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Leggende della Brianza e oltre …. Leggende della Brianza e oltre… Il lavoro è frutto della ricerca effettuata dagli alunni della classe prima B della Scuola media di Casatenovo , che, dai libri , dal web e dai racconti dei propri familiari hanno tratto queste leggende.
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Leggende della Brianza e oltre… Il lavoro è frutto della ricerca effettuata dagli alunni della classe prima B della Scuola media di Casatenovo , che, dai libri , dal web e dai racconti dei propri familiari hanno tratto queste leggende. Alcune sono tipiche del territorio della Brianza e aiutano a spiegare modi di dire o l’origine un po’ fantastica di luoghi o edifici. Altre invece ci portano un po’ più lontano, oltre appunto, in altre regioni d’Italia o in altre terre, in Albania e in Romania . E’ un modo di conoscere il territorio in cui viviamo e quello in cui i nostri amici e compagni hanno le loro radici.
La collina di sale Il ponte del diavolo I Corni di Canzo La parole di Kostandino Castagne a tre a tre Il tesoro del Colle di Brianza La traversata Di Teodorico Gamb de legn I giorni della merla Il re Tivano che trasformava ogni cosa in oro San Pietro al Monte La gibiana e i falò dell’inverno I Fantasmi di Fiumelatte San Giorgio e il drago Le feste del fuoco La regina e il palafreniere Il castello di Rozafa
I giorni della merla Perché gli ultimi tre giorni di Gennaio sono detti “della merla” ?. E sapevate che all ‘ inizio dei tempi i merli erano bianchi ? Una volta , mille e cento anni fa , a Milano i merli erano bianchi . Venivano ogni anno dalle campagne circostanti , prima dell’ Inverno , a trascorrere i mesi più rigidi al riparo ,vicino alle case degli uomini Quell’ anno faceva davvero freddo. E , per giunta , il 29 Gennaio iniziò una bufera di neve. Brutti tempi per i merli e soprattutto per una piccola famiglia che aveva traslocato a Milano in ritardo senza riuscire a trovare un rifugio adatto per difendersi dall’ Inverno
Papà merlo e mamma merla e tre merlotti si erano aggiustati alla bell’ e meglio sotto una grondaia . Di cibo , però , non se ne trovava . I due genitori merlo non riuscivano portare ai loro piccoli neanche una minuscola briciola di pane Un giorno papà merlo si decise :sarebbe volato lontano , dove finiva l’ Inverno , a cercare del cibo per la moglie e i piccoli . Sparì in un attimo ,in mezzo ai fiocchi di neve che cadevano più fitti .Mamma merla rimase da sola con i tre merlotti . Faceva molto freddo sotto la grondaia e pensò di cercare un riparo nei pressi di un comignolo. In un batter d’ occhio , mamma merla traslocò i piccoli nel nuovo nido . Passò un giorno , poi un altro ancora . e di papà merlo nessuna traccia … Finalmente , il primo giorno di Febbraio , dopo tre giorni di neve e di vento , la bufera cessò .
E da lontano arrivò anche il merlo , con le ali stanche e un ramoscello di bacche nel becco . S’ infilò sotto la grondaia ma non riuscì a trovare nessuno . Dov’ era finita la sua famiglia ? Fischiò disperato e la merla gli volò incontro . Ma che cos’ era successo ? Le sue penne bianchissime erano diventate ormai neve , come la fuliggine che saliva dal camino insieme col fumo che teneva caldo . Solo il becco le era rimasto giallo …… Ci volle un bel po’ prima che il povero merlo si rendesse conto che quella , anche se nera , era proprio la sua compagna e che quei piccoli uccelletti neri erano proprio i suoi adorati merlotti .Nel giro di pochi giorni diventò nero di fuliggine anche lui . E ci credereste ? D’allora a Milano di merli bianchi non ne nacquero più . E non solo a Milano . Anche oggi ,per ricordare la trasformazione subita da questi uccelli , gli ultimi giorni di Gennaio si chiamano “I dìi della merla”
Castagne a tre a tre Perché le castagne sono raggruppate a tre a tre nel riccio? Gli abitanti di un piccolo paese sopra il lago di Lecco erano così poveri che l'unico cibo di cui si potevano nutrire con abbondanza erano le castagne. Intorno al paese infatti c'erano numerosi boschi dove tutti potevano liberamente raccoglierle. Nella loro vita ne avevano mangiate così tante che ormai non riuscivano più a inghiottirle senza provare una sensazione di disgusto: il loro sapore era diventato proprio cattivo.
