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Influssi e contaminazioni tra ribalta e pellicola

Influssi e contaminazioni tra ribalta e pellicola. Influssi e contaminazioni tra ribalta e pellicola.

luther
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Influssi e contaminazioni tra ribalta e pellicola

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Presentation Transcript


  1. Influssi e contaminazioni tra ribalta e pellicola

  2. Influssi e contaminazioni tra ribalta e pellicola • Poiché sullo schermo sono ricorrenti le situazioni in cui il teatro viene a intersecarsi con il cinema in una continua comunione di ruoli, interferenze e risonanze, cercheremo di tessere un vero e proprio racconto dei legami che possono instaurarsi tra queste due arti della rappresentazione.

  3. Influssi e contaminazioni tra ribalta e pellicola • La nostra intenzione non è tanto quella di mettere alla prova una eventuale superiorità del cinema rispetto al teatro o viceversa, quanto piuttosto quella di sottolineare situazioni ricorrenti in cui il loro ambivalente rapporto, senza duplicare l’una o l’altra forma di messa in scena, tende a creare un binomio mediante il quale è possibile investigare la realtà dei due sistemi di racconto.

  4. Nel segno delle origini: i fratelli Lumière • Scrive riferendosi ai Lumière George Sadoul: “Secondo me i fratelli Lumière avevano definito in modo esatto il vero campo del cinema. Bastano il romanzo, il teatro per l’esplorazione del cuore umano. Il cinema è il dinamismo della vita, della natura e delle sue manifestazioni, della folla e del suo agitarsi. Ne dipende tutto ciò che si afferma col movimento. Il suo obiettivo si apre sul mondo”.

  5. Nel segno delle origini: i fratelli Lumière • Tuttavia, se a partire dai Lumière, prende vita uno spettacolo in cui ciò che conta non è più il valore della mediazione dovuta a un palcoscenico o a un pennello ma piuttosto il racconto delle metropoli in cui viviamo, già “L’innaffiatore innaffiato” dei Lumière è il primo germe che poi darà vita alle commedie future raccontate dal cinematografo. E, anche, è un grimaldello utile per demolire la distinzione che vede, schematicamente, nei Lumière i padri del realismo e in Méliès quello del cinema fantastico.

  6. “L’innaffiatore innaffiato” fratelli Lumière (1895)

  7. Nel segno delle origini: George Méliès • Nelle mani di Méliès il cinematografo diventa l’equivalente dell’assistente del mago, dando così vita a metamorfosi che sostituiscono sia i trucchi prettamente teatrali - basti pensare ai voli meccanici o alle discese dal cielo - sia i trucchi fotografici - basti pensare al meccanismo della sovrimpressione ottenuto sovrapponendo più immagini in uno stesso quadro in modo da avere come risultato una ulteriore più elaborata immagine -.

  8. Nel segno delle origini: George Méliès • Tali ideazioni consentono a Méliès l’invenzione di numerosi giochi di prestigio o di illusione che nulla hanno da invidiare all’esempio più classico di grande magia, ovvero quello della donna che viene segata in due dal mago.

  9. Nel segno delle origini: George Méliès • Fare ingrandire o rimpicciolire una testa umana, farla diventare prima enorme e poi di nuovo piccolissima (“L’uomo con la testa di Caucciù”, 1901) non equivale forse a ciò che compie l’illusionista quando taglia a metà il corpo di una bella fanciulla chiusa in una scatola?

  10. Nel segno delle origini: George Méliès • A sostituire tale scatola - un parallelepipedo di forma rettangolare, posizionato orizzontalmente e sufficientemente ampio da riuscire a contenere il corpo della persona che vi entra, ma corto al punto da lasciarne fuori la testa e i piedi - ci pensa lo spostamento della cinepresa che mossa avanti o indietro nell’atto della ripresa permette di ingrandire o rimpicciolire la testa in questione che nell’”Uomo dalla testa di caucciù” è quella dello stesso Méliès.

