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Formatore. Il Formatore colui grazie al quale l'uomo pu sviluppare attitudini, scoprire talenti, arricchire conoscenze, abilit e competenze.Coltivare il proprio sapere:sapere (CONOSCENZE) saper fare (ABILITA') e saper essere (COMPETENZE) per introdursi nella vita relazionale e lavorativa
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1. Formazione Formatori Regione Siciliana
Assessorato Regionale delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica
Dipartimento Regionale della Funzione Pubblica e del Personale
Servizio 7 – Formazione e Qualificazione
professionale del personale regionale
a cura del Dott.Fabio Crapitti
2. Formatore
Il Formatore è colui grazie al quale l’uomo può sviluppare attitudini, scoprire talenti, arricchire conoscenze, abilità e competenze.
Coltivare il proprio sapere:
sapere (CONOSCENZE)
saper fare (ABILITA’)
e saper essere (COMPETENZE) per introdursi nella vita relazionale e lavorativa e per avvicinarsi al senso della vita.
Spesso il formatore assume un ruolo un po’ diverso dal costruttore: diventa un seminatore che getta la semina in un campo dove il raccolto è individuale e caratteristico perché ognuno è di per sé unico e irripetibile.
2 a cura del Dott. Fabio Crapitti
3. Formatore Il Formatore moderno non si occupa solo della gestione didattica, ma opera preventivamente nelle fasi di:
a cura del Dott. Fabio Crapitti 3
4. Formatore
Un Formatore ha un obiettivo condiviso adeguato al fabbisogno del committente e deve essere in grado di individuare le metodologie e gli strumenti più adeguati per fronteggiare le necessità e le evenienze dell’utenza.
a cura del Dott. Fabio Crapitti 4
5. Definizione di Formatore Il Formatore:
è responsabile del processo di apprendimento finalizzato a migliorare le conoscenze e capacità tecniche e/o professionali dei partecipanti
Il suo ruolo è vicino a quello di un docente; deve essere esperto dei processi di insegnamento
Ha il compito di trasmettere non solo delle nozioni, ma anche di far conseguire abilità e competenze, utilizzabili nel mondo del lavoro in primis, ma anche nella propria vita personale perché i due ambiti non sono disgiunti 5 a cura del Dott. Fabio Crapitti
6. Compiti e principali attività del Formatore Il Formatore:
gestisce direttamente il front end (in altre parole tutte le fasi iniziali degli interventi formativi, inclusa la definizione degli obiettivi)
è una figura che opera specialmente negli ambiti della formazione continua, detta anche on the job, fino al coaching, una sorta di formazione/allenamento personalizzato
è incaricato dello svolgimento pratico delle azioni formative, in presenza o a distanza, per le quali elabora dettagliatamente contenuti e modalità specifiche (lezioni, esercitazioni,etc.)
talvolta può collaborare all’analisi dei fabbisogni della domanda e dell’offerta formativa, come anche della formazione di alcune parti del progetto 6 a cura del Dott. Fabio Crapitti
7. Compiti e principali attività del Formatore
Uno dei primi compiti del formatore è la verifica degli obiettivi stabiliti in fase di progettazione
Deve controllare che lo schema dei contenuti e delle metodologie del suo intervento sia stato perfettamente definito e tracciato
Sulla base del programma sintetico delineato dal progettista, il Formatore articola nel dettaglio le varie fasi e i tempi, dell’apprendimento, definendo il numero e la scansione delle ore/giornate per ogni modulo formativo e l’eventuale suddivisione in sottogruppi dei partecipanti al corso
a cura del Dott. Fabio Crapitti 7
8. Compiti e principali attività del Formatore Deve sempre accertarsi dei requisiti richiesti in ingresso ai partecipanti ed approfondire la conoscenza dei singoli partecipanti al fine di modulare il proprio intervento ed ottenere i massimi risultati formativi
In collaborazione con l’ente erogatore/progettista, interviene nella scelta delle attrezzature e degli strumenti più adatti a supportare l’attività di insegnamento: testi, dispense, lucidi, slides, lavagne, computer
Inoltre, contribuisce anche a scegliere, integrare o modulare le varie metodologie didattiche previste dal progetto formativo (lezioni classiche in aula, attività di seminario e di laboratorio, ricerche, esercitazioni, lavori di gruppo, studio di casi, formazione a distanza e così via) 8 a cura del Dott. Fabio Crapitti
9. Compiti e principali attività del Formatore Il Formatore partecipa anche all’elaborazione delle valutazioni, in itinere e finali, dell’intero percorso, oltre che, naturalmente, dei singoli moduli. Gli strumenti e i metodi di verifica dei risultati sono stabiliti nella pianificazione dei corsi, ma il Formatore può eventualmente introdurre ulteriori dispositivi di accertamento delle competenze/conoscenze acquisite
Nella fase di realizzazione, il Formatore gestisce il gruppo e i singoli, in aula o in altra sede, attuando il programma stabilito per raggiungere gli obiettivi formativi. L’intervento del Formatore deve essere flessibile e può subire rielaborazioni in corso d’opera, in base agli esiti della valutazione in itinere. Tutte le modifiche sono stabilite d’intesa con l’ente e/o responsabile del progetto 9 a cura del Dott. Fabio Crapitti
10. Il contratto formativo d’aula 10 a cura del Dott. Fabio Crapitti
11. Il contratto formativo d’aula SVILUPPA LA MOTIVAZIONE, in quanto richiede la convinta adesione dei partecipanti alla proposta formativa, dopo aver valutato, concordato gli obiettivi, il percorso da fare, le modalità di valutazione
SVILUPPA CAPACITÀ COOPERATIVE, in quanto richiede ai partecipanti di discutere e condividere la proposta educativa, entrando nel merito delle scelte e di ciò che è utile alla loro formazione, per imparare a lavorare insieme ai colleghi, per concretizzare l’aiuto reciproco e per crescere
SVILUPPA CAPACITÀ METACOGNITIVE, perché chiede ai partecipanti di fare una previsione, di pianificare, esige un monitoraggio, una riflessione e valutazione sul compito. In questo modo possono aumentare il grado di consapevolezza su ciò che si realizzerà, chiarendosi gli obiettivi, i prodotti da realizzare, i percorsi da compiere, i tempi da rispettare, le modalità di valutazione 11 a cura del Dott. Fabio Crapitti
