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Definizioni di Sociologia (lez. 1)

Definizioni di Sociologia (lez. 1). modalità specifica di “leggere” il suo oggetto, la società

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Definizioni di Sociologia (lez. 1)

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Presentation Transcript


  1. Definizioni di Sociologia (lez. 1) • modalità specifica di “leggere” il suo oggetto, la società • disciplina nata nell’800 in Europa in concomitanza con le profonde trasformazioni sociali prodotte dall’industrializzazione e sviluppatasi nel 900 soprattutto negli USA in concomitanza con esigenze e richieste di una nuova società in formazione • intende la società come realtà sui generis, peculiarmente umana, culturale, intreccio di componenti soggettive e oggettive, naturali e sopra-naturali, umane e non specifiche dell’umano • attualmente in fibrillazione in concomitanza con il transito dalla modernità alla post-modernità La società è relazione: verso un paradigma relazionale (Donati Cap. 1) • se nella semantica classica l’identità si definiva rispetto a se stessa (A=A) e la relazione con non-A era solo una conseguenza, con la modernità la relazione tra A e non-A diventa fondamentale: dapprima (semantica moderna) fondando l’identità di A per negazione (A = ciò che non è non-A), poi (semantica post-moderna) fondandola proprio sulla relazione con l’altro (A = r A-non A e relazione di A con se stesso per il tramite della relazione con non-A) • la sociologia relazionale assume la relazione sociale come oggetto di analisi • la relazione sociale è intesa come realtà sui generis costituita dall’effetto emergente di azioni che si orientano l’una all’altra simbolicamente (dimensione del refero) e strutturalmente (dimensione del religo) • la relazione sociale ha una necessità propria (è necessaria come relazione), mentre il modo in cui si esplicita è contingente (può esistere in vari modi, e quindi può sempre esistere altrimenti) • quindi la relazione sociale può esistere solo nel tempo, anzi ha un suo tempo, il tempo relazionale (registro storico), diverso dal tempo interattivo (registro degli eventi) e dal tempo a-storico (registro simbolico) • la relazione costituisce il presupposto e il fondamento della interazione, l’interazione è l’attualizzazione della relazione • la sociologia relazionale assume il punto di vista di un osservatore terzo che osserva le interazioni tra soggetti (relazione sociale come interazione), e la relazione di ciascuno con i propri contesti socio-culturali (relazione sociale come contesto), per evidenziarne il tipo (relazioni dirette/indirette, formali/informali, private/pubbliche, forti/deboli, egualitarie/asimmetriche), le caratteristiche (conflitto/integrazione, avvicinamento/distanziamento) e gli effetti (morfogenetici/morfostatici) • confluenza con i paradigmi metodologici di analisi delle rete sociali (Moreno); la rete non è un insieme di individui in contatto tra loro, ma l’insieme delle loro relazioni • l’approccio di rete tratta la società come “rete di reti di relazioni” e conduce ad uno specifica pragmatica relazionale, intesa come forma di “intervento o lavoro di rete” -> produrre mutamenti dei contesti e dei comportamenti attraverso la modificazione delle relazioni esistenti; cercare di attivare i “potenziali naturali” delle reti sociali; utilizzare forme miste di relazionamenti, intrecciando relazioni formali e informali, primarie e secondarie, cooperative e conflittuali, ecc Le semantiche fondamentali della relazione sociale (Donati cap. 1) • semantica referenziale: intende la relazione sociale come refero, ossia come il riferire qualcosa a qualcos’altro, entro un quadro di significati simbolici a diversi tipi e gradi di intenzionalità, e più o meno condiviso dagli attori (asse L-G) • semantica strutturale: intende la relazione sociale come religo, ossia come legame, connessione, condizionamento reciproco, struttura, di carattere sia impersonale che personale, che è nello stesso tempo vincolo e risorsa (asse A-I) • semantica micro-macro link: intende la relazione sociale come ciò che connette il fenomeno evenemenziale (singolo, soggettivo, interpersonale) con la struttura sistemica (collettiva, impersonale, istituzionale) e viceversa • semantica generativa: intende la relazione come proprietà emergente dotata di proprietà quali-quantitative proprie, diverse da quelle dei soggetti che entrano in relazione

  2. Approcci alla relazione sociale (Donati Cap 1) + Le rappresentazioni della società: dal moderno al postmoderno (Donati Cap. 2)

  3. La società integrata (Losito Cap. 4) POSITIVISMO Spencer (UK – 1874->) Comte (F- 1830->) • DURKHEIM (1893->) • processo di differenziazione e specializzazione funzionale all’interno della società analogo a quello che si riscontra negli organismi biologici • conseguenze della divisione del lavoro, oltre che l’assetto strutturale della società, investono anche sfera normativa traducendosi in prescrizioni vincolanti per la vita individuale (imperativo morale: mettiti in condizione di esercitare utilmente una determinata funzione) • PARETO (1912->) • metodologicamente, afferma la necessità di ricondurre fenomeni sociali concreti a modelli teorici astratti affinché le scienze sociali siano scienze nomotetiche a tutti gli effetti valide, così come le scienze naturali • quindi: sistema sociale come modello, inteso come estensione del sistema economico, e focalizzandosi sui suoi aspetti dinamici (differenza con positivismo precedente e primo funzionalismo successivo) • teoria della circolazione delle élite in quanto fenomeno che garantisce ad un tempo il cambiamento (progresso verso forme più evolute) e l’equilibrio sociale; se la circolazione è carente, l’equilibrio è statico e quindi disfunzionale; se la circolazione si interrompe, l’equilibrio viene meno e si creano le condizioni per una trasformazione rivoluzionaria • FUNZIONALISMO II : MERTON (1949->) • Rivisita il funzionalismo, evidenziandone i 3 “postulati impliciti” che lo espongono alle critiche viste di assumere una posizione ideologica: 1) che le attività sociali e i gli elementi culturali siano funzionali per l’intero sistema sociale; 2) che tutti svolgano una funzione; 3) che quindi ciascuno di essi sia indispensabile • Propone quindi un nuovo paradigma, caratterizzato da: • focalizzazione su elementi sociali e culturali standardizzati, ovvero tipici e ricorrenti • necessità di considerare e distinguere elementi con funzione positiva (eu-funzionali), negativa (dis-funzionali) e senza funzione (a-funzionali) • distinzione tra funzione manifesta e funzione latente • individuazione dell’unità di riferimento entro la quale ciascun elemento sociale o tratto culturale considerato svolge ciascuna funzione (uno stesso elemento può avere funzioni diverse rispetto a diversi segmenti della società) • accertamento dell’effettiva possibilità di definire pre-requisiti funzionali sia generali che specifici che siano validi e non tautologici • spiegazione particolareggiata dei meccanismi sociali tramite cui ciascun elemento svolge la propria funzione • considerazione di possibili alternative (o equivalenti) funzionali per ogni funzione, in relazione allo specifico contesto strutturale indagato e ai legami di interdipendenza funzionali in esso presenti (più alta l’interdipendenza, più ristretta la gamma delle alternative funzionali) • attenzione paritaria all’equilibrio e allo squilibrio sociali, ricorrendo al concetto di disfunzione per l’analisi delle dinamiche di cambiamento • in sintesi, trasformazione del funzionalismo da teoria generale dei sistemi sociali ad alto livello di astrazione dalla quale derivare, per inferenza diretta, la spiegazione di qualsiasi fatto sociale e culturale, a teoria a medio raggio: ovvero intermedia tra la speculazione onnicomprensiva e l’ipotesi di lavoro concreta: mantiene un certo livello di astrazione, ma tuttavia può essere inclusa in proposizioni empiricamente verificabili • FUNZIONALISMO I : MALINOWSKY E RADCLIFFE-BROWN (1920->) – antropologia sociale inglese • in tutte le società, comprese le più primitive, alla base della struttura sociale vi sono rapporti di interdipendenza funzionale • Malinowsky: concetto esteso di cultura (abbraccia tutto) intesa e definita come apparato strumentale mediante il quale l’uomo risolve problemi concreti che gli si pongono per soddisfare i suoi bisogni • cultura come insieme di oggetti, attività e atteggiamenti le cui parti sono in rapporto reciproco mezzo-fine, e quindi come risultante di vari elementi interdipendenti, ciascuna delle quali assolve compiti importanti (ha una funzione) nell’ambito della società • economia, controllo sociale, educazione, organizzazione politica come “sistemi di soddisfazione” dei bisogni • da qui l’indicazione metodologica per cui ogni aspetto di una cultura deve essere analizzato e compreso rispetto alla funzione che svolge, ovvero ai bisogni (primari, secondari) ai quali risponde • Radcliffe-Brown: società come sistema integrato dotato di una propria unità funzionale, rispetto alla quale ogni parte svolge una specifica funzione che consiste nel contributo che essa porta al funzionamento della struttura sociale nel suo insieme; connotazione finalistica del funzionalismo, criticata perché sostanzialmente statica e intrinsecamente conservatrice (implica una posizione ideologica di legittimazione dello status quo)