  11. George Méliès “L’uomo dalla testa di caucciù” (1901)

  12. George Méliès “L’uomo dalla testa di caucciù” (1901)

  13. George Méliès “L’uomo dalla testa di caucciù” (1901)

  14. Nel segno delle origini: George Méliès • I primi trucchi cinematografici dunque, funzionano come fossero i magici espedienti del prestidigitatore e il loro uso è un ulteriore esempio del connubio che lega fin dalle origini lo schermo alla scena. • Infatti, arrestare la ripresa per consentire a oggetti o persone di sparire o apparire dal nulla, utilizzare dei mascherini per unificare spazi diversi o per sdoppiare un personaggio sono tocchi cinematografici che si aggiungono al palcoscenico.

  15. Nel segno delle origini: George Méliès • Inoltre, anche nel momento in cui Méliès inizia a realizzare film costituiti da più di una inquadratura, l’uomo di teatro che fin dall’inizio egli era stato non manca di fare capolino dalla pellicola.

  16. Nel segno delle origini: George Méliès • Guardando film come “Viaggio sulla luna” (1902), pur l’illusione cinematografica andando al di là del trucco scenico, quando si vedono Seleniti e Terrestri inchinarsi verso il pubblico si assiste a un gesto significativo che mostra come nonostante tutte le innovazioni di cui fu autore, Méliès resti comunque l’uomo di teatro che è sempre stato.

  17. George Méliès “Viaggio sulla luna” (1902)

  18. George Méliès “Viaggio sulla luna” (1902)

  19. I Lumière e Méliès: antitesi reale o fittizia? • Certamente Méliès ragiona ancora in termini prettamente teatrali, sia perché i personaggi dei suoi film si relazionano con lo spazio come fossero a teatro - non a caso alla fine di ogni scena rivolgono al pubblico il loro inchino -, sia perché, interessato soprattutto al profilmico, ovvero a quello che viene collocato davanti alla macchina da presa prima di riprendere, questo regista privilegia il lavoro della messa in scena e sembra preferire il teatro al cinema.

  20. I Lumière e Méliès: antitesi reale o fittizia? • Lo stretto legame tra palcoscenico e schermo non risparmia nemmeno i fratelli Lumière. • Infatti, mandare gli operatori a riprendere con il cinematografo, ma senza pellicola, il passaggio dei borghesi nei luoghi più frequentati delle diverse città non significa forse evidenziare la messa in scena teatrale della vita?

  21. I Lumière e Méliès: antitesi reale o fittizia? • Assecondando l’aspirazione dei loro contemporanei ad autorappresentarsi, i Lumière originano un vero e proprio spettacolo perché come sottolinea Sandro Bernardi: • “La curiosità e il desiderio di vedersi rappresentati erano molto alti. Vediamo infatti che spesso nel cinematografo Lumière i passanti si mettono effettivamente in posa, come in certi ritratti, o come davanti alle macchine fotografiche”.

  22. I Lumière e Méliès: antitesi reale o fittizia? • Se dunque, come scrive Antonio Costa, “ogni film di Méliès deve essere considerato prima di tutto come destinato a sostituire una esperienza di prestidigitazione al Teatro Robert Houdin”, ciò non di meno anche la simulazione teatrale della vita quotidiana messa in scena dai Lumière appare in contrasto con il senso di realtà che spesso si associa alle loro “vedute”.

  23. L’influenza della tragedia greca nel teatro di Shakespeare • William Shakespeare, pur considerato un archetipo dai suoi conterranei, richiama l’antica tragedia ellenica e in qualche modo la rifonda, diventando così un interessante termine di paragone per la nostra indagine e consentendoci di mettere in relazione con il cinema due momenti importanti della storia del teatro.

  24. L’influenza della tragedia greca nel teatro di Shakespeare • La tragedia greca e il teatro di Shakespeare dunque, atterrando sul suolo fertile del cinema, trovano terreno propizio e così la macchina da presa diventa il mezzo per far sorgere qualcosa di nuovo a partire dal contatto con l’anfiteatro classico, o con il palcoscenico del teatro moderno.