Pregarono allora il parroco di benedire tutti i castagni in modo che i frutti tornassero a essere buoni come una volta e venissero apprezzati da tutti. Il pover'uomo non volle deluderli e si mise a girare per i boschi, seguito da grandi e piccini. Ogni volta che s'imbatteva in una pianta, si fermava, la osservava a lungo e pronunciava questa formula magica:"Castigna, castigna!Castigna fia la ligna,castigna fia la fè,castigna in buca a tre a tre!"Girò così senza fermarsi per tre giorni e per tre notti fino a quando non ebbe finito e a quelli che lo seguivano venne una fame tale che cominciarono a mangiare le castagne a tre a tre, apprezzandone tutto il sapore.
I Corni di Canzo I Corni sono un gruppo montuoso sito in provincia di Lecco. Le due vette più alte sono ben visibili in Brianza ed hanno l'aspetto di due grandi "corni“. Volete conoscerne l’origine leggendaria? Cambiando pagina scoprirete l’origine anche della Grigna e del Resegone!
La leggenda dei corni di Canzo Ci sono stati tempi lontanissimi in cui gli arcangeli facevano guerra ai diavoli e le due opposte schiere erano fittissime , così che non c’era pace in nessun angolo del cielo e della terra ; dall’una e dall’altra parte si combatteva e si picchiava . Da quaranta giorni era tutto un turbinare d’ali bianche e nere , di spade fiammeggianti e di palle di fuoco , parolacce e scherzi umilianti ; né si veniva a capo di nulla . Gli arcangeli decisero di porre fine alla lotta con uno scherzo malvagio o una fregatura solenne , per sconfiggere Canzio generale dei diavoli e tutta la sua diavoleria .
Era Canzio un essere gigantesco e cattivissimo , con orribili corna sulla testa, grande come l’attuale Pian d’ Erba ; quando apriva la bocca era come se si spalancasse una voragine e quando bestemmiava era come se mille tuoni rombassero tutti insieme. Della delicata questione fu incaricato un Arcangelo che colse l’occasione di domenica all’alba . Innanzitutto la domenica è già un giorno gramo per i diavoli, poiché suonano le campane della messa solenne; inoltre i villani tirati a lucido si riuniscono per cantare inni al signore .
Come se non fosse sufficiente tutto ciò, il gran Canzio non stava affatto bene : aveva due denti infiammati e bestemmiava come un turco a causa di un callo, che gli faceva vedere le stelle e lo costringeva a stare carponi . In quei tempi, come ognuno sa, non si portavano brache e da qualunque punto del cielo erano visibili i giganteschi emisferi sotto la coda, sollevata e attorcigliata per il dolore . Vide questo l’arcangelo e preso un pugno di grani di pepe primordiale, li infilò veloce nel sottocoda di Canzio .
Questi per il bruciore intollerabile che sentiva, girò la testa e non fece in tempo a dire nemmeno “ porca miseria “ che l’arcangelo gli soffiò in faccia polvere di elleboro , massimamente starnutoria, attraverso una cannuccia . Il gran diavolo non riuscì a reprimere un colossale starnuto, così potente che la sua testa andò a conficcarsi in terra,e si staccarono di netto le corna dalla fronte ; alcuni denti gli uscirono di bocca , fissandosi qua e là nel terreno . poi dette l’ordine di ritirata .
Neppure questa fu eroica : doveva andar piano, claudicante per via del callo e per il bruciore al sottocoda e come piangeva di rabbia ! Tanto da riempire di lacrime le sue gigantesche orme…. Così va il mondo ! Dio Onnipotente volle che le corna di Canzio e i suoi denti fossero mutati in pietre e prendessero forma di monti col nome di “corni di Canzo ”, delle “Grigne” e del “Resegone”. Volle anche che le lacrime dessero origine a un fiume perenne ,il “Lambro “ ; che le impronte colme di liquido incolore diventassero azzurri laghi e che quella regione , teatro di tante lotte e ora dolce e bellissima , si chiamasse “Brianza”.
