa carolingia offre una visione molto parziale della realtŕ se si tiene conto che “la legislazione non era sempre efficace,” e “dice piů delle intenzioni del legislatore che di come andavano effettivamente le cose”.
“La realtŕ dei governo carolingio era molto diversa dal quadro offerto da editti e capitolari. Soprattutto l’elemento feudale era molto piů importante e si faceva molto piů assegnamento su di esso”.
11. Il “doppio binario” legislativo-feudale(Barraclough, 1976) L’anarchia del tardo periodo merovingio aveva favorito lo sviluppo del feudalesimo: sottomissione dei deboli ai potenti, ricerca di protezione e rinuncia alla libertŕ in cambio di essa”. In mancanza di una burocrazia, il feudalesimo diviene “l’autentica spina dorsale del governo carolingio” e “non v’era nulla che potesse prenderne il posto”.
I Carolingi organizzarono queste relazioni di tipo privatistico “in coerenti strutture feudali, conferendo loro stabilitŕ e soliditŕ, almeno abbastanza perché non fossero piů un pericolo per l’ordine e, se possibile, divenissero un efficace strumento a disposizione del sovrano”.
Inoltre, il tentativo di Carlo in direzione di una unificazione legislativa dell’impero, diretta a restaurare i “principi romani di governo”, doveva fare i conti con innumerevoli istanze che premevano in direzione del particolarismo giuridico, prima fra tutte la tendenza dei popoli piů numerosi e meno romanizzati a continuare a regolarsi secondo le proprie consuetudini orali.
12. Il principio di “personalitŕ delle leggi”(Barraclough, 1976) Vige il principio di “personalitŕ delle leggi”, vale a dire che ogni uomo ha diritto di essere giudicato secondo il diritto e le usanze del suo popolo.
Abbiamo quindi piů fonti nella legislazione franca:
1) le leggi personali di ciascun popolo: lex saxorum, lex baiovarorum, lex langobardorum, ecc.;
2) i capitolari governativi, emanati dal sovrano attraverso la cancelleria palatina, che erano unificanti e vincolanti per tutto il regno ed integravano le prime;
3) il diritto romano e quello canonico: utilizzati per lo piů nei procedimenti ecclesiastici.
Gli Aquitani ed i Longobardi godono inoltre di un regime di “governo autonomo” delle rispettive regioni, che sono regni indipendenti, la cui corona č affidata ai figli di Carlo.
13. L’amministrazione periferica(Barraclough, 1976) L’amministrazione locale č retta dai comites, istituzione politica stabilita in epoca merovingia, che viene estesa a tutti i territori conquistati.
In ogni comitatus o contea, circoscrizione che spesso corrisponde all’antico pagus, il villaggio, il comes č il rappresentante diretto del rex, che amministra la cosa pubblica, presiede il tribunale della contea, dŕ esecuzione all’eribanno e comanda il contingente militare locale.
La figura del comes, il conte, č “il perno del governo carolingio” e “la prima misura per prendere il controllo di un paese conquistato consisteva nel sostituire dei conti franchi alla classe dominante indigena”.
“Il conte non era un funzionario, cioč non riceveva uno stipendio”, ma piuttosto “per il suo sostentamento gli venivano assegnate delle terre e riceveva anche una parte, generalmente un terzo, del reddito prodotto nella regione posta sotto il suo controllo”.
14. L’amministrazione periferica(Barraclough, 1976) Non vi era alle dipendenze del conte, “un personale amministrativo costituito da funzionari”, ma “egli disponeva solitamente di un proprio rappresentante” e “v’era un archivista addetto alla custodia degli atti delle assemblee della contea” e al piů poteva contare in tutto su di una decina di persone al suo diretto servizio per disimpegnare compiti amministrativi.
Al di sotto del conte, vi erano “da tre a sei capi minori, responsabili verso il conte”, a ciascuno dei quali era affidata una ripartizione territoriale minore, detta centena.
Il nome centena deriva dal fatto di essere in origine popolata da circa un centinaio di nuclei familiari allargati.
Nelle centene si esplicava il “governo locale”;
le centene avevano propri tribunali, e ricevevano dal conte degli ordini, che includevano il quantum dei reclutamenti dell’eribanno e dell’esazione, ma l’esecuzione di queste ed altre disposizioni era lasciata alla loro autonomia.
15. L’amministrazione periferica(Barraclough, 1976) La contea non ha personalitŕ giuridica e si tiene soltanto un’assemblea periodica, “che aveva luogo nell’unica forma del tribunale comitale”, detto appunto comitatus.
Nell’impero carolingio, dopo la conquista della Sassonia e della Frisia, ci sono circa duecentocinquanta contee.
Alle frontiere vengono costituiti due tipi di circoscrizioni diversi dalle contee:
A) i ducati, retti da un dux, corrispondenti in alcuni casi a precedenti entitŕ omogenee a livello etnico-politico, come nel caso della Sassonia, ed in altri a raggruppamenti di comitati;
B) le marcae, rette da un marchio, circoscrizioni pubbliche piů importanti delle contee, specie in ragione della loro posizione di confine, che richiede una maggiore disponibilitŕ di risorse, anche per il reclutamento di adeguati contingenti militari.
16. La scelta dei nobiles(Barraclough, 1976) La regola generale nell’istituzione delle nuove contee “consisteva nel sostituire la classe dominante indigena o affermatasi nella regione, con un’aristocrazia franca, i cui interessi fossero legati a quelli della monarchia”.
In questo modo “l’aristocrazia doveva la propria posizione e le nuove terre e rendite acquisite in quei remoti paesi alle conquiste compiute dal sovrano; cosě re e nobiltŕ erano legati da una comunanza di interessi”.
Ogni conquista introduceva nuove tensioni, questa volta tensioni tra la societŕ locale e l’amministrazione franca o carolingia che le veniva imposta”.
La regola generale subiva pertanto frequenti e rilevanti eccezioni, per cui le cariche ducali, marchionali e comitali erano attribuite talora ad antrustiones franchi legati personalmente al sovrano e talora invece a membri delle aristocrazie locali, nella ricerca di non facili equilibri.
17. Gerarchia amministrativa e feudale(Barraclough, 1976) I Carolingi “avevano conquistato il potere alla testa dei loro antrustiones” e si erano affermati grazie alla saldezza dei legami feudali, che li rendevano molto piů forti, con la loro clientela di vassalli, di quanto non lo fossero mai stati i re merovingi; pertanto si “potrebbe quasi dire che essi conquistarono il potere come rappresentanti di un principio feudale dell’organizzazione della societŕ”.
Nelle strutture politiche carolinge č difficile distinguere una gerarchia di “funzionari” da una gerarchia “feudale”.
I duces, i marchiones e i comites erano molto spesso scelti tra quegli stessi antrustiones e comandanti militari che erano giŕ in precedenza vassi dominici e cioč “vassalli del demanio reale”.
In tal caso, il servitium vassallatico non era piů costituito dal semplice servizio militare, ma dall’intero ambito di esercizio della carica in nome del rex.
18. Gerarchia amministrativa e feudale(Barraclough, 1976) Il servitium veniva remunerato con beneficia sulle terre del regno secondo il sistema della tenure e con proventi connessi all’esercizio della giurisdizione pubblica. Tale sistema si fonda sul rapporto tra il sovrano e il beneficiario, detto anche tennant, in quanto quest’ultimo “detiene” la terra in nome del suo signore, ed i proventi che derivano da tale godimento costituiscono il corrispettivo dei suoi servizi.
Il re “per governare non contava su un’organizzazione, sulla ripartizione dei compiti tra i membri di una burocrazia, ma essenzialmente sui servigi dei propri vassalli”.
I vassalli “non avevano alcun diritto alla propria carica che fosse basato sul possesso della terra, e il loro titolo non era ereditario”, ma strettamente intuitu personae, per cui “il re poteva destituirli e sostituirli a piacimento”, ovvero, alla loro morte, nominare un nuovo comes con nessun rapporto di parentela con il predecessore.
“In questo senso il sistema di governo carolingio differisce dal feudalesimo tardo: che il sovrano non aveva le mani legate.
19. Il capitolare “de villis” Il vassaticum rappresenta dunque, con il giuramento di fedeltŕ personale al sovrano e la conseguente subordinazione del funzionario al rex, un elemento di coesione del regnum e insieme una remora alla tendenza verso la disgregazione del potere politico, come si era verificata nell’ultima etŕ merovingia.
