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Il benessere in famiglia, tra economia e relazioni. Luigino Bruni Università di Milano-Bicocca e Istituto Superiore di Cultura “Sophia” Un lavoro a misura di famiglia: quale vie di riconciliazione? Roma, 9-11 feb 2007. Famiglia e felicità.
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Il benessere in famiglia, tra economia e relazioni Luigino Bruni Università di Milano-Bicocca e Istituto Superiore di Cultura “Sophia” Un lavoro a misura di famiglia: quale vie di riconciliazione? Roma, 9-11 feb 2007
Famiglia e felicità • Che i rapporti familiari siano un’importante fonte di felicità, e di infelicità, è un fatto, più che una teoria: • la storia delle civiltà ce ne dà ampia testimonianza nel tempo e nello spazio. • ancora oggi, e in tutte le culture, l’essere sposati o il passare più tempo con i propri familiari ha un ruolo che pesa molto, spesso più del reddito, nella felicità di noi umani.
Cosa è emerso dai dati sulla felicità delle persone? • Oggi c’è un certo consenso attorno ai seguenti risultati: • oltre una certa soglia di reddito, le persone più ricche nei paesi a reddito avanzato non sono sempre le più felici di quelle povere • Il confronto tra Paesi, non mostra correlazione significativa tra reddito e felicità, e i Paesi più poveri non risultano essere significativamente meno felici di quelli più ricchi • nel corso del ciclo di vita (nel tempo) la felicità delle persone sembra dipendere molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza.
Il paradosso reddito/felicità 1950-2000 in USA, EU, J…
Quali spiegazioni? 1. Teoria dell’adattamento: l’aumento di “piacere” è legato alla “novità”: l’aumento di reddito ha effetti sulla felicità solo transitori, poiché tendiamo a spendere il reddito in comfort che porta presto all’adattamento e alla noia (Scitovsky, 1976)) • 2. Teoria del confronto “posizionale”: la “felicità” è un rapporto tra il mio reddito e quello degli altri: se il mio reddito aumenta “meno” di quello del vicino o del collega, posso avere più ricchezza ma minor felicità • 3. Aspirazioni: l’aumento del reddito porta con sé l’aumento delle aspirazioni. La pubblicità agisce tremendamente su questo “rullo” come una tassa che riduce, in certi casi azzera, il benessere dei beni che compriamo con il reddito
E la famiglia? • Da tutte le analisi risulta che chi investe nei rapporti famigliari ha un forte “differenziale di felicità” rispetto a chi non lo fa (o lo fa meno); • Da una ricerca (Bruni e Stanca 2007), questi dati sono emersi con grande chiarezza, sia a livello mondiale sia per la sola Italia
Perché la vita familiare è correlata alla felicità? • La famiglia è il luogo privilegiato dove si creano “beni relazionali primari” • I beni relazionali primari sono essenziali importanti in una vita buona; • inoltre: • Non sono soggetti all’effetto adattamento (o molto meno dei beni di comfort) • Non sono soggetti alla competizione posizionale (perché non sono “vistosi”) • Non sono “svalutati” dal “rullo” delle aspirazioni
Perché allora sbagliamo nell’uso delle nostre risorse? • Domanda: • Se i dati (e l’esperienza) ci dicono che dedicare risorse alla vita famigliare (e relazionale “genuina” in generale) è così importante per la felicità, perché di fatto “sbagliamo” nel fare i calcoli e investiamo troppe risorse per produrre invece comfort e beni materiali? • Propongo alcune piste di risposta a questa domanda
Gli effetti di un aumento di reddito (1) ? Felicità + Reddito +lavoro (2) ? felicità X Il peso relativo dei due “effetti” varia al crescere del reddito e la somma (1+2) può diventare negativa “oltre un punto critico”
Che cosa comprende la variabile “X”? • Beni relazionali (soprattutto quelli primari) • Attività con motivazioni intrinseche (e non strumentali), svolte perché hanno in se stesse la loro ricompensa • Vita interiore e spirituale • Gratuità: la dimensione della gratuità è quella che accomuna le attività di cui sopra
Felicità (Fa) Zona critica Relazione Reddito/felicità La variabile “latente” è la gratuità Reddito Oltre una soglia critica, il rapporto tra reddito e felicità può trasformarsi da virtuoso in vizioso, perché inizia a “spiazzare” la gratuità
Il prezzo della gratuità • La gratuità – dimensione essenziale dei beni relazionali e di tutto ciò che rende pienamente “umani” – rischia di essere la moneta con cui stiamo pagando lo sviluppo economico • La famiglia è oggi minacciata soprattutto sul fronte della gratuità • Immaginiamo, come esempio, una situazione verosimile …
Immaginiamo … • Fino a qualche tempo fa, Teresa, la figlia più grande dei signori del palazzo di fronte era disposta ad assistere il fratellino più piccolo quando i genitori dovevano entrambi uscire per qualche ora. • Negli ultimi tempi, però, anche Teresa, ormai adolescente, desidera uscire la sera. • I genitori propongono allora un patto alla figlia: per ogni ora di babysitting riceverà 5 euro. Lei accetta, con un apparente guadagno reciproco: i genitori spendono meno del costo di “mercato”, e Teresa ottiene un guadagno extra.