Gamb de legn Esistono diverse leggende sul gamba de legn, il tram che portava i passeggeri a Milano e in periferia. Alcune narrano che percorrendo le strade lastricate il tram produceva un suono sincopato come chi camminava con una gamba di legno, o anche che talmente andava piano, pure un uomo con la gamba di legno riuscisse ad essere più veloce, o che l’ omino che precedeva il tram avesse una gamba di legno e con essa spostava i cambi dei binari.
Si racconta che il tram che andava da Monza a Oggiono quando usciva dalla sua stazione per avviarsi verso la periferia fosse preceduto da un simpatico guardiano che suonava la campana per avvertire i passanti e fare via libera. Un brutto giorno il povero guardiano cadde e fu travolto dal treno. In quell’incidente perse una gamba. Gliela misero di legno, ma, nonostante questo, conservò il suo posto e l’ incarico tanto che continuò a precedere il treno e a suonare, pur essendo claudicante. Tutta la gente vedendo che zoppicava associarono il nomignolo “gamba de legn”. Così quando il trenino lento e sbuffante i suoi vagoncini presero anch’ essi il nome del loro guardiano. Per molti anni i pendolari che andavano avanti e indietro da Milano alla provincia con il treno erano solito dire “ciappi el gamba de legn”. Leggi anche la versione in dialetto
“Vist che nisun el m’ha dii cume mai el se ciama El gamba de legn, rispundi mi. In effetti El gamba de legn l’era un tram che ndava fin Biagrass, el se sa no cun precisiun perché el se ciamava insci. In do i storii che giren aturna el nomm: vuena l’è quela che un dì un omm l’è anda sotta i reutt del tram e g’han strepa’a una gamba e ghe n’an missa veuna de legn; l’altra dis che el se ciamava insci’ perché l’era insci lento che anca vunn cunt una gamba de legn el saria andaa’ pussè svelt.”
San Pietro al monte La leggenda vuole spiegare l’origine dell’abbazia di San Pietro al monte a Civate
La leggenda di Adelchi e il cinghiale bianco La leggenda, nella sua versione più diffusa, narra come Adelchi, giovane principe longobardo impetuoso e arrogante, appassionato di caccia e desideroso di primeggiare, mostrando a tutti i suoi vassalli la propria forza e abilità, viene a sapere della presenza di un misterioso Cinghiale Bianco, che si aggira nei boschi sopra Civate e tutt’attorno al Monte Cornizzolo.Il cinghiale pare sia enorme e ferocissimo:una vera sfida per un cacciatore che abbia voglia di farsi un nome.Chi dovesse riuscire a catturarlo ,avrebbe fama eterna e il rispetto e l’ammirazione di tutti gli uomini.
Adelchi non resiste alla tentazione di misurasi coll’ animale e organizza una battuta di caccia. Com’ è, come non è,a un certo punto Adelchi si trova solo,in mezzo alla foresta , smarrito.Il cinghiale non si trova il principe non vuole rinunciare, non può, ne va del suo potere. Infine, sempre più insoddisfatto dei suoi compagni che, spossati dalla fatica, non riescono a tenerli dietro, li abbandona in mezzo al bosco. Continua così da solo nell’ inseguimento della bestia e non si accorge che intanto cala la sera. Ed ecco, durante la notte appare qualcosa di terribile, su cui la leggenda resta vaga; ma ogni versione della storia concorda nel ritrovare, il giorno dopo, il giovane principe cieco e sconvolto, come se durante quella caccia infernale avesse incontrato il demonio
Un pio eremita, fortunatamente, lo ritrova e lo porta nel suo rifugio e lo fa riflettere sulla propria pochezza e sulla vanità delle glorie terrene. Il giovane fa voto di rispettare i propri sudditi per tutta la vita. E fu allora che l’eremita,lavandogli gli occhi con l’acqua di una fonte che scaturiva dalle rocce vicino al suo rifugio, gli restituìsce miracolosamente la vista. Il padre di Adelchi, Re Desiderio, per riconoscenza, a proprie spese fa edificare la chiesa che tuttora si può ammirare tra i boschi di Civate.