I membri della nobilitas di solito possedevano beni fondiari in piena proprietŕ, al di fuori del regime della tenure, detti allodi, e questi andavano tenuti distinti dai beneficia, posseduti a titolo precario come remunerazione dei servitia.
La gestione del fisco regio, da cui provenivano gran parte delle terre cedute in beneficium, č oggetto di un’apposita normativa, il capitulare de villis, finalizzata a prevenire e sanzionare i frequenti fenomeni di abuso.
Si sancisce sia il divieto di frodare il governo confondendo terre allodiali e beneficiarie, che quello di approfittare delle cariche pubbliche rivestite per imporre ai contadini “come se si trattasse di tributi pubblici” corvées sulle terre allodiali.
20. L’immunitas e il banno Sono importanti strumenti di governo complementari rispetto al vassaticum.
La immunitas č la immunitŕ attribuita ad un patrimonio fondiario privato dall’ingresso degli ufficiali pubblici e dalle truppe del rex;
in genere veniva attribuito a chiese vescovili ed abbazie;
č condizionata a dei controlli da parte di agenti laici, gli advocati, nominati dal rex ed investiti del potere di banno.
Il banno sostituisce nel mondo franco il concetto di imperium, proprio di alcune istituzioni politiche romane;
comprende la facoltŕ di comandare, costringere e punire, divenendo cosě i duces, i marchiones, i comites, i missi dominici, gli advocati e le altre persone che ne sono investite dei delegati ed ausiliari del sovrano con poteri di natura pubblicistica.
21. I “missi dominici” (Barraclough, 1976) Sono una sorta di “sovrintendenti itineranti” incaricati di tenere i rapporti tra il governo centrale ed i funzionari locali, ovvero di “supervisori inviati dal re nelle province a controllare l’operato delle autoritŕ e a reprimerne gli abusi”.
Per evidenziare la duplice natura spirituale e temporale del potere imperiale, sono spesso nominati a coppie: un laico, generalmente un comes palatinus, ed un ecclesiastico, un vescovo o un abate.
Il clero cattolico viene cosě a svolgere un importante ruolo di mediazione nell’amministrazione dell’impero.
“Mentre la figura tipica del governo merovingio era il laico, il suo posto sotto i Carolingi č preso dal grande prelato.
A partire dall’802 l’invio dei missi dominici nelle province č reso regolare per affrontare i crescenti disordini e la sempre piů chiara tendenza dei comites a sottrarsi al controllo dell’autoritŕ centrale.
22. I “missi dominici” I missi dominici hanno un ministerium, in funzione del quale ricevono istruzioni orali o scritte.
Possiedono tutte le competenze e possono persino tenere tribunali propri al posto di quelli delle contee.
Controllano la gestione dei comites e raccolgono i giuramenti di fedeltŕ in nome del re.
Si tratta di una misura che conserva il suo carattere originario di rimedio provvisorio, mentre la regola era quella dell’assenza di un qualunque meccanismo istituzionale per assicurare la coesione tra il centro e le province. Inoltre, nella misura in cui il controllo veniva esercitato, non accadeva attraverso i mezzi istituzionali, ma piuttosto grazie all’influenza e alle pressioni personali . (Fichtenau, 1949)
La scomparsa dei missi dopo il 907 segna il fallimento dello stato nel suo tentativo di centralizzazione. (Rouche, 2005)
23. Potere monarchico e sistema feudale (Barraclough, 1976) Il re tenta di controbilanciare il potere dei nobili proteggendo la posizione ed aumentando il numero della classe dei franci o liberi, costituita dai piccoli proprietari e dai contadini indipendenti, immuni da obblighi di natura personale verso i nobiles, che “consideravano il sovrano loro padrone e difensore, a differenza dei censuari di condizione servile, sottoposti ai loro diretti signori”.
Nel regno di Carlo c’č ancora subordinazione delle strutture feudali agli intenti del sovrano e l’inserimento di tali strutture nel disegno del governo, accanto ad elementi non feudali
Carlo svolge una politica feudale e una non feudale, che si integrano reciprocamente. Il re si serve per governare in modo piů efficiente, dei vincoli feudali, sviluppatisi spontaneamente, al di fuori della legge, in risposta alle condizioni economiche e sociali”.
24. Potere monarchico e sistema feudale Ad ogni grado della gerarchia, il senior era tenuto a rispondere dei suoi vassi; per esempio, quando gli era ordinato, doveva farli comparire presso il tribunale della contea, di fronte al rappresentante del rex, il comes.
Con un capitolare dell’810 valido per tutto il regno, si ordinň che ogni senior, cioč ogni persona titolare di rapporti di vassaticum, comunque instaurati, costringesse i propri juniores, e cioč gli uomini a lui legati dai predetti vincoli di natura feudale, a una maggiore obbedienza ai mandati e ai precetti del sovrano.
Il potere giurisdizionale č esercitato secondo un duplice ordine: da una parte i tribunali pubblici delle centene e delle contee hanno una competenza iure personarum limitata ai soli franci o liberi, mentre, al di fuori di tale competenza, i seniores, attraverso propri tribunali feudali, esercitavano la giurisdizione esclusiva sui propri vassi e dipendenti. Le due giurisdizioni non solo coesistono, ma si rafforzano reciprocamente.
25. Alcuino da York e la schola palatina Aquisgrana (Aachen), la “nuova Roma”, capitale dell’impero franco, diviene sede della prima accademia imperiale, la Schola palatina, una scuola diretta a formare sia i funzionari e gli amministratori del regno, che gli ecclesiastici.
Carlo chiama a presiederla come magister il monaco anglo Alcuino da York (735- 804), uno dei piů grandi uomini di cultura del tempo, dal 796 abate di San Martino di Tours.
Sotto la guida di Alcuino, allo scopo di diffondere il sapere, soprattutto nel clero, č creata una nuova organizzazione scolastica, con l’istituzione di numerose scuole presso le chiese episcopali ed i monasteri.
La c.d. rinascita carolingia vede la trascrizione dei manoscritti antichi e la rinascita delle lettere.
I codici di epoca carolingia permettono al medioevo e all’etŕ moderna il recupero e la conservazione delle maggiori opere della civiltŕ romano-cristiana.
In particolare, le opere dei grandi spiriti della Chiesa antica, Gerolamo, Crisostomo e Agostino riprendono ad esercitare la loro funzione di orientamento culturale.
26. Rabano Mauro e l’abazia di Fulda L’opera di Alcuino č continuata dal suo confratello ed allievo Rabano Mauro (780-856), detto praeceptor Germaniae, nato a Magonza in una famiglia dell’aristocrazia franca;
a lui si deve una vastissima produzione letteraria come teologo, filosofo, commentatore delle Scritture, poeta e cultore di astronomia e scienze naturali; č autore del De Universo e del De praescientia et de praedestinatione ;
27. Rabano Mauro e l’abazia di Fulda alle proposte di riforma delle istituzioni ecclesiastiche e alla formazione dei chierici dedica il De disciplina ecclesiastica.
č abate di Fulda dall’822 e trasforma l’abbazia in uno dei piů grandi centri di cultura della cristianitŕ, con una scuola monastica, uno scriptorium ed una biblioteca senza pari;
Rabano č attivo sulla scena politica, ove sostiene le ragioni dell’imperium Christianum e di Ludovico I nelle controversie con i figli per la successione nell’impero carolingio.
In seguito, si schiera con Lotario I, figlio maggiore di Ludovico contro i suoi fratelli Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico; con quest’ultimo successivamente si riconcilia e viene eletto vescovo di Magonza nell’847.
28. I limiti della “rinascita carolingia” Il lavoro dei protagonisti di questa rinascita intellettuale č di tramandare quello che si era potuto conservare delle vestigia del mondo classico e della patristica cristiana, e certo non quello di innovare o dare luogo a una “cultura originale”
Sembra anzi venire meno proprio l’ideale della cultura come produzione originale”. (Comba, 1980)
“Ci si limitň quasi esclusivamente ad un’opera di recupero della letteratura antica. Le scuole che Carlo fece aprire presso ogni cattedrale e ogni monastero non diedero alcun importante contributo originale” (Barraclough, 1976)
“Lo stesso Alcuino non aveva alcuna intenzione di dare un contributo originale alla cultura. Per lui, la saggezza e il sapere erano a portata di mano nelle opere dei Padri della Chiesa e la sua generazione non poteva aggiungervi nulla”.