  4. PARSONS (1937->) e il paradigma AGIL • Approccio struttural-funzionalista: rifacendosi a Pareto, Parsons afferma che la sociologia può costituirsi come scienza solo facendo ricorso all’analisi sistemica, ovvero analizzando l’azione sociale attraverso un modello astratto (il sistema dell’azione sociale) costruito con finalità analitiche; la teoria del sistema sociale di Parsons si basa sull’analisi del sistema d’azione generale e dei suoi sottosistemi, e si colloca ad un elevato livello di astrazione proponendo un sistema di classificazione che partendo da alcune categorie più generali diviene via via più analitico attraverso un procedimento continuo di scomposizione di ciascuna categoria in categorie più particolari • P.individua 4 funzioni che ciascun sistema d’azione deve assolvere, e che rappresentano le condizioni necessarie per la sua esistenza e persistenza nel tempo: • A - funzione di Adattamento all’ambiente esterno (costituito da altri sistemi), dove l’Adattamento è una relazione a due vie: da un lato il sistema d’azione si adegua alle condizioni e vincoli dell’ambiente esterno, dall’altro lato interviene su di esso modificandolo e utilizzandolo al fine di attingervi le risorse di cui ha bisogno – competenza del “sottosistema organismo biologico” • G – funzione di conseguimento degli Scopi (Goals), consiste nel definire e conseguire gli scopi necessari per il suo funzionamento, dotandosi di mezzi efficaci – competenza del “sottosistema sistema di personalità” • I – funzione di Integrazione, consiste nel salvaguardare la sua coerenza interna e stabilità sollecitando la collaborazione fra le sue componenti – competenza del “sottosistema sistema sociale” • L – funzione di mantenimento del modello Latente, consiste nel produrre, conservare e riprodurre l’insieme base di conoscenze, credenze e valori coerenti e condivisi che fornisce le motivazioni per l’azione delle componenti del sistema, insieme che sostituisce un modello “latente” in quanto implicito e non formalmente definito – competenza del “sottosistema sistema culturale” • paradigma AGIL = paradigma funzionale del sistema d’azione, • dove le 4 funzioni sono disposte in uno schema • costruito lungo due dimensioni: • quella relativa alla direzione delle funzioni • (A e G rivolte verso l’esterno del sistema d’azione, • I e L verso l’interno), e quella relativa • al loro riferimento ai mezzi (A e I) • oppure agli scopi (G e L) del sistema stesso • I quattro sottosistemi, e di conseguenza • le quattro funzioni, possono essere disposti • in gerarchia (LIGA), in funzione della loro • maggiore ricchezza di informazioni • o di energia: i sottosistemi superiori • più ricchi di informazioni controllano • quelli inferiori più ricchi di energia • I quattro sottosistemi sono però anche indipendenti, • e ciascuno di essi può quindi essere considerato • a sua volta come un sistema distinto cui applicare • nuovamente il modello delle funzioni per individuarne • sia le componenti strutturali che i sottosistemi, • ciascuno dei quali può essere a sua volta suddiviso, ecc • In particolare il sistema sociale si caratterizza per la presenza di 4 componenti strutturali, ciascuna delle quali assolve a una funzione del modello AGIL (e anch’esse disposte secondo la gerarchia LIGA): • A - Ruoli (intesi come modalità d’azione concordemente attribuite ai diversi status sociali, ad es padre, figlio, professore, ecc) che svolgono la funzione di adattamento • G – Collettività (intese come insiemi organizzati di attori sociali che interagiscono sulla base di norme sociali condivise, ad es famiglia, scuola, azienda, partito, ecc) che svolgono la funzione di conseguimento degli scopi • I – norme sociali vincolanti per l’azione, che svolgono la funzione di integrazione • L – orientamenti di valore, corrispondenti a ciò che è desiderabile per il sistema sociale nel suo insieme, che svolgono la funzione di mantenimento del modello latente • Le 4 componenti strutturali intervengono nella formazione dei 4 sottosistemi del sistema sociale, che sempre applicando lo schema AGIL sono di nuovo definibili secondo le loro funzioni rispetto al sistema sociale (e anch’essi disposti secondo la gerarchia LIGA): • A – sistema economico, svolge la funzione di adattamento mediante la produzione e la circolazione delle risorse necessarie per il funzionamento della società • G – sistema politico, svolge la funzione di conseguimento degli scopi • I – sistema normativo, svolge la funzione di produzione e mantenimento dell’integrazione sociale • L – sistema della socializzazione, costituito dalla famiglia e da tutte le altre istituzioni attive nel processo di socializzazione, svolge la funzione di mantenimento e riproduzione del modello latente • I sistemi d’azione, e quindi anche i sistemi sociali, tendono all’equilibrio in quanto assetto-limite, ma interagendo con l’ambiente sono anche sistemi dinamici soggetti a evoluzione secondo processi organizzati • P. affronta il problema del cambiamento in termini evoluzionistici, ravvisando una sostanziale analogia tra l’evoluzione dei sistemi viventi e quella dei sistemi d’azione • ovvero in entrambi i casi, a fronte di un ambiente che rende disponibile un insieme di risorse sempre più esteso, l’evoluzione comporta un continuo aumento delle capacità di adattamento – A, che si concretizza una una crescente differenziazione e specializzazione delle parti del sistema, il che consente una maggiore efficacia nel conseguimento degli scopi – G, richiede la messa in atto di nuove modalità di integrazione –I nonché l’evoluzione del modello latente - L - INFORMAZIONE + + ENERGIA -