  25. L’influenza della tragedia greca nel teatro di Shakespeare • Senza voler mettere in discussione né il pregio del teatro greco né quello di Shakespeare, cercheremo di mostrare come l’incontro tra due generi e sensibilità - ovvero quella degli antichi e del Bardo con quella dei cineasti (nel nostro caso Lubitsch, Welles, Pasolini, Bene e Allen) venga reso proficuo dalla forza di reazione e dalla capacità di resistenza che caratterizza la settima arte.

  26. L’influenza della tragedia greca nel teatro di Shakespeare • Attraverso la settima arte, Eschilo, Sofocle, Euripide e il Bardo più famoso d’Inghilterra calano improvvisamente nel quotidiano: da essi scaturisce una generazione di omologhi di celluloide che, pur cercando di eluderlo, continueranno a essere sepolti dal loro tragico destino.

  27. L’influenza della tragedia greca nel teatro di Shakespeare • Nelle mani di Lubitsch, Welles, Pasolini, Bene e Allen, il teatro di Eschilo, Sofocle, Euripide e del Bardo si fa specchio: uno specchio che consente di vedere riflesso in queste pellicole non solo il mondo rappresentato su quegli antichi palcoscenici ma anche il nostro.

  28. L’influenza della tragedia greca nel teatro di Shakespeare • Le emozioni tragiche della pietà e del terrore appartengono a ogni tempo, ed è dunque attraverso i riflessi di cui pulsano questi film che si possono ben mescolare fra loro i codici spaziali e temporali della scena e quelli dello schermo, per ritrovare così una stupefacente sintonia tra i due linguaggi, che pure restano fenomeni diversissimi.

  29. La macchina da presa come il fool shakespeariano • La macchina da presa che non vuole risparmiare il rituale del teatro in favore dello schermo (a volte con sarcasmo altre con crudeltà), viene quasi a fare le veci del fool shakespeariano ovvero quel buffone che, commentatore degli intrighi scenici, non solo partecipa alle azioni ma anche, allo stesso tempo, ne rimane estraneo, e proprio per questo, come la macchina da presa che nel film racconta, è più vicino al pubblico che alla trama.

  30. La macchina da presa come il fool shakespeariano • Se con Jan Kott definiamo “buffone colui che pur frequentando la buona società, non ne fa parte e le dice delle impertinenze; colui che mette in dubbio tutto ciò che passa per ovvio”, ecco che gli uomini di Shakespeare o quelli della tragedia classica nel momento in cui sono soggetti alla forza esercitata su di loro dalla cinepresa, mediando tra il divino e l’umano diventano figure comiche.

  31. La macchina da presa come il fool shakespeariano • Questo accade perché, non essendo le caratteristiche tipiche degli uomini raccontati dal teatro greco o dal dramma elisabettiano, in nessun caso patrimonio della loro coscienza ma solo del drammaturgo o del regista inventore della situazione e dell’azione, gli eroi del palcoscenico non sanno mai di essere tragici o comici ed è quindi il cinema a svelare loro l’ambivalenza che li caratterizza.

  32. Il personaggio di Jago da Shakespeare al cinema • Jago, l’attendente di Otello, cambia di segno a seconda del suo muoversi o, meglio, essere mosso dal teatro piuttosto che dal cinema. • Infatti, l’attendente del Moro, sul palcosenico è capace di ingannare tutti ma, nelle mani di Welles, Pasolini e Bene cambia di segno diventando un uomo normale, ordinariamente scontento.

  33. Il personaggio di Jago da Shakespeare al cinema • Il cinema sceglie di esibire fin da subito gli effetti delle azioni di Jago, e così facendo sottolinea il suo comportamento come qualcosa di completamente arbitrario, come puro atto di scelta.

  34. Il personaggio di Jago da Shakespeare al cinema • Orson Welles apre il suo “Otello” mostrando già nella prima sequenza i due cadaveri del Moro e di Desdemona. • Carmelo Bene man mano che la narrazione procede sbianca il volto di Otello per tingere di contro il viso del suo attendente con il nero della colpa. • Lo Jago di Pasolini interpretato da Totò, è un burattino dalla faccia verde che, riflettendo sui significati dell’esistenza umana, trasforma l’attendente di Otello in un novello Amleto.