Alcuino, insomma, non era tanto lo studioso alla ricerca di nuove conoscenze, quanto il divulgatore che raccoglie e coordina gli elementi del sapere” (Barraclough, 1976)
29. La formazione del clero(Rouche, 2005) L’interesse verso l’istruzione segue il progetto politico di Carlo;
le riforme scaturite dalla Epistola de litteris colendis (794-797) definiscono un programma di base di catechesi, alfabetizzazione, e anche di indottrinamento per le scuole cattedrali e monastiche, puntando sulla formazione del clero e in particolare dei curati.
Questi sacerdoti, responsabili delle parrocchie disseminate nel territorio, costituiscono l’unica rete sociale in grado di raggiungere tutti i sudditi e tutti i fedeli, con un contatto capillare impensabile ai conti.
“I curati sono in contatto con i gruppi rurali. Incaricati di insinuare la dottrina nei cuori e la disciplina nei corpi, essi costituiscono l’ingranaggio essenziale della societŕ”.
30. Il giudizio sulle istituzioni politiche carolinge – 1 (Comba, 1980) “La classe dirigente che Carlo con la sua forte personalitŕ riusciva in quegli anni a controllare, portava dunque in sé i germi della dissoluzione. Sul lungo periodo il problema principale della politica carolingia si risolse in un fallimento”.
“bisogna tuttavia evitare di evidenziare piů i guasti di quella societŕ che gli aspetti positivi dell’opera di Carlo e dei suoi immediati successori.
La positivitŕ delle loro realizzazioni emerge se queste si paragonano con le ben peggiori condizioni politiche dell’etŕ precedente: se l’amministrazione non era esemplare, era almeno in grado di funzionare.
Il che, aggiunto alla pace alle frontiere e, probabilmente, ad una certa ripresa dell’economia, non era certamente poco, tant’č vero che alle generazioni che seguirono, e che conobbero il peggio, l’etŕ di Carlo parve l’etŕ dell’oro e della pace” .
31. Il giudizio sulle istituzioni politiche carolinge - 2 (Barraclough, 1976) Gli storici hanno scritto del governo carolingio, come se esso fosse stato valido ed efficiente in sé, mentre, in realtŕ, Il governo carolingio “non era molto efficiente: funzionň soltanto finché durň l’espansione, cioč soltanto finché poté contare su nuove risorse”. “Il suo potere non si reggeva su alcuna qualitŕ intrinseca, ma soltanto sulle conquiste militari e sull’espansione, che terminarono subito dopo l’anno 800”.
Una volta, perň, che il governo dovette operare entro confini stabili, e ancor piů quando dovette fronteggiare una riduzione dei domini dell’impero, si rivelň inefficiente e tutte le contraddizioni, che non erano state risolte, ma soltanto brillantemente superate, vennero alla luce”.
Non č quindi vero che “funzionň alla perfezione, o quasi, fino all’814, per sfasciarsi a causa dei difetti del figlio di Carlo, Ludovico il Pio”, ma piuttosto si deve riconoscere che “le deficienze erano inerenti alla struttura del potere”, la quale si fondava su di “un amalgama di forze divergenti, tenute insieme soltanto dai successi esterni”.
32. Il giudizio sulle istituzioni politiche carolinge - 3 (Werner, 1998) “Questa administratio, di origine romana, con qualche modifica e dimostrando un’efficacia sorprendente, precedette di un millennio l’amministrazione moderna”.
“Lo stato franco, dai Merovingi agli Ottoni, cristianizzň l’Occidente, ma poté farlo solo perché aveva imparato dal mondo romano come governare uno stato abitato da una moltitudine di popoli che parlavano lingue diverse, cioč adottando il latino, che ancora nel 1200 era la lingua unica di questa administratio in Occidente, eccettuata l’Inghilterra.
Questa impresa, che richiese migliaia di traduzioni locali nella lingua madre degli amministrati, costituě la realizzazione comune dei re e dei nobili, laici ed ecclesiastici”.
La storiografia moderna, a partire da quella del XIX secolo, partě orientata dal pregiudizio nei confronti del modello carolingio, né dimostrň di “comprendere queste forme statali, perché era incapace di concepire un modello di stato che non fosse il proprio”.
33. Benedetto di Aniane e la riforma monastica Benedetto di Aniane (750-821), visigoto, nasce come Witiza o Vitiza, figlio di Agilulfo, comes di Maguelonne in Settimania;
nel 774 č antrustio nell’esercito di Carlo Magno in Italia;
in seguito si fa monaco e diviene abate di Maursmünster;
č l’ispiratore della “dieta di Aquisgrana” dell’816, convocata per ristabilire nel clero secolare e regolare l'osservanza di norme uniformi e rigorose.
Nell’817 gli abati, convocati per appoggiare la “dieta imperiale”, promulgano il capitulare monasticum, relativo all'organizzazione dei monasteri.
Il capitulare impone a tutti i monaci la regola benedettina, con pochi adattamenti alle diverse condizioni dei vari monasteri;
un secondo capitulare dell’818 rende l'abate elettivo;
Dopo le due “diete”, Benedetto di Aniane pubblica una collectio capitularis allo scopo di precisare, completare o adattare alla situazione numerosi dettagli della regola.
A quattro secoli dalla fondazione di Montecassino, il sistema benedettino, con qualche ritocco marginale, diviene l'unico regime del monachesimo occidentale (Pacaut, 1989).
34. Ludovico I e l’“Imperium Christianum” Ludovico I (814-840), č denominato “il Pio” perché accoglie il pensiero politico dei piů illustri ecclesiastici del tempo e in particolare di Rabano Mauro e Benedetto di Aniane ed il loro ideale universalistico di “Imperium Christianum”;
Ludovico č consapevole dei difetti dell’organizzazione di governo carolingia e cerca di intervenire in due modi:
1) fare dell’impero una realtŕ, cosa che non era mai stato ai tempi di Carlo Magno;
2) usare l’idea di un unico impero come strumento per unificare le terre franche e farne il legame che le tiene unite, “compensando le differenze nelle loro origini e nella loro storia”.
Per questo sostituisce i tre titoli che Carlo aveva portato, rex Francorum, rex Langobardorum e imperator con il titolo esclusivo di imperator, con ciň ponendo in netta evidenza il carattere unitario dell’impero, alla cui unitŕ politica veniva peraltro attribuito un significato religioso.
Il sigillo di Ludovico reca la dicitura “Renovatio regni Francorum”, riflettendo il proposito di dare nuova vita al regno franco attraverso l’attuazione dell’idea imperiale.
35. La Ordinatio imperii (817) Č una constitutio con cui Ludovico I proclama solennemente l’unitŕ dell’impero, e contestualmente afferma i principi di primogenitura e indivisibilitŕ dei domini.
Il figlio primogenito Lotario I (Lothar) č proclamato imperatore ed unico erede della dignitŕ del padre, con diritti su tutti i domini franchi.
A ciascuno degli altri figli spetta il titolo di rex, a Pipino di Aquitania e a Ludovico di Baviera, ma queste monarchie sono subordinate allo scettro del fratello maggiore.
L’unitŕ dell’impero diviene cornice di una pluralitŕ di dominazioni politiche di membri diversi della famiglia imperiale, ma, a differenza di quanto avveniva in passato, uno solo č l’imperatore, mentre i reges esercitano una sovranitŕ limitata ad un dato territorio, che resta comunque parte integrante dell’impero e gli sono pertanto subordinati.
36. L’istituzione delle “monarchie subordinate”(Barraclough, 1976) “l’istituzione delle monarchie subordinate rappresentava poco piů che una misura di decentramento amministrativo all’interno di un unico impero; veniva conservata l’unitŕ dell’insieme e le singole monarchie avrebbero dovuto, se necessario, prestarsi un reciproco aiuto militare”.
Inoltre era loro “inibito seguire politiche estere indipendenti”, per cui “non avrebbero potuto concludere dei trattati separati, né inviare o ricevere ambascerie”.
Lotario I č associato da subito al potere ed emana capitolari diretti a introdurre elementi di unitŕ e di razionalizzazione delle istituzioni politiche in tutto il territorio imperiale.