  5. La società conflittuale (Losito Cap. 5) • WEBER (18->) • Weber respinge l’idea che siano i fattori economici a determinare prioritariamente la divisione della società in classi e il conflitto sociale, ovvero nega la centralità di una “struttura” economica nella storia e nella società • opera una distinzione fondamentale tra classi economiche e ceti sociali, dove le prime sono categorie economiche astratte utili per fini classificatori ma a cui non corrispondono necessariamente collettivi che operano concretamente nella società • le classi per W. sono insiemi di individui che condividono interessi economici di possesso (beni economici mobili o immobili da cui trarre una rendita) e di guadagno (capacità acquisitiva, ovvero possibilità di disporre di competenze specifiche da offrire sul mercato come prestazioni da cui trarre un guadagno); rispetto a queste due dimensioni è possibile effettuare una classificazione già molto sfumata, dove ai vertici stanno gli individui caratterizzati da alti livelli sia di possesso di beni economici sia di capacità acquisitiva, alla base individui caratterizzati da bassi livelli per entrambe le dimensioni, e in mezzo (classi medie) le diverse combinazioni a diversi possibili livelli • il ceto per W. è invece il vero soggetto collettivo, in quanto comunità di individui che condivide un particolare stile di vita oggetto di una valutazione sociale espressa in termini di attribuzione di prestigio; alla base di tale valutazione sociale stanno anche, ma non solo e non in misura uguale in tutte le epoche storiche, fattori economici • quindi anche se può esserci relazione tra l’appartenenza di classe e quella di ceto, per W. il ceto si configura come realtà sociale interclassista • alla “coscienza di classe” W. contrappone la “coscienza di ceto”, che si concretizza nell’adozione di una particolare visione del mondo e condotta di vita: gli appartenenti ad un ceto si riconoscono come tali e usano valori e modelli distintivi che esternano e riproducono la loro identità e la loro distanza dagli altri • per W. è dall’appartenenza ad un ceto privilegiato nella stratificazione sociale che deriva la possibilità di esercitare il dominio sugli altri uomini • W. distingue tra diverse forme di dominio, attraverso la distinzione tra potenza (possibilità di far valere la propria volontà, che però non è legittimata) e potere (possibilità legittimata di trovare obbedienza presso certe persone ad un comando che abbia un determinato contenuto) • distingue tre “tipi ideali” di potere legittimo: • il potere di carattere razionale, o potere legale, che poggia sulla credenza nella legalità di ordinamenti statuiti e nel diritto di comando di coloro che sono chiamati ad esercitare il potere in base a tali ordinamenti • il potere tradizionale, che poggia sulla credenza quotidiana nel carattere sacro delle tradizioni valide per sempre e nella legittimità di coloro che sono chiamati a rivestire un’autorità • il potere carismatico, che poggia sulla dedizione straordinaria al carattere sacro, o alla forza eroica o al valore di una persona e agli ordinamenti rivelati o creati da essa • Per W. una relazione sociale deve essere definita “lotta” quando l’agire è orientato in base al proposito di affermare il proprio volere contro la resistenza di uno o più altri individui; e la lotta, quando assume la forma di conflitto sociale, è una componente fondamentale della società • la società per W. è una realtà complessa e contraddittoria nella quale coesistono integrazione e conflitto, ovvero non è assimilabile ad un insieme unitario in costante equilibrio • MARX (1845->) • divisione del lavoro in origine è “naturale” (differenze di sesso e età) ma già produce conseguenze sociali rilevanti determinando un’ineguale ripartizione del lavoro e dei suoi prodotti, da cui nascono la proprietà privata e la disuguaglianza sociale • quando la comunità primitiva si estende, dall’incontro con altre comunità nasce il “mercato” (processi di scambio, trasformazione dei beni in merci, concorrenza), che determina una divisione del lavoro non più solo naturale ma prima economica e poi sociale e impone la divisione della società in classi • nel modello dicotomico marxiano la divisione del lavoro determina, in ogni società e in ogni momento storico, la divisione della società in due classi, quella degli sfruttatori e degli sfruttati, dove una minoranza di non produttori si appropria del sovrappiù prodotto da una maggioranza di produttori • il modello può essere specificato in relazione a ciascun particolare contesto storico, individuando lo specifico elemento oggettivo che determina, in quel particolare contesto, la differenza tra le classi e la relazione conflittuale tra esse • nella società capitalistica l’elemento consiste nel possesso o non possesso dei mezzi di produzione, condizione da cui deriva il possesso o la privazione del potere non solo economico, ma anche politico e sociale • la nozione di classe viene quindi riferita ad un fattore strutturale (il possesso dei mezzi di produzione), sul quale si innestano fattori sociali e culturali che sono però sovrastrutturali • le classi assumono il ruolo di protagonisti del conflitto sociale nel momento in cui la “classe in sé” (insieme di individui che condividono la stessa condizione oggettiva nei rapporti di produzione) si trasforma in “classe per sé”, ovvero gli individui si riconoscono come soggetto collettivo concretamente operante nella società acquisendo coscienza di classe, ovvero coscienza dei propri interessi oggettivi • il modello dicotomico ha sia valenza esplicativa del conflitto sociale, sia valenza predittiva nei confronti dell’evoluzione della struttura di classe (polarizzazione crescente) • M. inoltre sottolinea come tratto specifico della società capitalistica la compresenza di una divisione del lavoro “anarchica” nella società civile (liberismo estremo) e “dispotica” nel processo produttivo, rispetto al quale preconizza la nascente organizzazione scientifica del lavoro (Taylor 1911, one best way, ecc) • conseguenza estrema della divisione del lavoro e della sua organizzazione dispotica è per Marx la triplice condizione di alienazione del lavoratore: alienazione dalla cosa (estraniamento dal prodotto del proprio lavoro), alienazione di sé o auto-alienazione (estraniamento dalla propria attività) e alienazione della specie (estraniamento dalla propria essenza di uomo) • SIMMEL (1908->) • Anche per Simmel ogni interazione sociale è ambivalente in quanti in essa coesistono accordo e opposizione, armonia e contrasto: conflitto e integrazione sono in rapporto di reciprocità e la sintesi dell’uno e dell’altra è l’elemento dinamico che rende possibile la stessa realtà sociale: la società sana non è quella priva di conflitti ma quella “tenuta insieme” dalla loro presenza e dal loro sovrapporsi all’interno delle parti componenti… perciò sarebbe un errore considerare una sociologia dell’ordine separata dalla sociologia del disordine, il modello dell’armonia separato da quello del conflitto, poiché questi non esistono come realtà distinte ma sono aspetti differenti di una stessa realtà • per Simmel (secondo la lettura funzionalista di Coster) il conflitto svolge una funzione positiva non solo in quanto spinge al cambiamento, ma anche perché favorisce la stessa integrazione sociale; in particolare il conflitto all’interno dei gruppi sociali rafforza l’identità sociale del gruppo, e gli permette di scaricare al suo interno tensioni che altrimenti produrrebbero effetti distruttivi; mentre il conflitto nell’interazione fra gruppi aumenta la coesione interna di ciascuno dei gruppi, ma permette anche di stabilire una qualche forma di relazione, sia pure conflittuale, tra i gruppi, che può essere foriera di successivi sviluppi non conflittuali (ad esempio alleanze) • l’esito integrativo o al contrario disgregativo del conflitto all’interno di un sistema sociale dipende dalla soglia di tolleranza del sistema in questione nei confronti del conflitto stesso: più un sistema è rigido, intollerante del conflitto, incapace di istituzionalizzarlo, tanto più è probabile che il conflitto quando si manifesta abbia effetti dirompenti

  6. LA “FINE DEL CONFLITTO SOCIALE” COME EFFETTO DELL’AVVENTO DELLA SOCIETA’ DI MASSA? • Apocalittici: IL SOCIAL CRITICISM AMERICANO (1951->) • Mills denuncia la struttura piramidale della società americana, al cui vertice si pone una ristretta elite di potere (economico, politico, militare) e la cui pancia è costituita dai ceti medi, realtà eterogenea di persone accomunate dal fatto di non svolgere un lavoro manuale: sono i “colletti bianchi”, frutto della crescente terziarizzazione della società, che vivono come condizione di privilegio il sentirsi diversi dai “colletti blu” e costituiscono la base sociale di un consenso acritico e passivo funzionale al mantenimento dei rapporti di potere vigenti (“eunuchi della politica”) • Riesman descrive la società opulenta come un territorio confortevole ma desolato dove una “folla solitaria” vaga disordinatamente in cerca di soddisfazioni per bisogni fittizi artificiosamente indotti (Veblen e il “consumo vistoso”, 1928) • Apocalittici: LA SCUOLA DI FRANCOFORTE (1947->) • Horkheimer, Adorno, Marcuse: la civiltà, giunta all’apice del suo sviluppo, nega paradossalmente se stessa e si trasforma in barbarie; la razionalità illuministica regredisce a mera ragione formalizzata che legittima la logica di dominio, il progresso perde il suo significato originario di emancipazione e se da un lato libera l’uomo dal bisogno, dall’altro rende il singolo uno zero di fronte alle potenze economiche • la società di massa è una società dei consumi di massa, funzionale alle esigenze della produzione di massa, e il processo investe anche la cultura; i mass media diventano strumenti per un consenso acritico e generalizzato, in una società depoliticizzata incapace di esprimere qualunque forma di opposizione e conflitto sociale • Marcuse descrive la società “a una dimensione”, caratterizzata da una “confortevole, levigata, ragionevole, democratica non libertà”, che produce “l’uomo a una dimensione”, isolato in una massa anonima, abilitato solo a lavorare e consumare, incapace di distinguere tra bisogni reali e falsi bisogni, sottomesso ai diktat della società opulenta • Integrati (1960->) • Shils, allievo di Parsons, descrive invece il lato positivo della massificazione: la maggior parte della popolazione (la massa) si trova adesso, rispetto al passato, in un rapporto molto più stretto con il centro (istituzioni e sistemi centrali di valore della società che guidano e legittimano le istituzioni), ovvero “il centro ha allargato i suoi confini” • tra i fenomeni positivi, il ridimensionamento del potere coercitivo della tradizione, un’enfasi maggiore sulla dignità e i diritti umani, una maggiore coesione sociale dove il consenso è garantito dalla reciproca integrazione tra centro (élite) e periferia (massa) della società, con la conseguente tendenziale scomparsa delle forme di conflitto sociale più radicali e distruttive • Sorokin (1927) aveva già proposto il concetto di mobilità sociale orizzontale e verticale, e indicato come una maggiore mobilità sociale sia orizzontale che verticale fosse il tratto distintivo delle moderne società democratiche • le ricerche empiriche propongono descrizioni della stratificazione sociale basate su modelli di gradazione, definita non solo in base alla condizione economica ma anche allo stile di vita, alla professione e soprattutto al prestigio, in sintonia con le indicazioni weberiane • Le teorie elaborate negli anni 50 e 60 propongono una visione delle società a capitalismo maturo come caratterizzate da elevata mobilità verticale, graduale assottigliamento del gap economico, perdita della specificità della classe operaia, sostituzione del concetto di classi con quello di “gruppi di conflitto” (Dahrendorf, 1957) portatori di interessi contrapposti inerenti ai ruoli da essi svolti in ciascuna organizzazione (dallo stato ala singola azienda) il cui antagonismo è istituzionalizzato ovvero ha modo di esprimersi attraverso canali legali LE NUOVE FORME DI CONFLITTO SOCIALE NELLA SOCIETA’ POSTINDUSTRIALE • nella seconda metà degli anni ’60 studenti e gruppi sociali emarginati emergono come i nuovi soggetti portatori di conflitto sociale, che torna ad esprimersi in forme non istituzionalizzate • l’accorto Alberoni individua il fattore scatenante il conflitto nella diffusione della conoscenza presso le classi che tradizionalmente da essa erano escluse cui però non si accompagna un aumento della domanda di lavoro intellettuale: ovvero la scuola, persa la sua tradizionale funzione di formazione della nuova classe dirigente, diventa un’istituzione che produce forza lavoro intellettuale non qualificata in eccesso sul mercato del lavoro e quindi destinata a subire un inevitabile processo di proletarizzazione • Touraine parte dalla premessa che nella società postindustriale il fattore strutturale che determina l’ineguaglianza sociale non è più il possesso dei mezzi di produzione ma il dominio della conoscenza, e che proprio per questo i nuovi soggetti portatori di conflitto sociale non possono che essere i soggetti produttori di conoscenza, come i tecnici, gli esperti, i ricercatori, e gli studenti, dotati delle specifiche competenze ma non di autorità gerarchica all’interno delle società in cui prestano la loro opera • Habermas (1973) propone un modello delle possibili tendenze di crisi delle società a capitalismo maturo: crisi che hanno origine nel sistema economico e che derivano dall’incapacità dell’intervento statale di compensare la caduta nel saggio di profitto; crisi del sistema politico, che si manifestano come crisi della razionalità delle decisioni amministrative e crisi di legittimazione del consenso; crisi che hanno origine nel sistema socioculturale, ovvero crisi di motivazione che investono la sfera morale, ideologica e i sistemi di aspettative