12. Il contratto formativo d’aula ASPETTI DEL CONTRATTO FORMATIVO D’AULA
I partecipanti, insieme al tutor d’aula chiariscono e concordano cosa dovranno impegnarsi ad apprendere, finalizzandolo all’acquisizione dell’identità professionale
Anticipare e chiarire le informazioni può creare un senso d’attesa corretta per il risultato degli sforzi che andranno a compiere
La pianificazione cooperativa metacognitiva permette ai partecipanti di assumere un ruolo attivo nel determinare gli eventi
Con il contratto formativo, gli studenti possono avere maggiore controllo sul proprio apprendimento ed esercitare meglio la responsabilità, sia nei confronti di se stessi, sia del gruppo
12 a cura del Dott. Fabio Crapitti
13. Il contratto formativo d’aula
Il punto di forza del discutere la pianificazione sta nel coinvolgimento e nell’interazione sociale di tutti i partecipanti
La costruzione del contratto è un momento di scambio, d’interazione verbale diretta, di chiarificazione, di convincimento e adesione agli obiettivi del gruppo. In questo modo si aumenta l’esatta interdipendenza che si sviluppa, quando gli studenti apprendono insieme, in misura degli obiettivi da raggiungere
Gradualmente il gruppo classe può aumentare le proprie competenze cognitive e relazionali e costruire insieme una comunità sempre più democratica
Il tutor assume il ruolo di regista rispettando le opinioni dei partecipanti e le loro proposte; contemporaneamente deve fare presente anche le ragioni didattiche educative che depongono a favore di una o dell’altra scelta a cura del Dott. Fabio Crapitti 13
14. Il contratto formativo d’aula
Condivisione degli obiettivi, metodologie, organizzazione (presentazione, motivazione, coinvolgimento attivo sulla condivisione degli obiettivi formativi cognitivi e relazionali, delle metodologie, e dell’organizzazione)
Condivisione degli aiuti (l’apprendimento strategico, la predisposizione di modalità, strumenti e materiali)
Condivisione delle fasi e dei tempi del lavoro cooperativo e metacognitivo
Condivisione delle modalità di autovalutazione del gruppo
Condivisione delle modalità di valutazione da parte del tutor
14 a cura del Dott. Fabio Crapitti
15. Il contratto formativo d’aula (fasi) Condivisione delle modalità di controllo metacognitivo
Condivisione delle modalità d’esercizio, astrazione e trasferimento delle abilità in altri ambienti e situazioni
Condivisione delle modalità d’accertamento delle competenze individuali
Condivisione delle eventuali gratificazioni differite
15 a cura del Dott. Fabio Crapitti
16. Il ciclo dell’apprendimento E’ l’americano David Kolb che nel 1984 ha fatto una sintesi delle ricerche sul processo di apprendimento fondato sull’esperienza, appoggiandosi alle teorie di John Dewey, Kurt Lewin e Jean Piaget.
Imparare è un processo di tutta la vita (life long learning). Per questo non ha senso dire che si è imparato tutto ciò che c’è da imparare o che il nostro apprendimento è completato.
E’ una spirale che non è mai conclusa. Ogni anello della spirale ha quattro fasi distinte in ogni ciclo.
L’esperienza concreta: coinvolgersi pienamente, apertamente in esperienze nuove
L’osservazione riflessiva: riflettere su queste esperienze ed osservarle da molte prospettive
La concettualizzazione astratta: creare concetti che integrino le osservazioni in teorie di riferimento logicamente valide
La sperimentazione attiva: l’ipotesi e le sue alternative vengono testate attraverso l’azione. Il risultato delle ipotesi diventate azione produce delle conseguenze, delle nuove situazioni (o nuovi problemi).
16 a cura del Dott. Fabio Crapitti
17. Il ciclo dell’apprendimento Per Kolb l'apprendimento è un processo sociale e l'insegnamento non è più un’esclusiva della classe scolastica, ma proprietà della famiglia, del lavoro, delle situazioni di vita quotidiana. Si può apprendere in qualsiasi situazione, non solo in quelle designate per l'apprendimento. La tesi del lavoro di Kolb è che l'apprendimento dall'esperienza è il processo attraverso cui avviene lo sviluppo umano.
Kolb propone anche una tipologia degli stili individuali di apprendimento (organizzati attorno agli assi: astratto/concreto; azione/riflessione). 17 a cura del Dott. Fabio Crapitti
18. La formazione negli enti pubblici
La formazione per gli enti pubblici spesso si limita a colmare le lacune rilevabili nel curriculum dei lavoratori pubblici.
Ultimamente, anche nelle P.A., la formazione sta assumendo un ruolo strategico nel processo di innovazione organizzativa e di attuazione delle riforme.
La presenza di un contesto ad alta intensità di lavoro intellettuale e scenari di continui cambiamenti suggeriscono di orientare maggiormente l’investimento in formazione verso temi trasversali e innovativi non limitati alla semplice esecuzione dei compiti.
18 a cura del Dott. Fabio Crapitti
19. La formazione negli enti pubblici a cura del Dott. Fabio Crapitti 19
20. La valutazione dei fabbisogni formativi in una Amministrazione Pubblica
La Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione nel corso di questi anni ha operato in questa direzione, mettendo a punto percorsi formativi, coerenti con le esigenze delle amministrazioni, orientate a definire una nuova figura del Dirigente e del Funzionario pubblico
Fino ad ora, nell’ambito della Pubblica Amministrazione, è stato fatto poco per dare coerenza ai percorsi formativi dei dipendenti pubblici attraverso un incontro dei fabbisogni formativi (dei dipendenti e delle amministrazioni)
20 a cura del Dott. Fabio Crapitti
21. La valutazione dei fabbisogni formativi in una Amministrazione Pubblica
In seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione e alla Riforma Brunetta della Pubblica Amministrazione, molte amministrazioni hanno cambiato il principio guida dell’attività formativa, richiedendo profili professionali decisamente diversi da quelli “tradizionali”.