E’ inviato in Italia, per controllare il dominio temporale pontificio intorno a Roma, che diviene una sorta di “protettorato imperiale”. Il papa, pur continuando ad essere il vescovo di Roma e quindi come tale eletto dai Romani, laici e chierici, deve, prima di essere consacrato, prestare giuramento di fedeltŕ all’imperatore.
37. La duplice opposizione(Barraclough, 1976) Questa politica, che implica “una nuova concezione dello stato”, provoca una duplice opposizione:
1) quella del papa, motivata, piů che dalla imposizione di una “tutela imperiale”, dal fatto che “l’impero, prima in seguito all’accordo dell’812, poi con l’incoronazione di Ludovico nell’813 [...]” č divenuto estraneo a Roma”, in quanto č lo stesso imperatore a incoronare e legittimare il suo successore, e per il papato un impero franco che costituisca un’istanza universalistica indipendente dalla Chiesa, con sede ad Aachen anziché a Roma č un pericolo;
2) quella di parte della nobilitas franca, che sostiene la tradizione dello stato patrimoniale” e le ragioni di un “dominio etnico” dei Franchi sugli altri popoli, e quindi “che vede la salvezza non nei cambiamenti, nelle riforme e nella rinascita religiosa, ma nella conservazione dell’egemonia franca sulle terre conquistate, sulla Chiesa e sul papato”, che permette arbitri e spoliazioni.
38. La composizione del dissidio con il papa La composizione del dissidio č possibile grazie al pensiero di Benedetto di Aniane, che porta ad accentuare la nuova concezione dello stato nei termini di imperium Christianum, e quindi di “monarchia universale”, la cui unitŕ avrebbe dovuto essere innanzi tutto “garanzia della libertŕ delle chiese, della sicurezza delle loro proprietŕ e dell’equa distribuzione delle loro ricchezze”, tanto che dividere l’impero avrebbe significato “provocare uno scandalo nella santa Chiesa”.
Il papa Stefano IV persuade Ludovico a farsi incoronare di nuovo, questa volta da lui, nell’816;
suo figlio Lotario, incoronato ad Aquisgrana di fronte al placitum dei grandi del regno alla maniera franca nell’817, si lascia incoronare di nuovo a Roma dal papa nell’823 ;
Ludovico II, figlio di Lotario I, č incoronato imperatore tre volte dal papa, nell’844, nell’850 e nell’872.
La ripetizione crea il precedente e da allora la pratica secondo la quale il sovrano elevava alla dignitŕ imperiale suo figlio scompare e dopo l’850, nessun imperatore riceve la propria carica se non a Roma e dalle mani del papa”
39. I dissidi con la nobilitas franca I dissidi con il partito dell’aristocrazia favorevole alla restaurazione dello stato patrimoniale si acuiscono quando l’imperatore rimette nell’829 in discussione i termini della Ordinatio imperii, attribuendo il titolo di rex anche a Carlo, il figlio piů giovane nato dalla seconda moglie Giuditta di Baviera;
Ludovico moltiplica le concessioni di terre in vassaticum per aumentare i funzionari fedeli alla causa unitaria, ma con ciň finisce per esaurire il fisco, base economica della monarchia.
Alla morte di Ludovico nell’840, tra i tre figli superstiti, Lotario, Ludovico e Carlo scoppia la guerra civile.
Ludovico e Carlo si alleano con la nobilitas favorevole allo stato patrimoniale contro Lotario, sostenuto dai vassalli e chierici sostenitori dell’idea unitaria, tra cui l’abate Rabano Mauro.
La battaglia decisiva ha luogo a Fontenoy nell’841 e si conclude senza vincitori, né vinti. Lotario č costretto a ritirarsi ad Aquisgrana e piů tardi ad accettare la divisione dell’impero.
40. Il trattato di Verdun (843) Lotario conserva il titolo imperiale e la Frisia, Austrasia, Svevia, parte della Borgogna, la Provenza e l’Italia centrosettentrionale;
cede a Ludovico il Germanico, la parte orientale: la Sassonia, l’Alamannia, la Turingia, la Baviera e la Carinzia;
cede a Carlo il Calvo, la parte occidentale: la Neustria, parte della Borgogna, l’Aquitania e la Settimania.
Di fatto, il trattato di Verdun “mette al posto di un impero tre regni indipendenti” e segna l’affossamento dell’ideale di unitŕ propugnato nell’817 nella Ordinatio Imperii.
Il concetto dell’unitŕ sopravvive come ideale, del quale č custode la Chiesa piuttosto che la monarchia. Resta il titolo imperiale, ma “il tentativo di dargli una sostanza ed un significato era fallito”: “l’auctoritas imperiale, intesa come “magistratura universale” in senso romano non era dunque riuscita a imporsi, se non a livello teorico: se infatti rimaneva un solo imperatore, egli non aveva potere reale al di fuori dei territori da lui direttamente controllati”. (Barraclough, 1976)
41. Il trattato di Verdun (843)
42. Le vicende del “regno di mezzo”(Barraclough, 1976) “Presentava una serie di caratteristiche vantaggiose”:
1) “comprendeva le due capitali, Roma ed Aquisgrana, per cui era stato destinato all’imperatore;
2) era di gran lunga il piů ricco dei tre regni”.
3) “il suo territorio includeva l’antico paese d’origine della dinastia carolingia”, l’Austrasia, per cui comprendeva la maggior parte delle proprietŕ regie, dalle quali la monarchia traeva le proprie risorse materiali”;
grazie a tali ricchezze, era in grado “non solo di difendersi bene, ma di fare anche qualcosa di piů”.
Alla morte di Lotario nell’855 si procede ad una spartizione del “regno di mezzo” tra i suoi tre figli: l’Italia tocca al primogenito, che č incoronato imperatore dal papa come Ludovico II; la Provenza va a Carlo e Lotario II, “riceve le terre a nord, che da lui e non da suo padre hanno preso il nome di Lotaringia, o Lorena”.
43. Le vicende del “regno di mezzo”(Barraclough, 1976) La divisione dell855, piů di quella dell’843 ha effetti decisivi, in quanto “l’impero, che sotto Lotario conservava qualche importanza esercitando una certa egemonia sulle altre due monarchie, era ora ridotto al solo territorio italiano e, di conseguenza, cadde sempre piů sotto il controllo del papato”.
Il regno di mezzo, diviso in tre parti, non puň piů fare da contrappeso tra gli altri due, né mantenere le proprie posizioni.
La Lorena, provincia piů ricca e con la percentuale maggiore di proprietŕ del demanio regio, diviene oggetto di contesa tra il sovrano dei Franchi occidentali e quello dei Franchi orientali.
Nell’869, alla morte di Lotario II, i due reges di occidente e di oriente si dividono il suo regno con il trattato di Meersen.
Alla morte di Ludovico II nell’875, il papa offre la corona imperiale a Carlo il Calvo, re dei Franchi occidentali, nella speranza che possa aiutarlo contro le incursioni dei Saraceni.
E’ la fine di quel che rimane del “regno di mezzo”.
44. La frammentazione dell’impero Gli effetti delle ripetute divisioni dell’impero fanno affermare a Floro di Lione che “non vi č piů un imperatore, e neanche un rex, ma solo dei reguli”; che anzi “non v’č piů un regno, ma dei fragmina regni.
Le frequenti incursioni e talora invasioni di Normanni, Magiari, Slavi e Saraceni provocano devastazioni e insicurezza.
Le crescenti difficoltŕ degli eserciti franchi, privi dell’appoggio di una flotta, lenti a riunirsi attraverso il meccanismo dell’eribanno e inadatti a una difesa mobile, inducono ad una “evoluzione politica e sociale che tendeva a disgregare ovunque i regni e a sostituirli con piccoli organismi territoriali”.
Il segno visibile di questa trasformazione č il moltiplicarsi dei castelli e delle fortezze, unico efficace strumento di difesa contro le incursioni di bande di pirati e di veloci cavalieri, pronte a predare cittŕ e villaggi, ma incapaci di svolgere assedi.
Di solito le costruzioni avvengono su spontanea iniziativa di membri della nobilitas o addirittura di privati.
45. Il capitolare di Carlo il Calvo dell’864 Carlo il Calvo, figlio minore di Ludovico I, č rex dei Franchi occidentali e diventa imperatore nell’875.