  7. TEORIA ISTINTO/ SENTIMENTO AZIONE L’azione sociale (Losito Cap. 6) • OGGETTIVITA’ E SOGGETTIVITA’, RAZIONALITA’ E NON RAZIONALITA’ • per Durkheim, l’azione sociale è un “fatto sociale”, ovvero è motivata e orientata da istanze esterne all’individuo e che esercitano sullo stesso un’influenza coercitiva; queste istanze sono gli elementi costitutivi della “coscienza collettiva” (v) in quanto insieme di credenze e sentimenti comuni alla “media” dei membri della società, dotato di vita sua propria e indipendente dalle coscienze individuali • al contrario per Weber (coerentemente con la sua impostazione metodologica che mette la soggettività del ricercatore anche a fondamento della riflessione sociologica) è definibile come azione solo un comportamento cui chi lo compie attribuisce un senso, e nello specifico si ha azione sociale quando, in base al significato soggettivo che gli attori sociali attribuiscono ad essa, è rivolta verso gli atteggiamento e comportamenti degli altri e da questi è orientata (non sono quindi “azioni sociali” in sé né l’aprire l’ombrello tutti insieme perché piove, né il mettere in atto certi comportamenti per il semplice fatto di trovarsi in una situazione collettiva) • Weber distingue quattro tipi di azione sociale: • agire razionale diretto allo scopo: sia i fini che i mezzi sono stabiliti razionalmente, rispettivamente in funzione dei principi di massimizzazione dell’utilità e di efficacia; es l’agire economico dell’imprenditore capitalista • agire razionale diretto al valore: i fini prescindono da criteri di utilità e sono invece stabiliti in base ad un riferimento consapevole ai valori, mentre i mezzi continuano ad essere scelti in base ad un criterio di efficacia; es l’agire religioso e l’agire politico su base ideologica • agire tradizionale: sia i fini che i mezzi sono scelti in base ad abitudini acquisite; es quasi tutto “l’agire quotidiano” • agire affettivo: sia i fini che i mezzi sono stabiliti facendo riferimento ai sentimenti • Pareto riserva invece la qualifica di “razionali” ad un gruppo molto più ristretto di azioni sociali, che chiama azioni logiche definendole come quelle in cui vi è corrispondenza sia soggettiva che oggettiva tra mezzi e fine, mentre riserva la qualifica di azioni non logiche alla maggior parte dell’agire umano • In particolare analizza la tendenza tipicamente umana a dare un contenuto e una motivazione logica ad azioni che oggettivamente non ne hanno, in quanto sono invece motivate da “istinti” e “sentimenti”, e individua un processo consistente nel creare, a partire dallo stesso istinto/sentimento che produce l’azione, • una “teoria” che la spiega, per poi far risalire indebitamente l’origine dell’azione direttamente alla teoria • Le teorie sono differenziabili quindi per Pareto in teorie logico-sperimentali (proprie della scienza) e teorie non logico-sperimentali, a loro volta suddivisibili in teorie pseudo-scientifiche e teorie non scientifiche; all’interno di ciascuna teoria è possibile distinguere i “residui”, ovvero gli elementi sostanziali della teoria stessa, che nelle teorie non logico-sperimentali sono appunto le espressioni di determinati istinti e sentimenti, e le “derivazioni”, che costituiscono gli elementi contingenti, variabili della teoria stessa, e che nelle teorie non logico-sperimentali corrispondono ai ragionamenti logici o pseudologici per tentare di dare una giustificazione razionale degli istinti e sentimenti di cui i residui sono espressione • Pareto individua un insieme costante e relativamente limitato di residui che stanno dietro a tutte le diverse teorie elaborate dall’umanità nel corso della sua storia e li classifica in sei classi di cui le più importanti sono quella relativa all’istinto “delle combinazioni” (tendenza a stabilire relazioni sempre nuove fra le cose e le idee, motore del cambiamento, la sua prevalenza configura un sistema sociale aperto) e all’istinto della “persistenza degli aggregati” (tendenza contraria e complementare a mantenere le relazioni già stabilite e consolidate, motore della coesione e stabilità, la sua prevalenza configura un sistema sociale chiuso), dove la condizione del sistema sociale ideale è una bilanciata compresenza dei due • AZIONE SOCIALE COME INTERAZIONE • Per Weber, l’azione sociale si configura come interazione, ovvero si concretizza in relazioni sociali intese come comportamenti di più individui instaurati reciprocamente secondo il loro contenuto di senso; i comportamenti possono assumere contenuti diversi (dalla cooperazione alla lotta) e quindi la reciprocità non va intesa nel senso che tutti gli individui in essa coinvolti attribuiscono il medesimo senso alla relazione • Risalendo dal micro al macrosociale Weber analizza come ai diversi tipi di relazioni sociali corrispondono diversi processi di aggregazione sociale: alla relazione sociale motivata su base tradizionale e/o affettiva corrisponde l’aggregazione sociale di tipo comunitario (Gemeinshaft per Tönnies) basata su un senso di appartenenza condiviso; alla relazione sociale motivata su base razionale corrisponde l’aggregazione di tipo sociale (Gesellshaft per Tönnies) derivata da rapporti di interesse • Risalendo ancora Weber sottolinea come le relazioni sociali durature assumono carattere di regolarità, e il loro contenuto di senso può venir formulato in “massime”, ovvero norme condivise dai protagonisti dell’interazione; tali norme possono essere più o meno vincolanti, e permettono di distinguere tra relazioni sociali con regolarità probabile (basate su usanze, consuetudini e norme non obbligatorie) e relazioni sociali con regolarità certa, basate su norme obbligatorie che devono o dovrebbero essere rispettate da tutti; l’obbligatorietà delle norme deriva dalla loro legittimità riconosciuta dalla società intera, che può essere de facto per le norme non formalmente sancite ma di fatto vincolanti (convenzioni) o de jure per le norme formalmente sancite (diritto) • Parsons definisce l’azione sociale come comportamento diretto ad uno scopo con un significato funzionale (soddisfazione di determinati bisogni), e individua come elementi necessari perché l’azione sociale possa sussistere fattori di ordine cognitivo, affettivo e valutativo • Seguendo Weber, vede l’azione sociale come interazione dove un attore (ego) si riferisce ad un altro attore (alter) orientando di conseguenza il proprio comportamento, e dove se la relazione tra i due è regolare le reciproche aspettative si consolidano rendendo la relazione stessa in qualche modo prevedibile • Individua come variabili strutturali che definiscono i diversi tipi di interazione sociale cinque dimensioni bipolari: • Attribuzione (ego valuta alter in base a ciò che egli è) / Realizzazione (lo valuta in base a ciò che egli fa) • Diffusione (ego nutre nei confronti di alter aspettative generali) / Specificità (nutre aspettative specifiche, chiaramente definibili) • Affettività / Neutralità affettiva • Particolarismo (ego valuta alter applicando a lui e solo a lui un criterio particolare, diverso da quello che applica ad altri) / Universalità • Orientamento alla collettività (ego cerca di soddisfare nella relazione con alter bisogni condivisi da più persone) / Orientamento al Sé INTERAZIONE PROFESSIONALE INTERAZIONE FAMILIARE