È ormai indispensabile dotarsi di strumenti software di supporto, in grado di orientare le scelte formative dei Dirigenti e Dipendenti Pubblici e che mettano in relazione l’attività di formazione con le mansioni e gli obiettivi dei relativi ruoli. Per far ciò è necessario partire da un’analisi dei tasks delle posizioni, per poter così arrivare alla definizione dei ruoli, delle competenze necessarie e dei relativi obiettivi.
a cura del Dott. Fabio Crapitti 21
22. SWOT ANALYSIS 22 a cura del Dott. Fabio Crapitti
23. La valutazione dei fabbisogni formativi in una Amministrazione Pubblica
Successivamente sarà possibile fare un’analisi per definire i percorsi formativi necessari a generare le professionalità di cui l’organizzazione ha bisogno per:
far fronte alle nuove esigenze
colmare i “difetti di competenza” dei singoli dipendenti
migliorare il processo di allocazione delle risorse all’interno dell’organizzazione
L’utilizzo di sistemi informatizzati si rende inoltre necessario per il processo di digitalizzazione avviato nella Pubblica Amministrazione. 23 a cura del Dott. Fabio Crapitti
24. La valutazione dei fabbisogni formativi in una Amministrazione Pubblica
La skill-gap analysis è una disciplina sorta per adeguare “rapidamente” la domanda all’offerta di lavoro, utile soprattutto in quei contesti, come la Pubblica Amministrazione, soggetta a cambiamenti radicali.
Per analizzare i fabbisogni formativi è possibile servirsi di due tipologie (McConnell, Peterson):
a cura del Dott. Fabio Crapitti 24
25. La valutazione dei fabbisogni formativi in una Amministrazione Pubblica Tali approcci prevedono di effettuare analisi che tengano presenti gli assetti organizzativi, giuridici e tecnologici dell’organizzazione presa in esame.
In entrambi gli approcci a cura del Dott. Fabio Crapitti 25
26. La valutazione dei fabbisogni formativi in una Amministrazione Pubblica
Nell’approccio funzionale, si parte dalla individuazione degli obiettivi strategici assegnati a ciascun centro di responsabilità.
Nella fase successiva, si individuano gli obiettivi operativi e le fasi di realizzazione.
E’ in questo momento che viene utilizzato il modulo di valutazione delle professionalità per misurare lo scostamento fra le professionalità possedute dal soggetto e le professionalità necessarie al raggiungimento degli obiettivi preposti.
Lo scostamento rappresenta lo skill gap.
26 a cura del Dott. Fabio Crapitti
27. La valutazione dei fabbisogni formativi in una Amministrazione Pubblica Nell’approccio relazionale il punto di partenza è sempre l’analisi della mission e della vision.
Nella fase successiva vengono individuati i principali processi organizzativi, identificando le relazioni che intercorrono fra i vari attori del processo e le professionalità richieste per realizzare le attività.
È opportuno fare riferimento ai processi “reingegnerizzati” o quanto meno a quelli “desiderati”. Ciò consentirà di valutare le professionalità effettivamente necessarie alla nuova organizzazione.
Da un punto di vista pratico, per valutare lo scostamento fra la professionalità posseduta e quella “ottimale”, si effettua una duplice valutazione:
? Una valutazione da parte del Dirigente del Servizio (in una scala di valori fra 1 e 5);
? Una valutazione da parte del personale addetto al processo, sulle competenze effettivamente possedute, nelle aree di conoscenza individuate dal Dirigente del Servizio (nella stessa scala di valori).
a cura del Dott. Fabio Crapitti 27
28. 28 a cura del Dott. Fabio Crapitti
29. SVILUPPO DELL’IDEA FORMATIVA LO SCOPO È SEMPRE QUELLO DI IDENTIFICARE:
le competenze richieste, esistenti, carenti, da sviluppare
le modalità di sviluppo delle stesse
LE AREE DI ANALISI PRELIMINARE E/O CONGIUNTA ALLA PROGETTAZIONE FORMATIVA SONO SEMPRE PIÙ DIVERSIFICATE IN RELAZIONE AI VARI AMBITI DI INTERVENTO:
Analisi di contesti sociali e di sistemi produttivi in evoluzione
Analisi delle figure professionali
Analisi dei processi lavorativi e delle tecnologie operanti
Analisi dei punti critici (non conformità, varianze, disservizi, ecc.)
Analisi delle caratteristiche peculiari dell’utenza
Analisi di clima organizzativo
Analisi di ruoli organizzativi
Diagnosi organizzative (strategie, strutture, sistemi operativi, ecc.) 29 a cura del Dott. Fabio Crapitti
30. I NUOVI ASSIOMIDELLA PROGETTAZIONE FORMATIVA Le variabili ed i fattori da controllare aumentano
La progettazione formativa è sempre meno un processo logico lineare, e sempre più un processo intuitivo reticolare
Si passa da un principio di razionalità assoluta ad un altro di razionalità limitata
Diventa indispensabile una “cassetta degli attrezzi” ampia ed articolata
Si restringe il tempo di intervento e si allarga la dimensione spaziale di intervento
Il lavoro di equipe diventa indispensabile
La funzione ricerca e sviluppo diventa strategica 30 a cura del Dott. Fabio Crapitti
31. GLI INPUTDELLA PROGETTAZIONE FORMATIVA
31 a cura del Dott. Fabio Crapitti
32. La valutazione della formazione
Le ragioni per cui varrebbe la pena valutare la formazione sono numerose e riguardano sia aspetti tecnico-professionali, sia fattori di opportunità e di politica formativa.
Sintetizzando le ragioni principali potrebbero essere ricondotte alle tre seguenti:
Innanzi tutto, una buona valutazione della formazione consentirebbe di migliorare la qualità della formazione stessa. Infatti la misurazione della validità di ciò che è stato fatto e di quanto è stato utile ai destinatari e all’ente, può dare molte informazioni precise e preziose ai progettisti dell’intervento formativo per rimediarne i punti deboli e per renderlo più efficace nelle edizioni successive.
32 a cura del Dott. Fabio Crapitti
33. La valutazione della formazione Inoltre una buona e credibile valutazione dei risultati dell’attività d’aula consentirebbe alla formazione di guadagnare un po’ più di credito di quanto ne abbia oggi e di ottenere anche in Italia una credibilità pari a quella di tante altre funzioni aziendali, sulla cui legittimità nessuno discute, della cui utilità nessuno dubita e i cui budget non vengono poi tagliati in modo tanto rapido al presentarsi di una qualsiasi, anche modesta, difficoltà aziendale.