Con il capitolare ordina l’abbattimento dei “castelli, fortificazioni o palizzate” costruiti senza l’autorizzazione regia da parte dei potenti locali, che servivano non solo per difesa da incursioni, ma anche contro i vicini et commanentes, i piccoli possessori che abitavano nello stesso vicus in cui si trovavano i beni signorili protetti dalla fortificazione.
Castelli e fortezze divengono “strumenti di predominio locale”, con lo sviluppo di strutture politico-militari autonome, in cui il signore laico o ecclesiastico detiene guarnigioni di vassi, con cui non solo difende la regione circostante, ma compiere soprusi e spoliazioni a danno di altri uomini liberi.
Molti castelli perdono dunque il carattere di fortezza pubblica controllata dal sovrano per divenire oggetti di piena proprietŕ di signori, laici o ecclesiastici, che finiscono per esercitare sul territorio protetto dal castello un “potere tendenzialmente sostitutivo di quello degli ufficiali pubblici”.
46. Gli effetti a lungo termine di vassaticum e immunitas Il vassaticum, inizialmente elemento di integrazione, diventa con il tempo motivo di disgregazione, poichč, a fianco delle clientele vassallatiche regie, si sviluppano le clientele di duchi, marchesi, conti, vescovi e abati, che attraggono nella loro sfera un numero sempre maggiore di vassalli regi.
Altre “isole di giurisdizione signorile”, analoghe ai castelli, nascono laddove il rex aveva concesso alle chiese privilegi di immunitas dal potere delle autoritŕ pubbliche.
I controlli stabiliti da Carlo Magno nell’VIII secolo attraverso gli advocati, giŕ agli inizi del X secolo scompaiono del tutto.
I beneficiari cessano di essere ausiliari del potere regio “per esercitare a loro esclusivo vantaggio proprio quei diritti regali che la concessione di immunitŕ aveva un tempo sottratti agli ufficiali del re”. (Comba, 1980)
47. Il capitolare di Quierzy-sur-Oise dell’877 Se ai tempi di Carlo Magno la nomina di duces, marchiones e comites era ancora intuitu personae, con il tempo si afferma di fatto il principio della trasmissione ereditaria dei titoli.
Carlo il Calvo, in partenza per la guerra, interviene a dettare alcune regole sul governo del regno in sua assenza, tra cui quelle sul da farsi per la trasmissione dei beneficia.
Nel caso della morte di un comes, la gestione del comitatus č affidata ad un consiglio composto dal vescovo del luogo e dai ministeriales, gli amministratori del patrimonio fondiario, mentre l’imperatore si riserva la decisione finale.
Salvo motivi particolari, si dŕ per scontato che la successione tocchi all’erede del defunto, il quale sarebbe stato a suo tempo “investito delle cariche di suo padre” dal sovrano.
L’imperatore ordina nello stesso capitolare a tutti i nobiles “di seguire le stesse norme verso i loro vassalli”.
Il capitolare, pur non stabilendo istituzionalmente l’ereditarietŕ dei beneficia, pone le premesse giuridiche perché questa venga considerata una prassi generalizzata in tutto l’impero, salvo motivate eccezioni.
48. Le conseguenze La legittimazione della prassi dell’ereditarietŕ delle cariche e dei benefici infligge un altro duro colpo all’autoritŕ regia e consente agli ufficiali pubblici di conseguire margini sempre maggiori di autonomia dal potere centrale.
Il risultato complessivo di queste trasformazioni č il graduale “dissolversi dell’autoritŕ statale” attraverso lo “sfaldamento delle grandi divisioni territoriali pubbliche a vantaggio dei poteri locali che emergevano caoticamente dal possesso di castelli o di grandi complessi fondiari”. (Comba, 1980)
Marchesati e contee, piů che delegazioni regie e distretti pubblici affidati amministrativamente a membri della nobilitas, tendono ormai a divenire parte integrante del patrimonio familiare dei nobili, che vanno ampliandosi o riducendosi territorialmente con le acquisizioni o le perdite patrimoniali e le fortune politico-militari della dinastia comitale o marchionale.
49. Il declino dell’istituzione monarchica Il potere regio č sempre meno in grado di funzionare come il fulcro di un ordinamento pubblico distribuito nel regno.
I reges conservano le corti, un certo potere di imposizione fiscale, sia pure in gran parte esercitato attraverso i nobili e gli ecclesiastici, e le proprie clientele vassallatiche.
Intervengono “nella concorrenza fra i poteri politici che emergevano caoticamente dal basso, ma la loro forza non era tale da potersi esercitare a distanza attraverso un’organizzazione capillare del potere pubblico”.
Il rex č ormai un “potente tra i potenti”, che si muove “in una innumerevole ed eterogenea pluralitŕ di poteri” ed assume con questi ultimi un rapporto competitivo, spesso operando il proprio rafforzamento approfittando delle loro divisioni.
Pochi anni dopo la morte di Carlo il Calvo nell’877, non sono piů emanati capitolari”.
Nessun rex dei Franchi occidentali č piů in grado di legiferare uniformemente per tutto il regno.
50. L’effimera riunificazione dell’884 Carlo il Grosso (839-888), uno dei figli di Ludovico il Germanico, ricevuta la corona imperiale da papa Giovanni VIII nell’881, succede prima al fratello Ludovico III come rex dei Franchi orientali nell’882 e poi a Carlomanno II come rex dei Franchi occidentali nell’884.
“Essendosi quasi estinta la famiglia dei carolingi, tutto l’impero, ad eccezione della Borgogna, accettň Carlo il Grosso come sovrano”, e questo fatto “dimostra fino a che punto le questioni nazionali fossero assenti in tutti questi avvenimenti”. “Carlo č l’ultimo figlio di Ludovico il Germanico e tutta la Francia lo riconosce”. (Pirenne, 1936)
Se non che, “la sua incapacitŕ e i vergognosi trattati che fece con i Normanni”, che nell’886 assediavano Parigi, “esaurirono la pazienza dell’aristocrazia” e finiscono col rendere definitiva la divisione tra le due parti dell’Impero.
Dal momento della deposizione di Carlo il Grosso nell’887, il titolo di rex di Italia, e con esso il diritto di aspirare alla dignitŕ imperiale, č oggetto di contesa tra sovrani franchi e membri della nobilitas locale e, a partire dall’891, vi č una serie di imperatori non carolingi.
51. Il regno dei Franchi occidentali La sconfitta franca dell’886 contro i Normanni porta alla deposizione di Carlo il Grosso ed alla messa in discussione del principio della successione dinastica carolingia.
I Franchi orientali nell’887 proclamano rex Arnolfo, duca di Carinzia, ancora membro della famiglia carolingia, ma solo in quanto figlio illegittimo di Carlomanno, rex di Baviera, a sua volta figlio di Ludovico il Germanico.
I Franchi occidentali, in risposta, incoronano rex a Compičgne nell’888 Odo (860-898), comes di Parigi, difensore della cittŕ contro i Normanni, che poi sconfigge a Monfaucon.
La Borgogna si proclama indipendente e incorona Rodolfo.
Arnolfo nell’895 si annette la Lotaringia, che lo riconosce e riesce a farsi incoronare imperatore nell’896.
Nell’893, cessato il pericolo normanno, la nobilitas dei Franchi occidentali depone Odo e reintegra la dinastia carolingia, incoronando Carlo III il Semplice (879-929), figlio di Ludovico II e nipote di Carlo il Calvo.
52. La mancata riunificazione dell’899(Pirenne, 1936) Carlo III alla morte di Arnolfo nell’899 avrebbe potuto tentare di ricostituire nuovamente l’unitŕ carolingia, “ma non ne fece nulla”, e “i grandi della Francia orientale riconobbero come re il figlio di Arnolfo, Ludovico il Fanciullo, che aveva appena sette anni e che discendeva ancora dai carolingi”.
Nonostante fossero carolingi, “né i Francesi riconobbero Arnolfo nell’887, né i Tedeschi Carlo il Semplice nell’899”.
Tuttavia “i Francesi nell’883 avevano riconosciuto Carlo il Grosso, perché era imperatore dall’881”, mentre Carlo il Semplice non lo era e per di piů Ludovico il Fanciullo era egli stesso di discendenza carolingia.