  8. LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA REALTA’ (me paiono le basi della Social Cognition) • Cooley (1902 ->): l’io, l’immagine che si ha di sé, si costituisce in modo riflesso in base alla reazione di fronte all’opinione che si ritiene gli altri abbiano di noi, ovvero il sé è un sé-specchio (looking-glass self) nel quale si guarda per vedere come altri ci vedono; ovvero tutte le persone reali sono “immaginarie” e “immaginaria” è di conseguenza anche la società (“la società esiste nella mia mente come contatto e influenza reciproca di certe idee che si chiamano “io”, Thomas, Susan…”) • Thomas (1918 ->): gli uomini non rispondono solo agli elementi oggettivi di una situazione ma anche, e spesso soprattutto, al significato che questa ha per loro, e una volta che hanno attribuito questo significato esso diventa la causa determinante del loro comportamento e di alcune conseguenze di esso: se gli uomini definiscono come reali certe situazioni, queste diventano reali nelle loro conseguenze (-> profezia che si auto-adempie) • Mead (1930): il comportamento (contrariamente a quanto sostenuto dai comportamentisti) non dipende dallo stimolo in sé ma dal significato che allo stimolo attribuisce il soggetto agente, ed il comportamento sociale si configura come interpretazione (attribuzione di senso) e comunicazione (condivisione del senso attribuito), ovvero come interazionismo simbolico; ciascun attore agisce nei confronti dell’altro all’insegna di una reciprocità che comporta l’adattamento dell’uno rispetto all’altro in un universo simbolico condiviso; si tratta di una capacità di “mettersi nei panni dell’altro” che si acquisisce nel corso del processo di socializzazione e rispetto alla quale per il bambino hanno una funzione fondamentale i giochi, prima come imitazione, poi come gioco libero (play) e infine come gioco organizzato (game) • L’interazione di gruppo è un sistema di azioni e reazioni basate su reciproche aspettative di ruolo, proprie sia di ciascun membro individuale che del gruppo considerato nel suo insieme come entità sociale, che rappresentano il cosiddetto “altro generalizzato”, ovvero l’entità sociale (famiglia, gruppo dei pari, società intera) con cui l’individuo deve confrontarsi per definire e valutare il proprio sé e attribuire un senso al proprio agire • Blumer prosegue e amplifica la portata dell’interazionismo simbolico, sottolineando come l’elemento dinamico e costante dell’interazione sociale sia un processo continuo di negoziazione, di cui la realtà sociale è di fatto espressione: questo fa sì che la realtà sociale stessa sia fluida e indeterminata, ed abbia una intrinseca tendenza al cambiamento (opposizione a funzionalismo e struttural-funzionalismo) • Goffman propone un modello teatrale dell’azione sociale, dove la motivazione principale degli individui è assumere il controllo delle impressione suscitate negli altri, e quindi l’azione sociale è di fatto una “messa in scena” sul registro dell’apparire, a prescindere dal fatto che l’attore possa essere perfettamente cosciente della propria recita o ne sia al contrario completamente assorbito e inconsapevole • Berger e Luckmann, con il costruttivismo fenomenologico, affermano che la sociologia deve abbandonare la pretesa di definire cosa è valido e cosa non lo è nel sistema di conoscenze che caratterizza l’agire sociale, per concentrarsi invece proprio sull’analisi dei processi attraverso i quali nell’uomo della strada si forma la conoscenza di una certa “realtà” data per scontata • Analogamente Garfinkel, fondatore dell’etnometodologia, considera il senso comune come oggetto esclusivo della sociologia e ritiene che il suo studio non possa avvalersi dei tradizionali strumenti di ricerca empirica, richiedendo invece che, per “rompere” la superficie data per scontata della vita quotidiana, l’osservatore debba calarsi totalmente nella situazione da osservare e consideri anche se stesso come oggetto dell’osservazione (osservazione partecipante); in seguito l’analisi della conversazione diventa tra i metodi di ricerca principali • STATUS, RUOLI E AZIONE SOCIALE • Status = posizione sociale definita da un particolare requisito cui competono determinati diritti e doveri; alcuni status sono ascritti , ovvero indipendenti dall’esperienza sociale (es essere donna), altri sono acquisiti ovvero dipendenti dall’esperienza sociale (ad es essere studente) • Complesso di status = l’insieme dei diversi status di una persona (es donna, studente, moglie, dirigente) • Status principale = fra i diversi status che compongono il complesso di status di una persona, quello che viene riconosciuto più immediatamente dagli altri in una determinata situazione sociale • Ruolo = componente dinamica dello status, ovvero l’insieme di atteggiamenti e comportamenti ad esso associati in base a norme socialmente condivise • Complesso di ruoli = l’insieme dei ruoli che corrispondono ad ogni status • Sequenza di status e sequenza di complessi di status = cambiamenti di una o più posizioni di status di un attore sociale, cui si associa una sequenza di complessi di ruoli • Merton: “si può affermare che questo insieme sistematico strutturato di complessi di ruoli, complessi di status e sequenze di status costituisce la struttura sociale” • aspettativa di ruolo = ciò che i protagonisti di un’interazione sociale si attendono l’uno dall’altro in relazione all rispettive posizioni di status e ai rispettivi ruoli; l’attribuzione di senso all’azione sociale riguarda proprio in modo precipuo le aspettative di ruolo dei protagonisti, ciascuno dei quali si rapporta all’altro sulla base di come soggettivamente si aspetta che l’altro agisca o debba agire nei suoi confronti • L’incidenza della dimensione soggettiva nella definizione delle aspettative di ruolo è inversamente proporzionale alla “regolarità”, per dirla con Weber, delle relazioni stesse e quindi alla normatività delle regole cui sono soggette, ovvero al grado di istituzionalizzazione dei ruoli • Tensione di ruolo = risultato della contraddizione tra aspettative relative a ruolo diversi di uno stesso status • Conflitto di ruolo (di status, ...zo!) = risultato della contraddizione tra aspettative relative a status diversi • L’azione sociale è quindi definibile come “un interazione tra due o più attori sociali orientata da reciproche aspettative di ruolo connesse alle rispettive posizioni di status, definite dagli stessi attori sociali in base a elementi sia oggettivi che soggettivi nell’ambito di una determinata situazione sociale” • LE DETERMINANTI DELL’AZIONE SOCIALE • valori: mete culturali socialmente condivise, che possono anche essere istituzionalizzati in norme sociali (anche se non tutte le norme sociali fanno riferimento a valori); a fronte della possibile compresenza nella società di valori variegati e spesso in contraddizione fra loro, a livello individuale si formano orientamenti di valore coerenti frutto di selezione e integrazione • atteggiamenti: predisposizione appresa ad agire e reagire rispetto a determinati “oggetti”; sono analizzati attraverso modello multidimensionale (componente cognitiva, affettiva e conativa) oppure unidimensionale (enfasi alla componente affettiva) • rappresentazioni sociali (Moscovici,“teoria di medio raggio” alla Merton): costellazioni di conoscenze e atteggiamenti (schemi) che assolvono alla duplice funzione di permettere agli individui di orientarsi nell’ambiente sociale e materiale e di assicurare la comunicazione tra i membri della società offrendo loro un codice comune per denominare e classificare (categorizzare) in maniera univoca le componenti del loro mondo; una rappresentazione sociale è quindi insieme frutto e condizione delle interazioni sociali; si differenzia dall’ideologia (valori) sia perché non ne ha la stabilità e la compiutezza teorica, sia perché è l’esito spontaneo del processo di interazione sociale; e si differenzia da opinioni e da atteggiamenti perché è una costellazione più complessa e meno immediatamente definibile (verbalizzabile) • le rappresentazioni sociali si formano attraverso processi di oggettivazione (selezione, decontestualizzazione e organizzazione delle informazioni relative ad un determinato oggetto) e ancoraggio (integrazione dell’oggetto della rappresentazione nel sistema simbolico, cognitivo e normativo preesistente)