Ed infine la valutazione della formazione darebbe ai partecipanti stessi un feedback preciso sui progressi che hanno ottenuto, e ai loro colleghi (futuri partecipanti) una motivazione maggiore ad iscriversi (o a chiedere di partecipare, a seconda dei casi) ad una iniziativa che non si limita a distoglierli dall’attività quotidiana, ma che davvero migliora le loro capacità lavorative in modo misurabile!
33 a cura del Dott. Fabio Crapitti
34. Modello fisico di Shannon e Weaver BREVE STORIA SULLE TEORIE DELLA COMUNICAZIONE
1949 SHANNON e WEAVER
Definirono la comunicazione come “ il trasferimento di informazioni da un’emittente ad un ricevente”
34 a cura del Dott. Fabio Crapitti
35. Definizione di comunicazione interpersonale 1. Trasmissione e ricezione di messaggi comprensibili dalle parti (leggi: persone) in modo tale che i messaggi divengano il mezzo del loro processo di relazione
2. Scambio di messaggi tra due o più parti secondo un determinato codice comprensibile da tutte le parti in relazione
TRASMISSIONE = attenzione a ciò che parte
COMUNICAZIONE = attenzione a ciò che torna 35 a cura del Dott. Fabio Crapitti
36. LA RIVOLUZIONE DI PAUL WATZLAWICK 1967 PAUL WATZLAWICK E ALTRI SUOI COLLEGHI DELLA “SCUOLA DI PALO ALTO” IN CALIFORNIA PUBBLICANO UN VOLUME
“PRAGMATICA DELLA COMUNICAZIONE UMANA”
1. NON E’ POSSIBILE NON AVERE UN COMPORTAMENTO.
2. IL COMPORTAMENTO E’ COMUNICAZIONE.
3. NON SI PU0’ NON COMUNICARE.
La nostra attività o la nostra inattività, le nostre parole o il nostro silenzio, hanno ugualmente valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri, a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni.
ONE CANNOT NOT COMMUNICATE
36 a cura del Dott. Fabio Crapitti
37. Gli assunti della comunicazione Ogni comportamento e’ comunicazione: non si può non comunicare
a. ogni comportamento è trasformazione di processi neurologici interni e reca informazioni su questi processi;
b. i mini comportamenti (movimenti occhi:cambiamenti colore della pelle; modificazioni del respiro) danno informazioni.
2. Il significato della comunicazione è la risposta che si riceve
a. la comunicazione può essere vista come un sistema di feed-back all’interno di un sistema cibernetico;
b. la risposta ricevuta è il feedback che influenza la comunicazione successiva.
3. La mappa non è il territorio
a. la mappa di un individuo è formata da rappresentazioni sensoriali tipiche di quella persona;
b. la mappa di un individuo struttura (condiziona) la sua esperienza del mondo.
37 a cura del Dott. Fabio Crapitti
38. Il Messaggio
IL MESSAGGIO
IL MESSAGGIO E’ IL PRODOTTO FINALE DEL PROCESSO LOGICO DEL RAGIONAMENTO, CHE SI PRESENTA COME L’INFORMAZIONE TOTALE COMUNICATA.
L’ESPRESSIONE
L’ESPRESSIONE E’ IL MODO DI RENDERE CONCRETO, CIOE’ VISIBILE, IL MESSAGGIO COME PRODOTTO DEL PROCESSO DI FORMAZIONE DELLA COMUNICAZIONE.
38 a cura del Dott. Fabio Crapitti
39.
Il MESSAGGIO ( ciò che si vuole comunicare) ha un significato per l’emittente, stabilito con riferimento ad un codice determinato.
CODICE = COMPLESSO DI SIMBOLI ORGANIZZATO
Affinché il significato del messaggio sia compreso, occorre che chi riceve il messaggio faccia riferimento allo stesso codice dell’emittente ( o ad un codice molto simile) e sia in grado di decodificare il messaggio stesso.
Quindi
il messaggio e’ cio’ che il ricevente comprende,
non cio’ che l’emittente intende dire !
39 a cura del Dott. Fabio Crapitti
40. RICORDO DEL MESSAGGIO
FISIOLOGIA 59%
SUONO 34%
PAROLE 7%
40 a cura del Dott. Fabio Crapitti
41. CIO’ CHE CONTA
NON E’ IL MESSAGGIO EMESSO
MA QUELLO RICEVUTO ! 41 a cura del Dott. Fabio Crapitti
42. COMUNICAZIONE
VERBALE NON VERBALE
CONTENUTO RELAZIONE
(DATI) (COMPORTAMENTI)
42 a cura del Dott. Fabio Crapitti
43. COMUNICAZIONE
VERBALE NON VERBALE
PAROLA RELAZIONE
(colloquio, (comportamento,
conferenza, ambiente, oggetti)
scrittura)
1988 Isabelle Orgogozo “Les paradoxes de la comunication”
43 a cura del Dott. Fabio Crapitti
44. 44 a cura del Dott. Fabio Crapitti
45. Disturbi nella comunicazione 1/2 45 a cura del Dott. Fabio Crapitti
46. Disturbi nella comunicazione 2/2 46 a cura del Dott. Fabio Crapitti
47. PROSODICA Attraverso l’uso della voce (modulazione, tonalità, velocità) rappresentiamo o verifichiamo negli altri:
Sensazioni
Emozioni
Simboli 47 a cura del Dott. Fabio Crapitti
48. PROSSEMICA Ogni cultura ha le proprie norme di vicinanza fisica.
Se le norme vengono violate possono venire generati dei malintesi.