Questa fase si caratterizza a livello istituzionale per “una continuazione della monarchia nella dinastia”, anche se la dinastia stessa era divisa, l’impero disputato, e “l’aristocrazia disponeva delle corone a sua volontŕ”.
53. Le origini del ducato di Normandia Carlo III, a seguito di una nuova e piů consistente invasione dei Normanni nel 911, anziché combatterli, decide di venire a patti con loro e di integrarli istituzionalmente nel regnum.
In circa un secolo i Franchi, da dominatori incontrastati di buona parte dell’Europa continentale, si trovano divisi in piů regni, costretti a pagare tributi ai barbari e ad ora persino ad accettarne lo stanziamento in armi all’interno dei propri confini, come era accaduto all’Impero romano.
Con il trattato di Saint-Clair-sur-Epte lo jarl normanno Hrôlfr, detto il Camminatore, viene battezzato come Robertus, e in cambio della pace e della rinuncia all’assedio di Chartres, Carlo gli riconosce il titolo di comes di Rouen.
Successivamente lo nomina dux della intera regione della Neustria comprendente le contee di Caux, Evreux e Lisieux, che riceve il nome di Normandia.
54. Le origini del ducato di Normandia In cinquant’anni i duchi di Normandia stabiliscono “un sistema di relazioni vassallatiche particolarmente restrittivo”, in molti aspetti originale “rispetto al sistema carolingio”.
I Normanni si inseriscono nel sistema delle istituzioni politiche franche modificandole dall’interno, ma mantenendo gli assetti che avevano consentito con successo nei secoli precedenti di integrare in Neustria vecchi e nuovi membri della nobilitas originari di popolazioni diverse.
In breve i Normanni di Normandia adottano le lingue latina e romanza e mutano diversi aspetti della propria cultura.
Apprendono non solo il vassallaggio come forma di organizzazione sociale, ma sono in grado di utilizzarla al meglio per compiere la trasformazione della loro aristocrazia, in milites-cavalieri, che divengono in breve i migliori d’Europa.
Nel 1066 sotto Guglielmo saranno in grado di conquistare la Britannia e di introdurvi, in forme del tutto originali, l’apporto della lingua latina e del regime feudale, assenti sotto i Sassoni
55. Il regno dei Franchi occidentali La guerra civile riprende nel 922, quando alcuni nobili incoronano rex Roberto I, fratello di Odo a Reims.
Roberto č sconfitto e ucciso nella battaglia di Soissons nel 923, ma lo stesso anno Carlo III č deposto da Rodolfo, rex di Borgogna, che diviene rex dei Franchi occidentali.
Il regno franco occidentale si trova in un periodo di grave crisi dell’ordinamento pubblico, in cui, a fronte della crescente autonomia della nobilitas, si succedono sul trono, fra lotte quasi costanti, membri della dinastia carolingia e discendenti del comes di Parigi.
A prevalere č infine uno di questi ultimi, Ugo Capeto (940-996), figlio di Edvige di Sassonia ed Ugo il Grande, cognato di Rodolfo, che i nobili del regno eleggono a Senlis nel 987, preferendolo a Carlo di Lorena, nipote di Carlo III.
Un ruolo decisivo nell’elezione del nuovo rex lo hanno gli ecclesiastici, guidati dall'arcivescovo di Reims Adalbéron, che credeva nel progetto di una monarchia cristiana universale (quella degli imperatori della dinastia sassone) sovraordinata ad una serie di monarchie autonome.
56. Ugo Capeto e i Capetingi Ugo Capeto, sassone per parte di madre e primo cugino dell’imperatore Ottone II, prende a modello la dinastia imperiale degli Ottoni che regnava sui Franchi orientali.
Per prevenire alla sua morte ulteriori dispute dinastiche, fa incoronare rex sin dal 987 il figlio Roberto, che nel 996 gli sarebbe successo come Roberto II, e fa imprigionare il pretendente Carlo di Lorena.
Diviene cosě il capostipite della dinastia capetingia, che avrebbe governato la Francia senza interruzioni sino alla rivoluzione francese.
Il regnum č tuttavia in preda a forze centrifughe, che premono in direzione della dissoluzione delle sue istituzioni politiche.
I comites e gli altri nobili si trasmettono ereditariamente titoli, cariche e beneficia, senza alcun controllo regio e alienano le funzioni pubbliche, come se si trattasse di patrimoni propri.
Gli ecclesiastici dispongono dei beni della Chiesa, compresi vescovati e monasteri, in favore di familiari e di terzi.
57. Le “signorie locali di banno” La disgregazione politica post-carolingia costituisce un “fattore di profonda rottura con il passato”, per cui il vecchio regime, in cui il banno č prerogativa del rex e dei suoi delegati, si complica con “l’instaurazione di innumerevoli signorie territoriali di banno”, comprendenti contestualmente poteri di comando e coercizione (districtus o districtio), di giurisdizione (placitum), e di esazione (census).
La formazione delle “signorie locali di banno” č il risultato della convergenza di due aspetti: la patrimonializzazione dei poteri pubblici connessi alla dignitŕ di dux, marchio, comes, e “lo sviluppo in senso tendenzialmente pubblico delle preponderanze economiche e militari a livello locale”.
I successori di Ugo Capeto, Roberto II (972-1031) ed Enrico I (1008-1060) non controllano ormai che la regione compresa tra Parigi, nuova capitale del regnum, e Orléans.
Alla metŕ del secolo XI il re di Francia č meno potente di molti suoi vassalli, come il duca di Normandia, il conte di Fiandra e il conte d’Anjou, a cui non riesce piů a imporsi.
58. Il regno dei Franchi orientali el’incoronazione di Forchheim del 911 Alla morte di Luigi il Fanciullo (893-911), ultimo erede della dinastia carolingia, i grandi dei quattro ducati del regnum dei Franchi orientali, Franconia, Svevia, Baviera e Sassonia, anziché riconoscere come unico sovrano Carlo III il Semplice, incoronano solennemente a Forchheim nel 911 Corrado I, giŕ dux di Franconia. Corrado, seppure non di diretta discendenza carolingia, essendo il duca di Franconia, riteneva di dover essere considerato il primo tra i nobili franchi.
La sua nomina si fonda su di un tentativo di traslazione del principio di legittimazione dinastico in un principio di legittimazione su base etnico-territoriale, sul presupposto della persistente supremazia franca sugli altri popoli del regnum.
Tale principio non č condiviso dai “grandi della Lotaringia tanto tedeschi che romani”, i quali, fedeli al principio di legittimazione dinastica, “si distaccarono dalla Francia orientale, alla quale erano stati uniti dal regno di Arnolfo di Carinzia in poi e riconobbero come sovrano [...] il re della Francia occidentale, Carlo il Semplice”. (Pirenne, 1936)
59. La rottura dell’unitŕ carolingia (Pirenne, 1936) L’autore belga, per quanto concordi su una totale assenza di una qualsivoglia “idea nazionale” nell’aristocrazia del tempo, sostiene che i responsabili della rottura dell’unitŕ carolingia siano i Franchi orientali, in quanto:
“i transrenani, nominando Corrado, avevano decisamente rotto i rapporti con la dinastia carolingia”, per cui “si puň far cominciare dall’elezione di Corrado la dissoluzione definitiva dell’unitŕ carolingia, divenuta fatale da quando la dinastia non cingeva piů la corona imperiale”;
da questo momento in poi “la grande Francia non esiste piů” ed “č interessante notare che il suo nome da allora si restringa al paese dove ancora regna un carolingio”;
“occorre parlare ormai di regno di Francia e di regno di Germania”, i quali “si sono separati e seguiranno il loro destino, senza che le varie nazionalitŕ vi abbiano contribuito in alcun modo o che ne abbiano avuto coscienza”.
Della “scomparsa unitŕ carolingia conservano entrambi la stessa ereditŕ comune”, vale a dire “l’indissolubile unione del potere reale con la Chiesa”, “in virtů stessa della concezione dei doveri della monarchia che ancora sussiste”.
60. La transizione alla dinastia sassone Alla morte di Corrado nel 919, con l’appoggio di Svevia e Baviera, per la prima volta la corona passa ad un nobile non franco, il dux di Sassonia Enrico I (876-936) l’Uccellatore.
E’ un segno dei mutati equilibri all’interno del regnum a maggioranza germanica, in cui la tradizionale posizione di egemonia dei Franchi, che ormai costituiscono la popolazione di uno solo dei quattro ducati principali, č da ritenersi superata.