Per un po’ funziona ma … • Per qualche mese l’accordo funziona, ma presto i genitori si accorgono che Teresa inizia a non accontentarsi più dei 5 euro, e soprattutto inizia ad offrirsi, sempre a pagamento, per fare uscire il cane, accompagnare il nonno per la passeggiata, aiutare il fratello a fare i compiti – attività mai svolte prima. • Il papà fa due rapidi conti, e si accorge che le uscite complessive sono ora molto maggiori di quanto avrebbe speso rivolgendosi a suo tempo ad una babysitter, e poi non sono contenti dell’eccessiva “monetizzazione” dei rapporti famigliari. • Prendono così la decisione di eliminare tutti i pagamenti, e tornare alla gratuità precedente.
Con quali risultati? • Non solo tutti i nuovi comportamenti cooperativi di Teresa vengono immediatamente interrotti (cane, compiti, nonno), ma anche alcuni dei servizi che svolgeva gratuitamente prima del “contratto” vengono ridotti: • in sostanza, si è tornati ad una situazione peggiore di quella di partenza che si voleva migliorare.
Qual è l’elemento cruciale in questa storia? • Il significato simbolico del denaro. • Il pagamento in moneta attribuisce un prezzo ai comportamenti non di mercato; in altre parole, crea nuovi “mercati”, trasforma beni in merci. • Fino ai 5 euro all’ora, davanti ad una ipotetica domanda: “quale è il valore economico dell’assistenza a tuo fratello?”, probabilmente Teresa avrebbe risposto: “non ne ho la minima idea!”. • Dal momento in cui i genitori le danno 5 euro, lei inizia ad assegnare un valore monetario al suo comportamento: “quanto faccio a casa vale 5 euro l’ora”. • La somma di denaro ricevuta diventa il valore di quel comportamento.
Quanto vale un atto d’amore? • Noi esseri umani, non sappiamo sempre quantificare il valore economico delle azioni che svolgiamo. In molti ambiti agiamo senza fare una valutazione in termini monetari del nostro comportamento. • Ecco perché Teresa può ridurre il suo impegno una volta tolto l’incentivo del pagamento. Se la ragazza, una volta che la somma viene eliminata, riduce il suo impegno gratuito a casa rispetto alla situazione iniziale, ciò rivela che il valore intrinseco delle sue azioni cooperative era maggiore di 5 euro, un valore che quindi le si riduce in seguito al “contratto” con i genitori. • Ecco perché una fidanzata o un marito si offenderebbero se fossero pagati per ascoltarci un giorno intero: il valore intrinseco di quel loro gesto è infatti per loro molto maggiore di una pur generosa somma monetaria. L’offesa, invece, si trasforma in gioia se arriva, ex-post, un dono per esprimere gratitudine, magari dello stesso valore monetario, o maggiore (denaro come prezzo o come premio o ricompensa delle “virtù”).
Virtù e ricompense • Dragonetti, un giurista napoletano erede dell’umanesimo civile e cristiano, ad un anno dalla pubblicazione del libro di Beccaria “Dei delitti e delle pene”, pubblicò a Napoli un volume dal titolo: “Delle virtù e dei premi” (1765). Nell’introduzione vi si legge: “Gli uomini hanno fatto milioni di leggi per punire i delitti, e non ne hanno stabilità pur una per premiare le virtù”; e qualche pagina dopo aggiunge: • “Essendo la virtù un prodotto non del comando della legge, ma della libera nostra volontà, non ha su di essa la società diritto veruno. La virtù per verun conto non entra nel contratto sociale; e se si lascia senza premio, la società commette un’ingiustizia simile a quella di chi defrauda l’altrui sudore”.