I fantasmi di Fiumelatte Ogni anno, nei pressi di Varenna, si verifica uno strano fenomeno del quale è protagonista il corso d’ acqua più corto d’ Italia, che scorre da marzo ad ottobre e si chiama Fiumelatte. La sua acqua dopo soli 250 metri, si getta nel lago fragorosamente spumeggiando, questa caratteristica ha fatto probabilmente nascere la credenza che attribuisce al fiume proprietà galattofore, un mistero circonda questo breve corso d’ acqua.
La sua fonte, secondo un’ antica tradizione, sarebbe controllata dai fantasmi delle donne morte di prato. Localmente si narra che nel XVI secolo tre giovani del posto per mettere in mostra il loro coraggio, agli occhi di una bella ragazza, si avventurarono nella caverna da cui fuoriusciva il Fiumelatte. Passò molto tempo e Varenna piangeva sconsolata la perdita di quei tre baldi giovani che per amore erano andati incontro a quel triste destino.Anche la bella fanciulla non sapeva darsi pace: voleva, con quella prova, sceglierne uno, ora li aveva persi tutti e tre. Quando ormai la speranza di rivederli vivi aveva abbandonato tutti, dal ventre della montagna si udirono delle voci sommesse e i tre esploratori fecero capolino dalla buia caverna.La gioia dei paesani durò ben poco. Si resero subito conto delle condizioni dei giovani: i capelli bianchi, le facce sconvolte, i tre mormoravano frasi sconnesse raccontando incredibili avventure. Purtroppo da lì a pochi giorni i tre ragazzi, provati nel fisico e nella mente, morirono senza dar segno di volersi riprendere dalla terribile avventura. Così la giovane, che si riteneva colpevole della loro sfortunata sorte, decise di chiudersi in convento e più nessuno ebbe l’ ardire di inoltrarsi nella grotta del Fiumelatte.
Le feste del fuoco Da tempo immemorabile i contadini di ogni parte d’Europa hanno usato accendere i falò, i cosiddetti fuochi di gioia,in certi giorni dell’anno,ballarvi intorno e saltarvi sopra. Non è raro che in questi fuochi si ardano dei fantocci (la vegia) o che si finga di ardervi una persona viva; e c’è ragione di credere che anticamente vi fossero davvero bruciati degli esseri umani. Il fantoccio è formato di solito dai resti delle ultime potature. Bruciare questo pupazzo significa bruciare tutto ciò che rimane dell’anno vecchio,la natura rinsecchita viene a contatto con il fuoco che rigenera la vita. Le ceneri saranno sparse sui campi. La festa della Gibiana
La Gibiana e il falò dell’inverno La Gibiana è una festa tradizionale molto popolare in in Lombardia, specialmente in Brianza. L'ultimo giovedì del mese di gennaio vengono accesi dei grandi falò (o roghi) nelle piazze e bruciata la Gibiana, un grande fantoccio di paglia vestito di stracci. Il rogo assume valori diversi a seconda della località in cui ci si trova, mantenendo sempre uno stretto legame con le tradizioni popolari del luogo. Secondo la leggenda la Gibiana è una strega, spesso magra e con le gambe molto lunghe, vive nei boschi e le sue calze sono rosse. L’ultimo giovedì di Gennaio va alla ricerca di qualche bambino da mangiare. Si racconta che una mamma le tese una trappola. Preparò una grande pentola di risotto giallo con la luganega (salsiccia)e lo mise sul davanzale della finestra. Il profumo delizioso faceva venire l’ acquolina in bocca. La Gibiana sentì il buon odore e corse con la sua scopa verso la finestra. Il risotto era tanto, ma era così buono, che la Gibiana non si accorse che stava per arrivare il sole. Il sole infatti uccide le streghe. Così il bambino fu salvo.
San Giorgio e il drago Il “Liber Notitiae Sanctorum Mediolanii”racconta che San Giorgio ha vissuto in Brianza, dalle parti di Asso. Un drago imperversava da Erba fino in Valsassina, ammorbando l’aria con il suo fiato pestifero e facendo strage di bestiame. Quando ebbe divorato tutte le pecore, la gente del paese cominciò a offrirgli come cibo i giovani del villaggio, i quali venivano estratti a sorte; il destino volle che tra le vittime designate vi fosse anche la principessa Cleodolina di Morchiuso, che fu lasciata legata presso a una pianta di Sambuco.