61. La transizione alla dinastia sassone La questione della legittimitŕ del passaggio del potere dai duchi di Franconia alla dinastia sassone rimane controversa.
Il monaco sassone Widukind di Corvey (925-980), autore del Res gestae Saxonicae, intende dimostrare la legittimitŕ dei Sassoni nel succedere ai Franchi nella sovranitŕ sul regnum orientale, mettendo soprattutto in rilievo la cultura franca posseduta dai due primi re sassoni, Enrico I e Ottone I.
62. La renovatio imperii di Ottone I Un primo, coerente disegno istituzionale di restaurazione dell’autoritŕ imperiale si ha con Ottone I (912-973), figlio e successore di Enrico, che alla sua morte non divide il regno.
Nelle regioni germaniche le autonomie signorili di carattere territoriale si andavano diffondendo piů lentamente che in Gallia, ma ciň nonostante il potere della nobilitas era comunque preminente.
Ottone cerca con alcuni capitolari di riaffermare la centralitŕ del rex e limitare l’autonomia dei nobili.
Lorena, Baviera, Franconia, e persino di una parte dell’aristocrazia sassone si ribellano e appoggiano la candidatura alternativa di Enrico, fratello minore del re.
Ottone nomina Enrico rex di Baviera e batte i ribelli nel 939.
Ottone si vale dell’appoggio dei vescovi, sostenitori dell’ideale di un’autoritŕ imperiale universale, e sostituisce, i duchi sconfitti con membri della propria famiglia.
63. La renovatio imperii di Ottone I Nel 953-954 deve sedare una nuova ribellione, capeggiata questa volta dal figlio Liudolfo, dux di Svevia, e dal genero Corrado il Rosso, dux di Lorena.
Da allora non si fiderŕ piů di membri della nobilitas laica.
Nel 955 riporta una decisiva vittoria contro i Magiari a Lechfeld.
L’episcopato viene “sostanzialmente associato al governo” del regno, con l’attribuzione ai vescovi di numerosi privilegi e immunitŕ e di poteri comitali di districtus, e cioč di piena giurisdizione, in sostituzione dei comites laici.
Ottone, approfittando della concomitante crisi del papato, si comporta come il vero capo della Chiesa nel suo regno, nominando direttamente i vescovi e gli abati dei monasteri regi, ricevendo i loro giuramenti di fedeltŕ e investendoli allo stesso tempo delle funzioni spirituali e dei beni temporali.
I vescovi divengono da allora dei veri signori territoriali, con introiti e forze militari non trascurabili.
64. La riorganizzazione dello stato(Werner, 1998) Ottone crea “un ingegnoso sistema, obbligando i grandi vassalli, soprattutto alcuni vescovi e abati regi, ma anche duchi, conti” e altri nobili che disponevano di piů di una ventina di vassi propri, “a fornire all’esercito regio un numero prefissato di cavalieri armati pesantemente, e la metŕ di questo numero nel caso di una campagna militare al di lŕ delle Alpi”. “Le grandi chiese potevano fornire fino a cento cavalieri debitamente accompagnati”.
Il re “non era piů lui a controllare direttamente, come invece aveva fatto Carlo Magno, il reclutamento di questi uomini, bensě il grande vassallo. Quest’ultimo era dunque il vero signore della nobiltŕ su quello che stava per diventare il suo territorio; meglio ancora, poteva armare come cavalieri pesanti dei ministeriales non liberi delle sue terre”.
“La “ministerialitŕ” ecclesiastica e laica delle terre dell’impero, insieme con quella regia, si trasformň cosě in un fattore politico e sociale di primo piano”, mentre i grandi vassalli sarebbero divenuti nei secoli successivi “principi dell’Impero”.
65. La riorganizzazione dello stato I ministeriales, agenti signorili incaricati di gestire per conto dei nobili quote dei loro domini, quasi sempre di origine servile, si distaccano nettamente dalla massa dei contadini, fino a costituire una classe ereditaria, con funzioni militari e amministrative.
La politica tesa a dirigere il clero ed a fare nuovamente di duces e comites dei veri funzionari del rex rende Ottone intorno al 960 “il solo sovrano dell’Occidente in grado di farsi obbedire in tutto il regno”.
Nel regnum di Italia, che comprendeva pianura padana e Toscana, le guerre civili tra i pretendenti alla corona e le continue incursioni di Ungari e Saraceni avevano accresciuto la disgregazione delle istituzioni politiche franche.
L’autonomia dei signori laici ed ecclesiastici era cresciuta.
Ottone nel 952 riesce a imporre come unico rex di Italia il marchese Berengario di Ivrea.
66. Il privilegium Othonis Nel 962 il rex riceve dal papa Giovanni XII la corona imperiale.
Ottiene altresě dal papa un arcivescovato a Magdeburgo, e l’evangelizzazione degli slavi č affidata al clero imperiale.
Con il Privilegium Othonis (962) viene sancito che “nessun papa avrebbe piů potuto essere consacrato senza essere stato preventivamente confermato dall’imperatore”.
All’imperatore sono attribuiti reali diritti di sorveglianza, anche militare, sulla cittŕ di Roma.
Ottone si impegna in cambio a riconoscere tutte le donazioni territoriali elargite da Pipino il Breve e Carlo Magno alla Chiesa, in parte sottratte dai reges franchi di Italia, ma tali beni sarebbero rimasti sotto la tutela imperiale.
L’imperatore si erge a difensore della cristianitŕ, con il duplice intento di promuovere una riforma della Chiesa e di legittimare il controllo imperiale sul papato.
Il papa presta giuramento di alleanza all’imperatore.
La nobiltŕ e il popolo romano devono a loro volta prestare all’imperatore un giuramento di fedeltŕ.
67. La renovatio imperii di Ottone I Ottone I riesce altresě:
a far incoronare imperatore il figlio Ottone II (967);
ad imporsi ai duchi Longobardi di Capua e Benevento;
ad ottenere dall’imperatore d’Oriente il riconoscimento del titolo imperiale (972) ed il consenso al matrimonio tra Ottone II e la principessa bizantina Teofano.
A differenza di quello fondato da Carlo Magno a seguito dell’accordo con i Bizantini nell’812, l’impero restaurato da Ottone I nel 962, anche se si estendeva a buona parte dell’Italia e a qualche altro territorio europeo, era un impero quasi esclusivamente germanico.
Ottone II (955-983) deve affrontare la rivolta dei duces di Baviera, Svevia e Lorena, sostenuti dai Franchi occidentali di re Lotario IV, e in Italia meridionale la rivolta dei duchi Longobardi e l’invasione dei Saraceni e non č in grado di consolidare il quadro delle istituzioni politiche impostato dal padre.
68. Ottone III e Gerberto di Aurillac Ottone III (980-1002) deve affrontare Slavi e Danesi.
Cerca di attuare un proprio originale disegno istituzionale di Renovatio Imperii, sotto la guida di Gerberto di Aurillac (950-1003), originario dell’Aquitania, uno dei piů grandi uomini di cultura e teorici del pensiero politico del suo tempo, prima arcivescovo di Reims e poi di Ravenna.
Il pensiero politico di Gerberto di Aurillac prevede un disegno di restaurazione di un Impero romano-cristiano universale, guidato dal papa e dall’imperatore, entrambi residenti a Roma, che avrebbe dovuto unire attraverso dei “semplici legami di dipendenza”, altri regni autonomi.
Il primo passo č l’appoggio determinante, tramite gli ecclesiastici, alla candidatura di Ugo Capeto, primo cugino di Ottone II, nel 987 al trono dei Franchi occidentali, che avrebbe posto fine alla contesa per la Lorena, garantito la pace a occidente ed assicurato all’imperatore un potente alleato.
69. Ottone III e Gerberto di Aurillac Ottone III favorsce la nascita a oriente del regno slavo di Polonia, ove Boleslao (967-1025), figlio del capo tribale Miezsko, convertito al cristianesimo nel 966, giŕ Piast di Polanie, da cui il nome attribuito alla nuova nazione, assume il titolo di rex e “fratello e collaboratore dell’impero, amico e alleato del popolo romano”.