Perché la nostra società non valorizza abbastanza la gratuità? • 1. Una prima ragione di fondo è che la gratuità è legata alla sofferenza e la cultura contemporanea occidentale non capisce più il dolore, e fa di tutto per fuggire via; • 2. La cultura sociale: miliardi di euro sono investiti in pubblicità per vendere merci, e molto pochi per “vendere” beni relazionali • 2. Soprattutto, il mercato moderno tende a vendere merci che “simulano” i beni relazionali veri: • Televisione come “mistificatrice” di rapporti veri con gli altri • Le nuove tecnologie 4. I beni relazionali sono costosi e rischiosi (sono vulnerabili e fragili rispetto alle scelte degli altri), mentre i beni di mercato molto meno. E’ il “paradosso di Aristotele”: la vita buona deve saper convivere con la fragilità. 5. Il prezzo “relativo” dei beni relazionali cresce sempre di più con lo sviluppo tecnologico: oggi rapporti veri e gratuiti costano molto anche perché costano poco i rapporti “falsi”.
Il valore della gratuità • Il grande errore cui induce l’estendersi della logica del mercato è associare la gratuità al “gratis”, ad un prezzo nullo. • Il realtà la gratuità corrisponde ad un prezzo infinito, come sapeva bene San Francesco: • “Che cosa sono, a che cosa servono, che significano, e quanto valgono il lupo a Gubbio e per Gubbio, o le colombe e le cornacchie a Bevagna e per Bevagna?”
La famiglia: scuola di gratuità • Davanti all’invasione della logica del “prezzo”, la famiglia soprattutto deve essere una scuola e una palestra dove si impara (tutti) l’arte della gratuità, che ricorda che i beni più importanti non possono essere “prezzati” perché li svaluteremmo, faremmo “dumping relazionale”: • “Per una cosa che vale un denaro io ti verserò mille marchi d’argento, anzi mille volte di più. Perché il servo di Dio offre al benefattore, in cambio dell’elemosina, l’amore di Dio, a confronto del quale tutte le cose del mondo e anche quelle del cielo sono nulla” (San Francesco)
Due implicazioni per il lavoro • 1. Leggere lo stipendio che riceviamo non come il “valore” della nostra attività, ma come un premio per riconoscere il valore di quanto faccio • Il lavoro umano vale molto più del denaro che si ottiene in cambio: se dimentichiamo questa antica legge, impoveriamo tragicamente noi stessi e la vita civile • 2. Nelle professioni con “vocazione” gli incentivi monetari vanno utilizzati con grande cura: anche la gratuità è un ottimo strumento di selezioni dei candidati “migliori” • 3. Quando il lavoro piace (perché e in sé fonte di soddisfazione) si rischia di lavorare sempre: l’umanesimo cristiano insegna che il lavoro è importante ma ad un certo punto termina. Altrimenti si cade in circoli viziosi, del tipo: lavoro molto i rapporti extra lavoro si deteriorano sto male fuori lavoro, e per questo lavoro di più i rapporti fuori peggiorano ancora …
Conclusione: “darei un patrimonio per un attimo di gratuità” • Il lavoro è importante, ma la capacità di gratuità lo è di più: si può vivere senza lavorare, ma si muore presto senza dare e ricevere amore (gratuità). Ciò è ancor più vero nella nostra società, dove si vale tanto quanto “costiamo”. • Inoltre, solo se si sperimenta la gratuità (soprattutto in famiglia) si può essere capaci di essere buoni lavoratori, costruttori di comunità di lavoro; • Anche in società ricche, come in quelle più povere, resta vero che … “L’uomo felice ha bisogno di amici” (Aristotele). • Se perdiamo contatto con la gratuità, le grandi carestie che affameranno le nostre società opulente saranno con ogni probabilità carestie di “beni ambientali” (e già lo vediamo); ma anche di “beni relazionali”, di gratuità e quindi carestie di felicità!
GRAZIE!!! Per approfondire: • L. Bruni e L. Stanca, “Famiglia e felicità”, 10° rapporto CISF sulla famiglia (in corso di pubblicazione) • L. Bruni, “Il prezzo della gratuità”, Città Nuova, 2006. • R. Layard, “Felicità. Una nuova scienza”, Rizzoli, 2005.