48 a cura del Dott. Fabio Crapitti
49. SEGNALI DEL CORPO 49 a cura del Dott. Fabio Crapitti
50. Le componenti della comunicazione 50 a cura del Dott. Fabio Crapitti
51. Il ciclo della comunicazione TONO DEL MESSAGGIO
SENSAZIONI/IMMAGINE EVOCATE
PERSONA MESSAGGIO PERSONA
EMITTENTE RICEVENTE
(ricevente) (emittente)
FEEDBACK:REAZIONE EMOTIVA
APPREZZAMENTO
RIFIUTO
AMBIVALENZA
51 a cura del Dott. Fabio Crapitti
52. LA COMUNICAZIONE E’ IL FEEDBACK DI CHI ASCOLTA
NON
L’INTENZIONE DI CHI PARLA
Trasmissione = ATTENZIONE A CIO’ CHE PARTE
Comunicazione= ATTENZIONE A CIO’ CHE TORNA
52 a cura del Dott. Fabio Crapitti
53. PRINCIPI GUIDA PER LA COMUNICAZIONE INTERPERSONALE
1. Principio di pertinenza
Il messaggio deve essere adeguato all’ascoltatore
Il messaggio deve essere adattato all’ascoltatore
2. Principio di semplicità
Il messaggio per essere chiaro deve essere semplice
Il messaggio per essere semplice deve essere chiaro
3. Principio di definizione
Termini complessi (tecnico- scientifico-professionali) devono essere spiegati prima di essere usati
53 a cura del Dott. Fabio Crapitti
54. 4. Principio di strutturazione
Il messaggio deve procedere per gradi sviluppando un’idea/concetto/ipotesi/tesi per volta
5. Principio di ripetizione
Puntualizzazioni dei concetti chiave sono utili alla comprensione del messaggio
6. Principio di comparazione
Il messaggio è più comprensibile se semplificato, concretizzato, comparato. Le associazioni di idee favoriscono la comprensione.
7. Principio di focalizzazione
Nel comunicare occorre centrare l’attenzione sugli aspetti essenziali.
54 a cura del Dott. Fabio Crapitti
55. ASSERTIVITA’
CAPACITA’ DI ESPRIMERE
IL PROPRIO PUNTO DI VISTA
A P E R T A M E N T E
SENZA MOSTRARE SENZA MOSTRARE
REMISSIVITA’ AGGRESSIVITA’
55 a cura del Dott. Fabio Crapitti
56. TENDENZE COMPORTAMENTALI ED EMOTIVE CORRELATE AGLI STILI INTERATTIVI 56 a cura del Dott. Fabio Crapitti
57. I PRINCIPI DELL’ASCOLTO EMPATICO (COMPORTAMENTO DI SUPPORTO E TECNICHE DI INCORAGGIAMENTO) 1. APERTURA
CAPACITA’ DI METTERE DA PARTE LE PROPRIE RAGIONI PER ACCOGLIERE QUELLE DELL’ ALTRO.
2. COMPRENSIONE
CAPACITA’ DI ENTRARE NEGLI SCHEMI, NELLE CONOSCENZE, NELLE ESPERIENZE, NELLE INTENZIONI CHE STRUTTURANO IL PROCESSO COMUNICATIVO DELL’EMITTENTE.
3. INTERESSE E PARTECIPAZIONE ATTIVA DI TUTTA LA PERSONA
“EHM”, “AH”, “SI‘ ”, “CAPISCO”
SONO ESPRESSIONI CHE ATTENGONO ALLA COMUNICAZIONE VERBALE.
ANNUIRE, PROTENDERSI IN AVANTI, SORRIDERE, ETC.
SONO ESPRESSIONI CHE ATTENGONO AL COMPORTAMENTO,
ALLA COMUNICAZIONE NON VERBALE.
57 a cura del Dott. Fabio Crapitti
58. L’ESSERE DENTRO L’ESPERIENZA DELL’EMITTENTE E NELLO STESSO TEMPO IL RIMANERNE FUORI, CI PERMETTE DI COGLIERE IL SIGNIFICATO DELLE ESPERIENZE DELL’EMITTENTE, I SUOI ANTECEDENTI, LE SUE CONOSCENZE, SENZA RIMANERNE SOMMERSI.
E’ NECESSARIO IMPARARE AD ASCOLTARE L’INTERLOCUTORE. LA REALE E GENUINA ATTENZIONE PER I BISOGNI DELL’INTERLOCUTORE COSTITUISCE SEMPRE ED IN OGNI CIRCOSTANZA LA PREMESSA INDISPENSABILE ALLO SVOLGIMENTO DI UN EFFICACE PROCESSO DI COMUNICAZIONE. 58 a cura del Dott. Fabio Crapitti
59.
LA COMUNICAZIONE EFFICACE NECESSITA DI CONTROLLOsaper vederesapere ascoltaresaper percepire FLESSIBILITA’saper modificareil proprio comportamento 59 a cura del Dott. Fabio Crapitti
60. DEFINIZIONE DI ASCOLTO l’ascolto è un insieme di atti percettivi, attraverso i quali si entra spontaneamente (e anche involontariamente) in contatto con una fonte comunicativa.
la particolarità di questi atti consiste nel fatto che il soggetto, in qualità di ascoltatore, si pone nel ruolo di Recettore di messaggi. 60 a cura del Dott. Fabio Crapitti
61. L’ASCOLTO ATTIVO È
L’ASCOLTO EMPATICO
L’EMPATIA E’ LA CAPACITA’ DI METTERSI NEI PANNI DEGLI ALTRI SENZA LASCIARSI COINVOLGERE EMOTIVAMENTE DAL LORO PUNTO DI VISTA.
L’ASCOLTO EMPATICO RICHIEDE CHE IL RECETTORE SIA APERTO NEI CONFRONTI DEI MESSAGGI DELL’EMITTENTE, IMPEGNANDOSI A COMPRENDERE IL PUNTO DI VISTA DI QUEST’ULTIMO.
61 a cura del Dott. Fabio Crapitti
62. Gli strumenti della comunicazione L’ascolto 62 a cura del Dott. Fabio Crapitti La maggior parte delle persone NON sa ascoltare. Nell’ambiente di lavoro di solito non usiamo piu’ del 25% della facolta’ d’attenzione, anche se crediamo di essere buoni ascoltatori.
La maggior parte delle persone NON sa ascoltare. Nell’ambiente di lavoro di solito non usiamo piu’ del 25% della facolta’ d’attenzione, anche se crediamo di essere buoni ascoltatori.
63. Gli strumenti della comunicazione
I vantaggi dell’ascolto
1. Migliora la fiducia in se’ stessi
2. Aumenta il livello di considerazione da parte degli altri
3. Permette di risolvere situazioni di tensione
4. Permette di comprendere meglio i problemi
5. Facilita la ritenzione delle informazioni
6. Consente di fornire risposte piu’ intelligenti
7. Consolida le relazioni di lavoro
8. Genera empatia
63 a cura del Dott. Fabio Crapitti La maggior parte delle persone NON sa ascoltare. Nell’ambiente di lavoro di solito non usiamo piu’ del 25% della facolta’ d’attenzione, anche se crediamo di essere buoni ascoltatori.