  9. Il processo di socializzazione: temi, soggetti e modelli (Losito Cap. 7) • La socializzazione è definibile come il processo attraverso cui vengono trasmesse e apprese la cultura della società in cui si vive e la subcultura del gruppo a cui si appartiene, ovvero attraverso il quale si è messi nella condizione di apprendere, nell’interazione sociale, le prerogative dei ruoli sociali e gli elementi culturali che definiscono le aspettative ad essi associate (accezione più circoscritta di cultura propria della sociologia a partire dagli anni ’30, con riferimento specifico alla sfera normativa e simbolica, vs l’accezione “totale” dell’antropologia) • distinzione tra socializzazione primaria (infanzia e pre-adolescenza) e socializzazione secondaria, con l’adolescenza come fase critica di transizione dall’una all’altra • agenzie e agenti di socializzazione sono le entità sociali che svolgono funzioni di socializzazione, suddividibili tra agenzie che le svolgono esplicitamente in quanto a ciò espressamente delegate dalla società (es famiglia, scuola) e altre che le svolgono implicitamente ma non per questo meno efficacemente (gruppi, movimenti sociali, partiti, ecc) • Il rapporto con le agenzie di socializzazione si svolge all’insegna dell’interazione (con l’eccezione dei mezzi di comunicazione di massa, vedi più sotto, ma in parte già superato) • L’individuo entra in contatto con molteplici agenzie di socializzazione, a volte in contraddizione tra loro: ne consegue che ciascun individuo è coinvolto in più processi di socializzazione, che possono essere portatori di istanze diverse e contrastanti, e ciascuno si trova a costruire la propria esperienza sociale all’insegna della mediazione e della negoziazione: la socializzazione non è quindi un processo lineare • MASS MEDIA E SOCIALIZZAZIONE • Visioni apocalittiche dei media come portatori di livellamento e omologazione, contro visioni integrate degli stessi come portatori di acculturazione e integrazione • Anche qui però è oggi prevalente la visione che l’impatto dei media sia non diretto (abbandono dell’iniziale “teoria ipodermica”) ma mediato dalle scelte dell’individuo, che a loro volta sono frutto delle sue specificità individuali, di quelle proprie del gruppo cui appartiene e delle interazioni che si svolgono al suo interno (ruolo dei leader d‘opinione, Katz e Lazarfeld 1955) • Teoria del knowledge gap di Theodore, Donohue e Olien (1970) secondo cui le comunicazioni di massa contribuiscono a riprodurre anziché ad attenuare le differenze sociali, in quanto le persone hanno percorsi diversi di fruizione dei media in funzione del loro status socio-economico, dei loro livelli di competenza e della qualità della motivazione alla fruizione: ovvero i media “fanno male” ai più deboli mentre possono anche “fare bene” ai più forti • SOCIALIZZAZIONE E DEVIANZA • Alla visione iniziale (Durkheim) della devianza come patologia sociale, ovvero fenomeno inevitabilmente fonte di disgregazione sociale conseguente all’anomia (non riconoscimento del valore delle norme sociali), succede nel tempo una visione della stessa come portatrice anche di cambiamento e evoluzione sociale e comunque anch’essa frutto di processi di socializzazione • Merton costruisce una “classificazione” della devianza lungo le due dimensioni di accettazione/rifiuto vuoi delle mete proposte dalla società vuoi dei mezzi legittimi attraverso cui possono essere raggiunte, arrivando così a definire, nella società USA degli anni quaranta, 5 tipi di “adattamento sociale”: conformità (mete+, mezzi+) come adattamento tipico dell’american way of life; innovazione (mete+, mezzi-) come adattamento tipico di chi socialmente svantaggiato non ha a disposizione i mezzi legittimi per conseguire le mete di cui condivide la desiderabilità, inclusi i criminali; ritualismo (mete-, mezzi+) come via d’uscita “privata” dalla frustrazione e adattamento tipico della classe media inferiore; rinuncia (mete-, mezzi-) come adattamento tipico degli emarginati; e infine ribellione (mete e mezzi +/-, ovvero rifiuto dell’esistente e proposta di alternative) come adattamento propedeutico ad un agire collettivo che può tradursi in azione politica • Con il suo collegare devianza e anomia all’appartenenza a diversi classi sociali, Merton si inserisce in un approccio che riferisce la devianza non più alla patologia ma alla diversità culturale e che si consolida a partire dagli anni ’50 • Sutherland (1934) sottolinea come il comportamento criminale venga appreso nell’interazione con gli altri all’interno di gruppi coesi, e l’apprendimento riguardi anche gli aspetti motivazionali, di giustificazione e legittimazione del comportamento stesso: ovvero si diventa devianti per contatto con gruppi devianti e/o mancanza di contatto con gruppi non devianti, quindi socializzazione alla normalità e socializzazione alla devianza sono processi analoghi, entrambi fondati sulle dinamiche dell’interazione sociale • Sull’onda dell’interazionismo simbolico e del costruttivismo la devianza viene vista come prodotto sociale, ovvero indotta dalla società stessa anche per definire in negativo il concetto di normalità • Negli anni ’60, la labeling theory di Goffman, Becker e Matza afferma come l’individuo venga prima definito deviante e poi, dopo aver assunto ai suoi stessi occhi il carattere di deviante, diventi effettivamente tale, ovvero come sia lo stigma a produrre la devianza, con processi progressivi che vanno dalla devianza primaria occasionale alla devianza secondaria permanente e consolidata, e sottolineano il ruolo delle istituzioni “totali” (carcere, manicomio) nel produrre e riprodurre, attraverso l’etichettamento, quelle stesse forme di devianza che sono supposte combattere • SOCIALIZZAZIONE E GRUPPI SOCIALI • I gruppi sociali sono definibili come attori sociali collettivi e non semplici aggregati di individui quando: 1) l’interazione al loro interno è strutturata da modelli stabiliti; 2) generano e mantengono senso di appartenenza; 3) hanno una loro identità riconosciuta all’esterno del gruppo, che il gruppo stesso provvede attivamente a mantenere • Distinzione tra gruppo primario (ampiezza limitata, interazione tra i membri continua e faccia a faccia, informale, prevalentemente su base affettiva, orientamento comune verso il perseguimento di fini generali sia espliciti che impliciti e organizzazione fluida, es la famiglia) e gruppi secondari (es le associazioni di diverso tipo) • Tutti i gruppi esercitano sui propri membri una pressione alla conformità e sono influenti nel processo di costruzione e mantenimento dell’immagine di sé e dell’autostima; rispetto a questi due aspetti i gruppi primari sono più potenti • I gruppi primari si differenziano inoltre perché in essi, accanto ad una leadership strumentale operante nella sfera dell’agire razionale e che è propria anche dei gruppi secondari, si produce spontaneamente anche una leadership espressiva operante nella sfera affettiva • I gruppi sociali svolgono una funzione di mediazione dell’influenza sociale proveniente dall’esterno verso i suoi membri, fenomeno evidenziato a partire dagli anni 20 da numerose ricerche, tra cui la solita di Mayo e al. alla Western Electric (1922-33) e quella di Lazarfeld e Katz a Decatur(1955) sulle leader di opinione, rifacendosi al concetto di “gatekeeper” di Lewin • I MOVIMENTI SOCIALI • Menheim (1929): movimento come portatore di un’utopia (visione non oggettiva della realtà sociale, in funzione del suo superamento) in contrapposizione all’ideologia (visione altrettanto non oggettiva della stessa realtà, ma in funzione della sua conservazione) • Ciclo di vita del movimento suddividibile in 4 fasi: fermento sociale o stato nascente (Alberoni) dove al leader compete il ruolo di smuovere le acque, mobilitazione estesa e ricerca di proseliti dove il leader è portavoce, inizio di un’organizzazione stabile dove si crea una leadership oligarchica e vera e propria istituzionalizzazione dove il movimento entra a far parte della società

  10. G A I L Asse referenziale L-G: esplicita la relazione tra processo di acculturazione e processo di costruzione della personalità e di assunzione di ruoli specifici nella organizzazione sociale Asse strutturale A-I: esplicita la relazione tra controllo del sistema comportamentale e meccanismi di integrazione nel sistema sociale G Corto raggio Medio raggio Lungo raggio L A I A--G INFANZIA L--G ADOLESCENZA / GIOVINEZZA L--I ETÀ ADULTA La socializzazione come relazione rischiosa + Il sistema educativo nella società complessa (Donati cap. 4) La socializzazione nello schema AGIL A: sistema comportamentale dell’individuo, mezzi materiali G: personalità, scopi situazionali, ruoli I: sistema sociale, norme sociali L: riferimento ai valori, cultura • Oramai sorpassata la distinzione classica tra socializzazione primaria e secondaria, nella prospettiva relazionale occorre ripensare la situazione attuale sia per quanto riguarda l’equivalenza di significati tra educazione e istruzione (dove quindi l’educazione è demandata dalla famiglia alla scuola), sia per quanto riguarda la separatezza dei diversi attori, per ri-configurare la socializzazione come processo educativo quale risulta dall’interazione di una “rete di agenzie di socializzazione” che stringono un “patto educativo”, dove gli attori siano in relazione tra loro e si organizzino secondo un principio della sussidiarietà (intervento di unità di livello superiore solo in supporto e non i sostituzione di quelle di ordine inferiore) e dove: • la famiglia riacquisti centralità come motore del “progetto educativo” che riguarda il bambino • la scuola riacquisti vitalità guardando anch’essa al bambino come persona in toto • le istituzione pubbliche svolgano il ruolo di garanti • ci sia spazio e ruolo per le associazioni, il terzo settore (e la scuola cattolica!) Modello sfide-risorse del rischio nel processo di socializzazione proiettato sullo schema AGIL • 3 ambiti di polarizzazione dove si determinano situazioni di rischio di diversa natura: • rischio a corto raggio (A-G): trovare un equilibrio tra le risorse rappresentate dal proprio sistema comportamentale, la propria “natura” e le sfide implicate dalla costruzione di un’identità stabile e di ruoli sociali • rischio a medio raggio (L-G): trovare un equilibrio tra le risorse rappresentate dal proprio sistema culturale e valoriale di riferimento e le sfide di cui sopra • rischio a lungo raggio (L-I): trovare un equilibrio tra le risorse culturali e valoriali di cui si dispone e le norme della società Le fasi della socializzazione • Socializzazione come processo educativo • Nella prospettiva relazionale la socializzazione è e rimane (deve tornare ad essere) educazione (vs la posizione opposta, ad es Luhmann: socializzazione come pura comunicazione), ovvero un fatto primariamente normativo, una “questione di ethos” . Questo significa: • distinguere, operare selezioni tra sfide di diverso livello • stabilire gerarchie di priorità: ad esempio privilegiare tra le risorse i valori (L) rispetto ai bisogni psico-fisici e ai beni materiali (A), e tra le sfide quelle che promuovono un bene comune relazionale (I) rispetto a quelle che generano pura autorealizzazione (G) • Comunque W il papa! ISTITUZIONI PUBBLICHE AUTONOMIA DELLA FAMIGLIA AUTONOMIA DELLA SCUOLA “patto educativo” ASSOCIAZIONI