San Giorgio giunse in suo soccorso dalla Valbrona, e, per ammansire la belva, le gettò fra le fauci alcuni dolcetti ricoperti con i petali dei fiori del Sambuco. Il drago, docile come un cagnolino, seguì tranquillamente Giorgio fino al villaggio; qui, di fronte al castello, il Santo lo decapitò con un solo colpo di spada, e la testa del mostro rotolò nel Lago di Pusiano. In ricordo dell’ avvenimento ,ancora oggi il 24 Aprile,giorno di San Giorgio, in Brianza si preparano i “Pan meitt de San Giorg”, dolci di farina gialla e bianca,latte,burro e fiori essiccati di sambuco.
Il re Tivano che trasformava ogni cosa in oro La leggenda spiega come mai il fiume Lambro trasporta pagliuzze d’oro . Ci fu un tempo in cui il dio Bacco viveva sulla cima del Monte San Primo, dove folti boschi si specchiavano nei laghi. Tutto questo e altre bellezze si vedevano dalla città del re Tivano, quando corse voce che Bacco stesse per partire alla conquista delle Indie. Già il divino corteo annunciava con canti la discesa dal monte; davanti a tutti procedeva Sileno, della cui saggezza si parlava in ogni contrada; il vecchio maestro, gonfio di vino, con la corona d’edera storta sulla testa calva e le orecchie pelose, cavalcava una mula paziente. C’era nel cuore della Brianza una smisurata fontana di pietra, che era prosciugata a causa della siccità; poiché si trovava sulla via che il corteo doveva percorrere, Tivano ordinò che fosse riempita, all’orlo, di dolce vino. Per tutto il giorno gli abitanti del borgo avevano trasportato gigantesche botti di vino e avevano riempito la fonte. Quando Sileno passò di là fu attratto dalla fontana; scese dalla mula e bevve tanto di quel vino che ubriaco, si perse nella nebbiolina dei boschi.
Lo ritrovarono i contadini e lo portarono a corte. Il re Tivano, onorato dalla presenza di quel saggio, indisse festeggiamenti che durarono cento notti. Bacco, quando si accorse che l’amico era scomparso, si mosse per ritrovarlo e quando il re glielo riconsegnò, volle fargli un gran dono: avrebbe ottenuto qualunque cosa avesse desiderato. Tivano pensò molto, poi chiese di poter trasformare in oro, per tutto il tempo che gli restava, ogni cosa toccata. Così fu. Ma ahimè! Quando il re addentava una mela, si rompeva i denti nell’oro, quando beveva un sorso si trovava in bocca un liquido d’oro. Solo la morte per fame, ormai prossima, non si vestiva di riflessi dorati. Tivano si recò nei boschi a pregare: “per carità o nume” gridò “riprendi il tuo dono e lasciami mangiare come i miei servi”. Bacco lo liberò dall’infausto dono purchè andasse a bagnarsi nell’acque del Lambro e da allora la corrente trascina verso la foce pagliuzze d’oro.
La traversata di Teodorico …In un bel giorno di primavera,il re dei goti,il famoso Teodorico, giunse da chi sa quale luogo e da quale avventura sulla riva del Lario,su quella punta chiamata Geno,dove parecchio tempo dopo venne eretta una splendida villa. Stanco era il potente re, stanche erano le sue numerose e feroci schiere. Per continuare il viaggio verso occidente senza attraversare il lago i Goti avrebbero dovuto avvicinarsi a Como, ma sicuramente gli abitanti di quella religiosa città non avrebbero visto di buon occhio il loro passaggio. Lo scontro allora sarebbe stato inevitabile : il re però non voleva combattere ancora.
Fece quindi piantare le tende, dando ai suoi uomini un periodo di riposo e andò a meditare sulla riva. Solo le urla festanti echeggiavano tra le verdi fronde. Teodorico sapeva che i suoi goti erano degli ottimi guerrieri, ma non erano altrettanto bravi a costruire imbarcazioni. Dietro di lui i soldati festeggiavano per la sosta bevendo vino e cantando canzoni. Teodorico ebbe un illuminazione,e, guardando i contenitori passare davanti ai suoi occhi, levò la sua voce: “tutti gli otri siano svuotati e portati a riva ,miei buoni guerrieri: vi farò vedere come attraversare un fiume senza nuotare e senza barche.” Fece gonfiare i contenitori e li fece legare assieme tutti con grande successo. Il re dei goti fece posare sugli otri galleggianti delle tavole di legno, sulle quali tutto il suo esercito attraversò il Lario ,senza bagnarsi neppure i piedi.