Alla base della buona riuscita della comunicazione tra 2 interlocutori, c’e’ la capacita’ di dare lo stesso significato alle parole pronunciate
Spesso i problemi comunicativi derivano dal fatto che le 2 persone non percepiscono le parole allo stesso modo.
Molti non ascoltano perche’ temono che questo significhi dare ragione al proprio interlocutore
La maggior parte delle persone NON sa ascoltare. Nell’ambiente di lavoro di solito non usiamo piu’ del 25% della facolta’ d’attenzione, anche se crediamo di essere buoni ascoltatori.
Alla base della buona riuscita della comunicazione tra 2 interlocutori, c’e’ la capacita’ di dare lo stesso significato alle parole pronunciate
Spesso i problemi comunicativi derivano dal fatto che le 2 persone non percepiscono le parole allo stesso modo.
Molti non ascoltano perche’ temono che questo significhi dare ragione al proprio interlocutore
64. Gli strumenti della comunicazione Feedback
La volonta’ di giungere a una comprensione comune consiste nel premurarsi di trasmettere all’interlocutore la certezza che il messaggio:
1. Sia pervenuto a destinazione
2. Sia stato capito
3. Sia stato valutato appropriatamente
64 a cura del Dott. Fabio Crapitti
65. Gli strumenti della comunicazione Le domande
65 a cura del Dott. Fabio Crapitti Elemento fondamentale della comunicazione interpersonale
Se usate con accortezza sono utili per la ricerca del consenso, dato che inducono l’interlocutore ad approvare un proprio ragionamento
Consentono di generare leadership facendo assumere il controllo della comunicazione a chi le pone per orientarla nella direzione desiderataElemento fondamentale della comunicazione interpersonale
Se usate con accortezza sono utili per la ricerca del consenso, dato che inducono l’interlocutore ad approvare un proprio ragionamento
Consentono di generare leadership facendo assumere il controllo della comunicazione a chi le pone per orientarla nella direzione desiderata
66. La Comunicazione Comunicare significa “mettere in comune”Perchè ci sia comunicazione ci vuole collaborazione tra 2 soggetti, anche nel conflitto…La non collaborazione nel comunicare viene sempre interpretata come frutto di cattive intenzioni…
67. La Comunicazione Comunicare non e’ “ciò che volevo dire”, ma ciò che l’altro riceveLa reale comunicazione é l’effetto prodotto sull’interlocutoreL’intenzione del comunicatore é irrilevante, l’importante e’ il messaggio ricevuto...Per comunicare BENE é necessario “ancorarsi” all’interlocutore e a come interpreterà il messaggio
68. La Comunicazione La comunicazione e’ uno strumento per raggiungere un obiettivoLa comunicazione e’ lo strumento piu’ evoluto per l’adattamento all’ambienteSe non abbiamo chiaro l’obiettivo per cui comunichiamo, stiamo agendo spinti da un bisogno……e se l’altro non ha compreso, non abbiamo raggiunto il nostro obiettivo
69. Per questo...1) Assicuriamoci di avere la giusta collaborazione dell’altro prima di comunicare2) Assicuriamoci di costruire il nostro messaggio in modo che l’altro lo possa comprendere al meglio3) E’ inutile dire “Non mi hai capito”, meglio “Non mi sono spiegato” o, al limite, “non ci siamo capiti” Secondo Paul Watzlawick, nella comunicazione, oltre a uno scambio di informazioni, avverrebbe anche un influenzamento reciproco, che dipende non tanto da cio’ che si dice, ma da come lo si dice (se. Della barzelletta)Secondo Paul Watzlawick, nella comunicazione, oltre a uno scambio di informazioni, avverrebbe anche un influenzamento reciproco, che dipende non tanto da cio’ che si dice, ma da come lo si dice (se. Della barzelletta)
70. ESSERE UN LEADER Principio 1
Iniziate sempre con le lodi e l’apprezzamento sincero
Principio 2
Richiamate l’attenzione sugli errori altrui
Principio 3
Parlate dei vostri errori prima di sottolineare quelli altrui
70 a cura del Dott. Fabio Crapitti
71. ESSERE UN LEADER
Principio 5
Parlate di quello che interessa agli altri
Principio 6
Fate in modo che gli altri si sentano importanti e cercate sempre di ottenere questo risultato con la massima naturalezza e sincerità 71 a cura del Dott. Fabio Crapitti
72. CHI E’ ALLORA BUON COMUNICATORE ? Chi di solito possiede un buon livello di autostima
E possiede questi valori
LA CONSAPEVOLEZZA delle proprie e altrui emozioni
(contatto con se stessi, con le proprie idee ed emozioni)
LA RESPONSABILITA’ della riuscita della comunicazione
(capacità di accettare e sostenere le proprie idee e le proprie emozioni)
Critiche responsabili”salvare la faccia”
IL RISPETTO di sé e dell’altro
(e/o del proprio pensare e del proprio sentire)
È accoglienza,riconoscimento,apprezzamento del valore,dell’unicità e della dignità dell’altro
Comprensione e rispetto passano attraverso la capacità di ascolto
73. Coaching-Counseling-Mentoring
COACHING
Deriva dalla pratica sportiva, in cui vi è un coach (o allenatore) che allena i membri di una squadra o i singoli atleti al miglioramento della performance,
Con tale termine, nel mondo aziendale, ci si riferisce a tutte quelle pratiche in cui:
un capo, responsabile di un’unità organizzativa, stabilisce una relazione di aiuto con uno o più dei suoi collaboratori con l’intento di migliorarne i risultati.
73 a cura del Dott. Fabio Crapitti
74. Coaching-Counseling-Mentoring COACHING
Fondamento di tale pratica formativa, come afferma Withmore (Withmore 2003) - uno degli artefici del passaggio di tale modalità di training dal mondo sportivo a quello manageriale (era un pilota della Ford) - è che:
l’allievo non sia diretto ed indirizzato nelle sue azioni dal coach ma sia, al contrario, stimolato a svilupparsi secondo una sua linea di condotta.
a cura del Dott. Fabio Crapitti 74
75. Coaching-Counseling-Mentoring COACHING
Come afferma lo stesso Autore, infatti, finalità del coaching è quella di “liberare le potenzialità di una persona perché riesca a portare al massimo il suo rendimento”.