  11. MODELLI • modello STRUTTURAL-FUNZIONALISTA: presuppone soggetto umano come dotato di capacità simboliche, la comunicazione è funzionale a veicolare e perpetrare la cultura • modello COSTRUTTIVISTA e NEO-FUNZIONALISTA: comunicazione come sistema a sé, è la comunicazione che genera e costruisce la cultura • modello RELAZIONALE: non vuole cadere né nel funzionalismo del primo modello, né nel “meccanismo antiumanicistico” del secondo, applica alla comunicazione il modello AGIL, considerandola nella relazione chi instaura tra mezzi tecnici (A), scopi situazionali (G), forme in cui si organizza (I) e valori che sottende (L) • il nesso cultura-comunicazione diventa • cioè sempre più • “relazionale” e, • per questa via, • rende la nostra società • più complessa, più difficile • da capire e da agire, ma anche • più ricca di possibilità (Donati) • ampia gamma variabilità • della densità relazionale • della comunicazione, • a seconda dei livelli a cui • si svolge il processo • di comunicazione (Mc Quail) G (funzione di raggiungimento scopi situazionali) A Funzione di adattamento (mezzi, ovvero strumenti: linguistici, visuali, ecc) I Funzione integrativa (forme del riferimento che dis/connette) ma che …zo stai a di’? L Funzione mantenimento modello latente (valori, definiti in relazione alla cultura) pochi casi c. società (es: comunicazioni di massa) c. Istituzione o organizzazione (es: impresa) c. gruppo o associazione (es: comunità locale) c. Interna al gruppo (es: famiglia) c. Interpersonale (es: coppia) c. Intrapersonale (elaborazione informazioni) molti casi La dimensione comunicativa della società (Donati Cap. 5) Se la relazione può essere pensata come conduttore di significati simbolici, allora la comunicazione è quella operazione specifica, costituita dalla sintesi di tre selezioni – emissione, informazione e ricezione – che qualifica simbolicamente la relazione (e ho detto tutto!) • TEORIE DELLA COMUNICAZIONE • SPENCER 1873, organicismo, funzionalità sociale della comunicazione: parallelo tra vie di comunicazione fisiche (strade, ferrovie) per la distribuzione dei beni, e mezzi di comunicazione (poste, telegrafo, ag. Di stampa) per la gestione delle relazioni tra le parti • COOLEY 1901: distinzione tra gruppo primario e gruppo secondario, basi per lo studio etnografico delle interazioni simboliche tra individui • SIMMEL 1917,: il suo approccio formalista pone le premesse per lo studio delle interazioni e dei fenomeni comunicativi che saranno propri dell’interazionismo simbolico e della psicologia sociale • INTERAZIONISMO SIMBOLICO 1969: approccio alla realtà come costruzione sociale (invece che oggettivamente data) e alla dimensione di senso come costruzione comune (invece che prerogativa intenzionale del soggetto) sottolinea ruolo centrale della comunicazione: “il veicolo più importante della preservazione della realtà è la conversazione” (BERGER LUCKMANN) • GOFFMANN, 1969: concezione drammaturgica della scena sociale focalizza gli aspetti della comunicazione relativi all’interazione faccia a faccia • ETNOMETODOLOGIA, GARFINKEL (allievo di Parsons): l’appartenenza ad un gruppo sociale è definita proprio dalla “competenza” per lo scambio comunicativo -> il sociale risulta dall’azione dei singoli nel dare senso all’agire quotidiano, lo schema comunicativo sostituisce quello dell’azione • TEORIA MATEMATICA (SHANNON e WIENER), 1948: propone concezione lineare ella comunicazione: Emittente -> Mezzo (codifica) -> Canale (trasmissione) -> Ricevitore (decodifica) -> Destinatario; Wiener (cibernetica) e/o (non si capisce) “collegio invisibile” (Palo Alto) focalizzano ruolo del feedback, vuoi negativo (aumenta la variabilità o deviazioni), vuoi positivo (riduce) • SCUOLA DI PALO ALTO - BATESON, HALL, WATZLAVICK, 1959, 1971: il comportamento non ha un suo opposto, ovvero non è possibile non avere un comportamento + l’intero comportamento ha valore di messaggio, ovvero è comunicazione = non si può non comunicare -> studio della comunicazione non verbale, nuovi approcci teorici alla comunicazione, nuove metodologie terapeutiche • HABERMAS 1981: dalla ragione strumentale che presiede l’agire strategico, alla razionalità intrinseca dell’agire comunicativo che consente l’unione nella comunicazione di soggetti contrapposti • LUHMANN1992: comunicazione come sistema autopoietico, la società non consiste in niente altro che comunicazioni • COMUNICAZIONE E SVILUPPO DELLE SOCIETA’ • Sviluppo della comunicazione considerato come intreccio fra le componenti simboliche (codici che la cultura del gruppo ha via via elaborato, L-A-I ?) e quelle di adattamento/difesa nei confronti dell’ambiente (G-A-I ?) • Comunicazione verbale costituisce la base comunicativa della società; società a oralità primaria caratterizzate dalla centralità della relazione interpersonale, dato che la comunicazione può avvenire solo faccia a faccia e anche la memoria nel tempo è affidata a persone (saggi, anziani) -> l’oralità ha una base essenzialmente comunitaria • Scrittura è “il nostro primo mass-medium dopo il linguaggio”; società letterarie caratterizzate da nuove possibilità di astrazione/speculazione (la mente è liberata dal compito di dover anche tutto ricordare) e individualizzazione (accesso al sapere non necessita più di relazioni interpersonali) • Era elettrico-elettronica fonde insieme oralità e scrittura; oralità “secondaria” caratterizzata da simultaneità temporale, estroversione e contestualizzata nel mondo del suono, globalizzazione

  12. Cultura e religione (Donati cap. 3) • Concetto di cultura (Kultur) in senso sociologico risale all’800, quando viene scisso da quello di “formazione” individuale (Bildung) • Simmel 1908 e 1911, tragedia e paradosso della cultura: la cultura nasce da un primo dualismo “soggetto-oggetto” che oppone l’uomo alla natura (ovvero è l’insieme di artefatti grazie ai quali l’uomo assicura la propria sopravvivenza attraverso il dominio sulla natura); ma immediatamente la cultura “si dota di vita propria”, ovvero viene a generarsi un secondo dualismo soggetto-oggetto, che oppone il soggetto ai propri oggetti culturali • Da qui dicotomia tra Kultur (attività soggettive intrinsecamente variabili e libere, “il corpo vivo di un’anima”) e Zivilasation (attività oggettive, burocratiche,tecnico-economiche, il cui carattere è dato dalla continua accumulazione e irreversibilità, “la mummia”); apparato scientifico-tecnologico delle società moderne e poi contemporanea visto sempre più come male, critiche portate all’estremo dalla scuola francorfortese (Adorno: negazione da parte della società moderna dell’autonomia, spontaneità e critica, che sono elementi costituitivi della cultura); tecnica non più concepibile come mezzo per perseguire un fine, ma diventa fine in sé • Punti d’approdo del conflitto da un lato il funzionalismo sistemico luhmanniano (il problema non si pone proprio più, nel senso che il progresso tecnico scientifico procede per strade sue proprie, senza che vi sia più alcuna possibilità di connetterlo a principi di ordine etico in quanto etica e tecnica sono, al pari da ogni altro sistema sociale, chiusi e autonomi l’uno rispetto all’altro) e dall’altro l’ecologismo radicale (ritorno alla natura, buona in sé) • Paradigma relazionale vuole anche qui stabilire nuove relazioni, ovvero vede nel riconoscimento della relazione che lega l’uomo alla natura il punto da cui partire non per rinunciare al dominio sulla natura ma per stabilire ad esso dei limiti • Riconoscere cioè che la natura è quindi non solo un fine per noi ma anche un fine in sé, permette (non si sa come) di reintrodurre nella tecnica lo schema fine-mezzi, e di recuperare una normatività “umana” alla quale devono sottostare la tecnica e l’intero processo di civilizzazione • Allo stesso modo va compreso che “se tutta la cultura è collocata in strutture, tutta la struttura è anche gravida di cultura” (Berger), ovvero va ri-riconosciuta la relazione creativa che esiste tra società e cultura, riscattando la cultura dal ruolo di “ancella” della struttura a cui viene relegata sia nella prospettiva marxiana (schema struttura-sovrastruttura), sia in quella funzionalista durkheimiana ma anche parsoniana e luhmaniana (cultura come mezzo attraverso cui la società mantiene il proprio ordine, o comunque come semplice componente o “correlato” della struttura) • Allo stesso modo la sociologia relazionale propone un recupero della relazione fra società e religione, nella sua dimensione originaria e inderivabile ovvero non riducibile alle sue mere funzioni sociali (che pure chiaramente esistono) • La religione viene definita come “espressione della cultura del nostro rapporto con ciò che non dipende da noi“ (Luebbe), cioè ciò che “è indisponibile” in quanto tale, e il cui valore va riscoperto e salvaguardato • Questo perché, andando oltre la visione laica della società, la religione così intesa viene vista quale fondamento imprescindibile delle liberal-democrazie (“lo stato liberale vive di presupposti che da solo non è in grado di garantire” Boeckenfoerde - vedi dichiarazione d’indipendenza americana) • La nostra società è quindi in relazione con la religione, ed in particolare con la religione cristiana, e tale relazione va salvaguardata anche a motivo del suo valore integrativo, a fronte del “deficit strutturale d’integrazione” che contraddistingue una società a differenziazione sempre crescente • Occorre cioè riscoprire la dimensione “civile” della religione, non come nuova “religione civile” che vada a sostituire la religione tradizionale, ma al contrario proprio come religione “pura” nettamente separata dall’agire sociale ma che al contempo ne costituisce il sostrato, il presupposto e “l’argine” (W il papa!) • Secondo la sociologia relazionale tale coscienza delle proprie radici anche religiose, unita alla capacità di “distanziarsi” dalla propria cultura ed insieme continuare a rimanere fedeli ad essa e alla lucidità nel capire che ogni cultura, compresa la nostra, ha istanze “missionarie”, costituiscono i presupposti per un “multiculturalismo relazionale”, cioè non viziato, dopo l’etnocentrismo del passato, dall’indifferentismo attuale (se tutto è diverso e tutto è possibile, tutto è anche indifferente e non vi è ragione di rapportarsi con l’altro) • Per la sociologia relazionale occorre quindi uscire sia dalla logico moderna dell’assimilazione che da quella post-moderna dell’indifferenza, sapendo comunque che il dialogo tra culture diverse è tanto necessario quanto difficile, poiché si tratta di un dialogo che non può mai essere pienamente “aperto”: ciascuna parte non è (né può, né deve essere) capace di fare pienamente propria la visione dell’altro • La prospettiva relazionale auspicata è quella in cui ciascuna parte si arricchisce grazie all’incontro con l’altro perché solo dall’incontro con l’altro ricava nuovi elementi che possono aiutarla ad approfondire e articolare la propria visione • Il confronto sarà tanto più agevole quanto più una cultura disporrà delle risorse necessarie per guadagnare una prospettiva capace di ammettere anche altri orizzonti come possibili, e sotto questo profilo non tutte le culture sono sullo stesso piano • Nonostante le difficoltà, le basi che rendono questo incontro possibile sono due: da un lato il fatto che apparteniamo tutti alla stessa specie umana, dall’altro lato il fatto che “concetti come verità, razionalità e giustificazione svolgono il medesimo ruolo grammaticale in ogni comunità linguistica, anche se vengono diversamente interpretati e applicati secondo criteri diversi” (Habermas) che mica si capisce granché cosa voglia dire