  35. Orson Welles “Otello” (1952): i funerali di Otello

  36. Orson Welles “Otello” (1952): il corteo funebre di Desdemona

  37. Orson Welles “Otello” (1952): Jago in gabbia

  38. Carmelo Bene “Otello” (1979)

  39. Pier Paolo Pasolini “Che cosa sono le nuvole?” (1968)

  40. Il personaggio di Jago da Shakespeare al cinema • Pasolini, regalando a Jago la giusta consapevolezza di se stesso, si oppone all’assunto secondo cui, ed è proprio questa la grande tragedia delle tragedie di Shakespeare, i grandi protagonisti creati dal Bardo non imparano mai nulla e così facendo, avvalora la nostra scelta di considerare adattamento shakespeariano anche “Vogliamo vivere!” (1942), di Ernst Lubitsch.

  41. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • Infatti, così come Pasolini si è servito di Otello e di Jago, Lubitsch utilizza a sua volta il personaggio di Amleto per cambiare di segno il valore della tragedia di cui quest’ultimo è il protagonista e dirottare la poesia dei suoi monologhi - in particolare il celebre “Essere o non essere” - verso una presa di coscienza che avviene in un travolgente, irresistibile incrocio continuo tra realtà e palcoscenico.

  42. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • In “Vogliamo vivere!” di Ernst Lubitsch, due, ossia quella parola che racchiude in sé le unità autonome di cinema e teatro, è la chiave che consente la giusta lettura del film. • L’autore tedesco è ben attento al continuo dialogo che viene a instaurarsi tra queste due arti, che traggono l’una dall’altra gli elementi utili al proprio progresso.

  43. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • Tuttavia, alla resa dei conti, il cineasta riconoscerà al cinema - utilizzando anche le enormi possibilità offerte dalle combinazioni tra campo e fuori campo - un certo grado di supremazia nei confronti del teatro.

  44. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • In “To Be Or Not To Be”, sfruttando i poteri della cinepresa, Lubitsch si rivela un corifeo singolare. • Infatti se nella tragedia greca tale figura aveva il compito di esibirsi autonomamente, ribadendo o ampliando quanto detto dai coreuti, il regista tedesco, usando la macchina da presa come il maestro del coro le battute, interloquisce con schermo e scena.

  45. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • Si tratta di una interlocuzione che dà vita a uno strappo mediante il quale ognuna delle due unità acquista autonomia e nello stesso tempo dipendenza proprio attraverso il labirinto rappresentato dalla dimensione partecipativa con cui Lubitsch coinvolge queste due arti della rappresentazione.

  46. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • Nelle mani di Lubitsch la settima arte reinventa lo spettacolo teatrale in cui la ribalta intersecandosi con il cinema e sbilanciandosi in favore di quest’ultimo, trasforma “Vogliamo vivere!” nel racconto di un palcoscenico che sembra aver “perso la pazienza”.

  47. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • Infatti, studiando alcune delle principali variazioni con cui questo film tesse il suo elogio dell’arte cinematografica, ci accorgiamo subito che attuando la transcodificazione del linguaggio del teatro, “Vogliamo vivere!” il più delle volte lo banalizza e lo trasforma senza alcuna soggezione.

  48. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • E’ una trasformazione che parte proprio da quel “To Be Or Not To Be” del titolo originale per cui Shakespeare, ricordato con la battuta più famosa di Amleto, diventa l’elemento attraverso il quale il corifeo Lubitsch rifunzionalizza il palcoscenico in favore del cinema.

  49. “Amleto” dal teatro al cinema secondo Lubitsch • “Essere o non essere” infatti, è battuta che, diventando intrinsecamente insignificante, risuona comica sia quando la pausa troppo lunga che Joseph Tura nei panni di Amleto si prende prima di iniziare a declamare il famoso monologo, sembra al suggeritore un momento di amnesia, sia quando dà il via libera all’incontro amoroso tra Maria Tura e il suo amante il quale sa di poterla raggiungere in camerino appena sente Amleto pronunciarla.

  50. Lubitsch “To Be Or Not To Be” (1942): il monologo di Amleto

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