Basilare, per il raggiungimento di un tale risultato, è l’azione di stimolo alla riflessione esercitata dal capo, consistente “nell’aiutare la persona ad apprendere piuttosto che il limitarsi ad impartire insegnamenti o lezioni”.
a cura del Dott. Fabio Crapitti 75
76. Coaching-Counseling-Mentoring COACHING
Il coaching, che in tale accezione assume il significato di una pratica formativa e cioè di uno strumento operativo del capo per il miglioramento dei risultati del collaboratore, appare vicino al termine di insegnamento.
se con questo condivide la finalità di trasferire competenze, se ne distingue tuttavia in modo netto;
come afferma Lewis, infatti, (Lewis 1996) mentre l’insegnamento implica il mostrare il come fare le cose, il coaching è insegnare ad apprendere dalle esperienze.
l’importanza di tale principio è sottolineata, d’altra parte, dallo stesso Withmore che, se, per un verso, individua nell’aumento del senso di responsabilità un presupposto per la riuscita del coaching, evidenzia per l’altro, l’importanza dello sviluppo della consapevolezza del coachee. a cura del Dott. Fabio Crapitti 76
77. Coaching-Counseling-Mentoring COACHING
Strumento fondamentale per il raggiungimento di un tale risultato, è l’uso delle domande che, scevre da qualsiasi forma di direttività, debbono portare il collaboratore a fare una diagnosi ed una terapia e cioè ad individuare egli stesso gli obiettivi di miglioramento, evidenziare i problemi e ricercare le soluzioni.
Seppure sia evidente il richiamo alla psicologia umanista di Rogers centrata sul cliente (Rogers 1970) , in cui il terapista funge da specchio allo sviluppo autodiretto del paziente, il coaching così come qui inteso, non può essere assimilato a tale filone concettuale:
mentre il counselling di Rogers (come vedremo in seguito) è un approccio interamente mirato allo sviluppo della persona (si potrebbe dire indipendentemente dall’organizzazione)
il coaching è un intervento volto allo sviluppo di abilità prevalentemente tecniche (di vendita, di gestione delle lamentele della clientela ecc.) con una forte centratura sull’organizzazione.
77 a cura del Dott. Fabio Crapitti
78. Coaching-Counseling-Mentoring
L’origine nel mondo sportivo e l’idea del coach che allena a sviluppare abilità specifiche (es. correre più rapidamente) con una forte attinenza al compito, al risultato ed alla performance, confermano tale accezione.
L’idea di Reggiani di considerare il coaching quale strumento attraverso cui il capo genera, propone (ed in qualche caso impone) al collaboratore azioni da porre in essere nel lavoro (Reggiani 2000), con una forte colorazione di indirizzo e guida, trae giustificazione da tali presupposti e per quanto, a mio avviso forzata, per la perdita del principio di auto direzione del coachee di Withmore, appare in qualche modo giustificabile a cura del Dott. Fabio Crapitti 78
79. Coaching-Counseling-Mentoring COUNSELLING
È una tipologia di relazione di aiuto, maggiormente incentrata sui bisogni dell’individuo, che ha come finalità il fornire un supporto psicologico per il migliore adattamento nell’organizzazione.
Rientrano in questo filone gli interventi volti:
a favorire l’adeguamento alla nuova posizione o ad uno specifico task (progetto);
a rendere meno problematica l’assimilazione e/o l’adattamento ai nuovi valori ed alla nuova cultura organizzativa;
a chiarire quale possa essere l’orientamento di carriera;
o a rendere possibile lo sviluppo di specifiche capacità comportamentali in visione di una crescita professionale.
79 a cura del Dott. Fabio Crapitti
80. Coaching-Counseling-Mentoring COUNSELLING
Inteso in tal senso il termine counselling raggruppa la gran mole delle applicazioni che in letteratura (a nostro avviso impropriamente) vengono veicolate sotto il titolo di coaching.
Personal coaching, personal training, tutoring, organizational coaching, executive coaching, wellness coaching, spiritual coaching possono, secondo il nostro punto di vista, essere classificate sotto tale ambito andando a configurare forse la maggior parte delle trumentazioni oggi conosciute dalle nostre aziende. a cura del Dott. Fabio Crapitti 80
81. Coaching-Counseling-Mentoring
Cosa accomuna tutte queste pratiche e cosa le distingue dal coaching?
Vari elementi possono fare da guida:
Un primo criterio è il riferimento ai bisogni dell’individuo, più che a quelli dell’organizzazione. Se era infatti il miglioramento di una performance l’oggetto del coaching, è invece, l’individuo e la sua esigenza di supporto psicologico, l’oggetto del counselling.
Un secondo elemento di distinzione (che deriva dal precedente) è poi l’origine dell’attivazione di un rapporto di counselling che, mentre è, in genere esterna (esogena), in un rapporto di coaching, è rigidamente interna all’individuo (endogena) in una relazione di counselling. Se pur si può prevedere di aiutare qualcuno nello sviluppo di certe competenze, infatti, non si può imporre a nessuno l’accettazione di un supporto personale, non fosse che per l’inutilità dello stesso nel caso di una mancanza di percezione di necessità.
continua…
a cura del Dott. Fabio Crapitti 81
82. Coaching-Counseling-Mentoring
Cosa accomuna tutte queste pratiche e cosa le distingue dal coaching?
Un terzo criterio è quindi la natura del counsellor che, se era legata al ruolo del capo nel caso del coaching, appare vincolata, in questo ambito, alla figura di un professionista esterno all’organizzazione. Le motivazioni di una tale necessità sono ovvie, essendo la natura della relazione, in questo caso, così intima da poter difficilmente essere conciliabile con i vincoli imposti da una relazione gerarchica.
Quarto criterio di distinzione del counselling è poi il set di regole della relazione e cioè l’estensione temporale della relazione, i luoghi e la durata degli incontri essendo intuitivo che se ci si può ispirare alla rapidità ed all’informalità nel caso del coaching (normale in un rapporto tra capo e collaboratore), ci si dovrà attenere ad una certa formalità e strutturazione nel caso del counselling. Seppure non vi sia una regola scritta, è, infatti, opinione comune che una relazione di tal genere non possa durare meno di sei mesi e non possa prevedere meno di un incontro ogni 15 - 20 giorni.
continua…
c 82 a cura del Dott. Fabio Crapitti
83. Coaching-Counseling-Mentoring Cosa accomuna tutte queste pratiche e cosa le distingue dal coaching?
Per concludere vi è un quinto elemento che gioca un ruolo decisivo per la caratterizzazione di tale tipologia di relazione e che ha a che fare con la metodologia di approccio all’individuo. La metodologia, che assume importanza per la necessità che si ha di modificare la psiche dell’individuo e provocare il cambiamento, può essere ovviamente diversa essendovi più teorie psicologiche che ispirano l’intervento sull’uomo.