  13. G componente di convenzione cognitiva: istituzioni come elementi costitutivi della realtà sociale (interazionismo simbolico) – funzione di raggiungimento degli scopi situazionali Ambiente meta-sociale (sistema telico) A componente giuridico-formale: istituzioni come vincoli all’azione – funzione di adattamento I componente strutturale: Istituzioni come modelli di comportamento validi e persistenti (Weber) – funzione integrativa L componente prescrittiva: istituzioni come principi regolativi dell’azione sociale (Parsons) – funzione di mantenimento del modello latente Ambiente pre-sociale (biosfera) Condizionamento istituzionale (strutturale, culturale, dell’agire) Elaborazione (strutturale, culturale, dei gruppi) INTERAZIONE AUTODISTRUZIONE AUTORIPRODUZIONE CARISMA BRICOLAGE RIPRODUZIONE ELABORAZIONE • Attività delle élite: • articolazione dei confini della collettività (identità) • regolazione del potere • costruzione del significato • costruzione della fiducia Modo di esercitare il controllo sulle risorse fondamentali della società Caratteristiche strutturali delle sfere istituzionali cumulativa (continua) “catastrofica” (discontinua) Istituzionalizzazione di confini sociali complessi Dimensioni cognitiva, normativa, formale, strutturale • Caratteristiche delle élite: • orientamenti culturali • tipi di élite (politiche, culturali) e loro struttura Elite (caratteri culturali e strutturali) Modalità di differenziazione sociale e dinamica istituzionale Le istituzioni sociali • Le istituzioni sociali sono relazioni sociali che si sviluppano come processi di oggettivizzazione: • lungo l’asse strutturale (religo) come vincolo all’azione e come regolarità del comportamento • lungo l’asse dell’attribuzione di senso (refero) come convenzioni cognitive e come norme regolative dei comportamenti in termine della loro conformità ai valori • Sono principi regolativi che organizzano la maggior parte delle attività degli individui, e i punti focali fondamentali dell’organizzazione sociale • Non si identificano né con le organizzazioni né con i gruppi, anche se on ogni società vi sono gruppi e ruoli definiti che si occupano prevalentemente di ciascuna delle maggiori aree istituzionali: famiglia e parentela, educazione/istruzione, economia, politica, cultura…. • GENESI • problema dell’uovo e della gallina: non esiste forma sociale che non produca istituzioni, e non esistono istituzioni che non influenzino la forma sociale • genesi di una nuova istituzione come conseguenza di interazioni sociali, all’insegna vuoi della discontinuità (stato nascente, centralità del concetto di carisma), vuoi dell’accumulo di attività di bricolage istituzionale (ri-assemblaggio di pezzi pre-esistenti) che, oltrepassata una soglia critica, produce una differenza qualitativa • il processo di istituzionalizzazione presuppone l’emergere da un lato di “imprenditori istituzionali” (élite) e dall’altro di persone interessate a “offrire” qualcosa (in senso materiale o simbolico) perché l’attività di costruzione venga compiuta • TRASFORMAZIONE • il sociale è di per sé processuale, quindi la distinzione cambiamento / riproduzione non coincide con quella dinamico/statico: il sociale è dinamico anche quando non produce cambiamento propriamente detto • se il sociale è relazione, il cambiamento è definibile come un “modo diverso di relazionare le relazioni” (oh, yes!) • i fattori di cambiamento possono essere esogeni (ad es tecnologia, risorse) o endogeni (ad es meccanismi competitivi – innovazione e assorbimento, oppure imitativi –permeabilità istituzionale), ma anche il mutamento generato da cause esterne è mediato da fattori interni, poiché interpretazioni e risposte dipendono da mappe cognitive e normative degli attori • il cambiamento è inerente alla natura stessa dei processi di istituzionalizzazione (che non sono mai “compiuti”) e al funzionamento dei processi istituzionali • il cambiamento è l’effetto emergente dell’interazione complessa tra strutture (regolarità indipendenti dalla volontà degli individui) e l’elaborazione attiva compiuta dagli individui stessi Orientamenti culturali generali

  14. Merton, 1949: “L’europeo immagina, l’americano osserva” Mills; 1959: “Sociologia è uguale a immaginazione sociologica più IBM” Metodologia della ricerca sociale (Losito cap. 8) Per poter essere oggetto di ricerca (quantitativa) una PROPRIETA’ (dal genere ad un atteggiamento): 1. deve variare, ovvero possedere più di uno stato 2. deve poter essere trasformata in una variabile di ricerca attraverso una definizione operativa Si distingue fra proprietà • VALIDITÀ – non può essere dimostrata, ma solo stimata • di un concetto e della sua definizione operativa: attiene alla sua efficacia / utilità conoscitiva, ovvero al rapporto del concetto con la definizione operativa e non con la proprietà che rappresenta (ogni concetto rappresenta comunque la proprietà in modo parziale, operando una inevitabile riduzione di complessità – Weber) • di un indicatore: attiene alla sua relazione con il concetto, ovvero alla corrispondenza tra il suo significato e il significato del concetto che rappresenta la proprietà originaria; ogni indicatore non è mai completamente valido, poiché è composto di una parte indicante (contenuto semantico comune con il concetto generale relativo alla proprietà originaria), ma anche di una parte estranea; più la parte indicante è ampia, più l’indicatore è valido rispetto al concetto; questo comunque rende opportuno l’uso di più indicatori per uno stesso concetto; più due indicatori sono congruenti, più sono intercambiabili • AFFIDABILITÀ DI UNA DEFINIZIONE OPERATIVA: • attiene alla fedeltà dei dati che genera, cioè alla misura in cui corrispondono agli stati effettivi della proprietà considerata • anch’essa può solo essere stimata, attraverso “indizi” che possono essere intrasoggettivi (test-ritest) e intersoggettivi (test-test)

  15. Metodologia della ricerca sociale (Losito cap. 8 e 9) • MISURAZIONE • propriamente possibile solo nel caso di variabili continue appunto misurabili, ovvero per le quali è possibile stabilire ed utilizzare un’unità di misura convenzionale • nelle scienze sociali è invalso un uso più estensivo del termine che, riprendendo le indicazioni di Stevens 1946, distingue “scale di misura” categoriali, ordinali, a intervalli variabili e a rapporti variabili • L. invece considera propriamente strumenti di misura solo le scale a intervalli e le scale cardinali, costruite per proprietà continue; mentre per le proprietà discrete la definizione operativa implica non la misurazione, ma il conteggio CLASSIFICAZIONE: - operazione intellettuale per cui l’estensione di un concetto è divisa in un certo numero di classi o categorie - risultato di tale operazione, ovvero elenco di classi - procedimento con cui ogni singolo oggetto di un insieme è assegnato ad una classe REGOLE DI CLASSIFICAZIONE - unicità del criterio in base a cui i casi vengono attribuiti alle classi - esaustività dell’insieme di categorie - mutua esclusività delle categorie • SCALE • scale ordinali, possono essere di due tipi: per somma (scelta dicotomica accordo/disaccordo) o di Lickert (scelta per livello di accordo / disaccordo – e successiva somma; numero di livelli variabili; dibattito se sia una scala a intervalli o meno, per L. no) • scale a intervalli (sia pure non esattamente equivalenti): scala Thurnstone - successiva media

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