Dopo la conversione al cristianesimo dei Magiari tra il 971 e il 991, e il loro stanziamento in Pannonia, Vajk, figlio di Geza, battezzato nel 979 con il nome di Stefano (969-1038), conquistata la supremazia sugli altri capi del suo popolo, viene incoronato come primo rex di Ungheria (Magyarorszag) nel 1001 e la unifica definitivamente nel 1006.
Ottone III č proclamato “nuovo Carlo Magno” e “nuovo Costantino” .
A Roma sono eletti due papi legati all’imperatore, prima Gregorio V (996-999) e poi lo stesso Gerberto di Aurillac, che prende il nome di Silvestro II (997-1003), che ha il proposito di attuare una seria riforma della Chiesa.
70. Enrico II L’aristocrazia romana nel 1001 provoca un’insurrezione e la cacciata del papa e dell’imperatore, che muore l’anno seguente, in un vano tentativo di riuscire a rientrare a Roma.
Il suo successore Enrico II (973-1024) abbandona il programma della monarchia universale per dedicarsi quasi esclusivamente alla Germania.
Per tutelarsi dal potere della grande aristocrazia laica, continua nella politica di stretta alleanza con vescovi e abati avviata da Ottone I, intervenendo nelle loro elezioni e utilizzandoli ampiamente nella propria amministrazione.
Enrico sconfigge il rex di Italia Arduino di Ivrea ed ottiene la corona imperiale nel 1014, ma non riesce a sottomettere del tutto la nobiltŕ laica.
L’autoritŕ imperiale, ridotta in Italia ad una “supremazia territoriale sporadicamente esercitata”, č incapace di garantire tanto un’amministrazione ed una giustizia uniforme, quanto la pace tra i signori locali.
71. L’Europa intorno all’anno 1000(Barraclough, 1976) Intorno al 1000, nessun re discende ormai piů dalla famiglia di Carlo Magno, anche se in molti si sforzano di prolungare nelle forme la tradizione carolingia, da cui la societŕ si allontana progressivamente;
“cento anni dopo la morte di Carlo, la situazione era totalmente cambiata, le strutture politiche irreversibilmente mutate. I singoli stati europei si andavano cristallizzando, la carta d’Europa cominciava ad assumere un aspetto chiaramente “moderno”
ciň che sopravvive delle istituzioni carolinge “sono degli elementi isolati, inseriti in un altro contesto e usati per finalitŕ nuove e diverse”
72. L’Europa intorno all’anno 1000
73. La societŕ dei tre ordini Il vescovo Adalbéron di Laon (947-1031),nipote dell’omonimo arcivescovo di Reims,che aveva favorito l’elezione al trono di Ugo Capeto, e figlio del comes Raniero di Bastogne, si impone come uno dei piů importanti teorici dell’ordine sociale e politico dell’Occidente cristiano, sulla scorta degli insegnamenti ricevuti dal suo maestro Gerberto di Aurillac.
Adalbéron scrive nel 1016 al re di Francia Roberto il Pio (972-1031) che “la casa di Dio č divisa in tre: chi prega (oratores), chi combatte (bellatores) e chi lavora (lavoratores)”.
E’ lo schema della societŕ tripartita, che giŕ da alcuni secoli corrispondeva all’ordinamento della societŕ occidentale.
E’ una potente rappresentazione sociale del mondo creato dall’ascrittivitŕ medioevale,in cui “gli uomini non sono uguali”.
Rispecchia altresě la tripartizione funzionale, 1. sacrale e giuridica, 2. guerriera e 3. produttiva, proposta da Georges Dumézil (1958), come fondamento primordiale e apparentemente immutabile, delle popolazioni indoeuropee.
74. Gli oratores Sono suddivisi nel gruppo dei chierici, “destinato alla cura pastorale ed inquadrato dall’episcopato”, e in quello dei monaci, imperniato prima sull’autonomia delle grandi abbazie e poi di vasti raggruppamenti monastici.
Nella generale disgregazione post-carolingia, le Chiese svolgono un ruolo di primo piano a livello istituzionale.
Una pluralitŕ di orientamenti religiosi concorrenti, con corpi di consuetudini diverse, si sviluppa all’interno di una cultura ecclesiastica ufficiale, organizzata all’interno delle scuole canonicali e monastiche, “ “permeata da una vigorosa tradizione di regole, destinate a disciplinare ogni aspetto della vita individuale e sociale”.
Un esempio di centro ecclesiastico di grande influenza culturale e politica č quello dell’abbazia benedettina di Cluny in Borgogna. Fondata nel 910 dal duca di Aquitania, ottiene l’autorizzazione papale a porre sotto la propria autoritŕ tutti i monasteri che avrebbero accettato l’ordo Cluniacensis, vale a dire il modo cluniacense di interpretare la Regula monastica benedettina.
75. I bellatores Sono i milites, gli uomini autorizzati a portare in permanenza le armi, eredi degli antrustiones merovingi e carolingi.
Rientrano nella rappresentazione condivisa presso tutti i principali popoli europei del cavaliere pesantemente armato, capace di temibili cariche in massa e grande valore individuale.
“uomo d’armi e cavaliere erano diventati spesso sinonimi, da quando, nel corso del X secolo, la fanteria aveva assunto una funzione sempre meno rilevante nel combattimento”.
Erano cavalieri “quei possessori di fondi che, oltre a disporre del denaro necessario all’acquisto del cavallo e dell’armatura, potevano permettersi di non dedicarsi personalmente alla gestione delle terre proprie o ricevute in beneficio e di impiegare il proprio tempo nell’allenamento e nelle spedizioni militari”.
76. L’istituzione della “cavalleria”(Comba, 1980) I bellatores sono uomini di condizioni sociali tra loro molto diverse, dal membro della nobilitas con beneficia e titoli ducali, marchionali o comitali, eventualmente possessore di un castello e persino titolare del potere di banno e di districtus, fino ai semplici vassi di possibilitŕ modeste, che prendevano dimora presso la residenza fortificata di un signore, verso cui si impegnavano al servitium.
A partire dal X secolo ha inizio “un processo di avvicinamento ideologico tra i vari strati dell’aristocrazia militare” attraverso “l’’importanza crescente che assumevano l’ingresso nella cavalleria, la cerimonia della vestizione e la consegna delle armi”.
Anche i cavalieri piů umili “si appropriano delle distinzioni che, come l’uso del titolo di dominus e di uno stemma di famiglia e come la residenza in una casa fortificata, erano riservate un tempo ai soli possessori di castelli”.
77. L’istituzione della “cavalleria”(Comba, 1980) Tutto questo divenne possibile perché “si diffuse un modello di comportamento cavalleresco attorno a cui si cristallizzň la coscienza dell’intera classe”.
Tale modello, formatosi nell’ambiente ecclesiastico del regno franco occidentale, sarebbe scaturito dall’esigenza di promuovere, “di fronte al disfacimento del potere regio” e “al crescere delle violenze”, talora perpetrate dagli stessi domini e milites, un “ideale del cavaliere come difensore dei deboli, cioč delle chiese, dei poveri, degli orfani e delle vedove, e come combattente per la difesa e l’espansione della cristianitŕ”.
Questa concezione sarebbe stata peraltro favorita nei secoli successivi dalle crociate in Terra Santa e con l’istituzione degli ordini religioso-militari.
78. I “laboratores” Sono in gran parte contadini di diverse condizioni economiche, da quelli che coltivano terre allodiali, di loro piena proprietŕ, ad altri che hanno terre in concessione, ad altri ancora che lavorano in fondi di proprietŕ di un signore.
L’člite del mondo rurale č costituita da “un ristretto ceto di possessori” non nobili, meglio dotati di terre” e dai ministeriales, “agenti di grandi proprietari fondiari”, cui il signore “affidava la vigilanza e l’organizzazione di singoli complessi fondiari, compensandoli con una parte delle rendite che erano incaricati di percepire”.
la “ministerialitŕ” soprattutto in Germania,acquisisce un’importante funzione sia amministrativa, che militare.
Tra l’XI e il XIII secolo si verifica un duplice processo:
1) cresce “nelle cittŕ il numero e l’importanza economica ed anche politica dei lavoratori dediti ad attivitŕ artigianali e commerciali, sempre piů differenziati socialmente”;
2) nelle campagne si assiste all’opposto ad “una progressiva unificazione delle condizioni giuridiche e sociali nell’ambito della signoria locale”. (Comba, 1980)