Se pur esistano, a tal proposito, una gran varietà di scuole, quelle che per storia e facilità di utilizzo nel mondo del lavoro, sembrano più praticate, sono quella umanista di derivazione rogeriana (la terapia centrata sul cliente) e la RET d’impronta cognitivo comportamentale (De Silvestri 1981, 1999).
a cura del Dott. Fabio Crapitti 83
84. Coaching-Counseling-Mentoring Le due scuole, se pur accomunate dall’obiettivo di favorire la crescita e lo sviluppo della persona nella direzione di un suo adattamento, sono in realtà assai diverse.
mentre la scuola rogeriana, infatti, si basa sull’ipotesi di uno sviluppo autonomo dell’individuo in sette stadi di progressiva apertura e modificazione, a patto che la relazione di aiuto garantisca accettazione incondizionata, fiducia e comprensione empatica,
la RET, fonda la sua pratica sulla rimozione attiva delle convinzioni irrazionali, ritenute la causa principale delle emozioni e dei comportamenti disadattivi e cioè poco funzionali all’adattamento dell’individuo al contesto esterno. a cura del Dott. Fabio Crapitti 84
85. Coaching-Counseling-Mentoring Tale diversità di impostazione non può che comportare delle differenze di strategie e procedure nell’intervento di counselling.
Mentre nel counselling di impostazione rogeriano, il coach lascia, infatti, che sia il “cliente” a definire i suoi obiettivi ed i passi del cambiamento attraverso l’utilizzo delle domande e dei feed back, in modo tale da favorire la consapevolezza del coachee, nel counselling di impostazione cognitivo comportamentale, il coach gioca un ruolo più attivo.
Egli infatti, se pur lascia che sia il coachee a stabilire gli obiettivi, si pone in modo più diretto nell’individuazione delle idee disfunzionali, nella messa in crisi delle stesse attraverso il confronto con il coachee sul piano dialettico e nella correzione delle emozioni e comportamenti disadattivi attraverso la prescrizione di compiti da assolvere. 85 a cura del Dott. Fabio Crapitti
86. Coaching-Counseling-Mentoring Interessante nello strumentario dei coach di derivazione rogeriana, l’utilizzo delle tecniche del problem solving creativo e del role playing per la rievocazione di vissuti o l’allenamento a nuove modalità di comportamento (Goeta 2004) così come del Dispute of Irrational Beliefs, del controllo delle emozioni o della desinsibilizzazione sistematica nelle pratiche del coaching di ispirazione cognitivo comportamentale (De Silvestri).
Al di là delle diversità di scuola, come pone in luce Loss (Loss 1995), ciò che ritorna nei diversi approcci appare l’attenzione per l’ascolto e lo stimolo all’autoespressione, elementi questi da considerare quali basi per rendere possibile lo stabilirsi di una relazione di fiducia e di aiuto.
a cura del Dott. Fabio Crapitti 86
87. Coaching-Counseling-Mentoring
MENTORING
Assai diversa dal coaching e dal counselling, tale metodologia fa riferimento ad una relazione in cui un collega anziano, considerato saggio ed esperto, offre aiuto ad un collega più giovane, per l’inserimento nel contesto aziendale, l’orientamento professionale o lo sviluppo delle sue potenzialità.
Ispirato all’Odissea ed in particolare alla relazione di Mentore con Telamaco, che lo stesso Ulisse promuove per la crescita del figlio, al momento della sua dipartita da Itaca, mentoring richiama alla mente una relazione maestro allievo, che mette in causa una persona esperta e navigata nel contesto aziendale, capace di indirizzare un collega più giovane nel suo processo di sviluppo nell’organizzazione. 87 a cura del Dott. Fabio Crapitti
88. Coaching-Counseling-Mentoring MENTORING
Gli elementi caratteristici del mentoring, che lo differenziano dagli strumenti sopra descritti sono, come intuibile, molteplici.
In primo luogo la presenza di un collega esperto e saggio, spesso conoscitore di un mestiere e comunque ben consapevole della realtà aziendale, accompagnata dalla presenza di un mentee giovane, da poco entrato nell’organizzazione e comunque in crescita ed in sviluppo.
In secondo luogo l’assenza di una relazione gerarchica, essendo il rapporto stabilito tra due persone appartenenti alla medesima realtà aziendale ma di diverse unità organizzative.
In terzo luogo la presenza di una committenza esterna ai due soggetti essendo il promotore, nella maggior parte dei casi, identificabile nella funzione Risorse Umane.
Quarto elemento, infine, la natura non formale della relazione, essendo il rapporto incentrato su incontri non formali, spesso non programmati, in cui i due soggetti possono anche lavorare fianco a fianco per lo sviluppo del loro lavoro. Una relazione più direttiva forse, meno basata sull’ascolto, sull’utilizzo delle domande e dei feedback ma, non per questo, meno efficace e produttiva.
a cura del Dott. Fabio Crapitti 88
89. Coaching-Counseling-Mentoring
Essendo evidente la diversità degli approcci e degli strumenti sopra descritti, non risulta in nessun modo possibile considerare i tre termini quali sinonimi.
89 a cura del Dott. Fabio Crapitti
90. Coaching-Counseling-Mentoring
Se infatti:
coaching richiama ad una relazione capo collaboratore, finalizzata allo sviluppo delle performance
mentoring rappresenta invece un rapporto tra un saggio ed un allievo senza relazione gerarchica, finalizzato ad uno sviluppo del mentee
couselling individua una relazione tra un esperto esterno all’organizzazione ed un dipendente dell’azienda, volta a sviluppare le competenze e/o favorire l’adattamento al ruolo
Tre termini dunque diversi che, se pur spesso confusi, non possono essere assimilati o considerati alla stessa stregua a cura del Dott. Fabio Crapitti 90
91. a cura del Dott. Fabio Crapitti 91