La regina e il palafreniere Narra la leggenda che Teodorico, re dei Goti, per accontentare la moglie avesse fatto costruire al Pian del Tivano , famoso per il suo clima salubre e temperato,uno splendido palazzo. Sua moglie Aufreda era sorella di Clodoveo e figlia di Childerico il re dei Franchi e viveva in Brianza La sua vita non era felice perché il marito se la spassava nel gioco e nella caccia e la lasciava sempre sola. Un giorno,mentre se ne andava a passeggio a cavallo , uno dei suoi pavoni le sfuggì dalle mani e si mise a volare. La poveretta si diede a inseguirlo, senza più badare alla strada. Corri e corri arrivò fino al Pian del Tivano ,e lì il pavone si appollaiò su una quercia.
Un palafreniere di corte che l’aveva seguita si precipitò in aiuto della bella sovrana e senza pensarci due volte salì in cima alla quercia, per restituire olla donna il bel pavone. Il luogo era così bello che la donna chiese al marito di costruire un palazzo con tante torri e con un grande giardino nel quale fosse possibile passeggiare. Quando il marito era in guerra , la donna trascorreva tutti i suoi giorni al Pian del Tivano e con lei c’era spesso il palafreniere che le aveva restituito l’amato pavone. Un mattino Teodorico ,cui qualcuno aveva riferito qual era la compagnia preferita della moglie durante la sua assenza, disse alla donna che sarebbe partito per la guerra , ma in realtà si nascose nei boschi del Tivano. Aufreda corse al suo palazzo sul lago e si diede a passeggiare con l’amico del cuore capace di raccontare dolci leggende. A sera i due si ritirarono in una sala del palazzo ignari della triste sorte che li attendeva.
Teodorico infatti uscì dal suo nascondiglio e con tutta la forza di cui disponeva buttò giù una dopo l’altra leporte del palazzo che dividevano il giardino dalla camera dove i due amanti si erano rifugiati. I due terrorizzati riuscirono a fuggire, ma nell’ oscurità non si accorsero della palude che si apriva proprio in mezzo al giardino. Caddero dentro le acque melmose e non riuscirono più a emergere. A lungo anche i sassi continuarono a piangere per il dolore e qualcuno dice che ancora oggi di notte intorno alla palude del Tivano i sassi singhiozzano per la triste sorta della regina Aufreda.
Il curato disse “ vade retro” , che non avrebbe mai commesso sacrilegio;allora il mago per dimostrare la sua magnanimità gli svelò ugualmente che il tesoro si trovava sotto l’altare della cappella di San Vittore: scavando attentamente avrebbe trovato quattro colonnine e un’urna contenente alcune monete di piombo: a quel punto il tesoro era vicinissimo , disse e sparì come era venuto. Il giorno dopo il curato parlò con quelli che fra i parrocchiani riteneva fidati e scavarono sotto l’altare:ecco le colonnine , ecco il vaso di marmo con le monete di piombo , proprio come aveva detto il mago; ma mentre scavavano una bufera d’acqua mista a grandine cominciò a cadere solo sulla chiesa e tutti fuggirono per lo spavento. In ogni modo , da onest’uomo , il curato andò a Milano e disse ogni cosa al governatore , che mandò uomini suoi per scavare con metodo , buttando all’aria la chiesa. Pareva fossero passati gli Unni , ma del tesoro nessuna traccia; rinvennero invece un sepolcro nel quale giaceva “ Merebaudo dux”. Che si fosse sbagliato? Eppure l’urna le colonne e le monete… A un tratto ogni cosa fu chiara al buon curato: il mago aveva fatto l’incantesimo della bufera per farli allontanare dalla chiesa e rubarsi con comodo il tesoro. Mentre pensava alla sua ingenuità lucidava le monete e , ci credereste? Erano d’oro e questa fu la ricompensa alla sua rettitudine.
La collina di saleleggenda rumena raccontata da Michela Sescu Vicino alla città di Stefesti , nel paese di Slawic Prahova ,si trova una collina si sale: è grande , bianca , e quando c’è il sole, brilla ai suoi raggi come se fosse composto da diamanti purissimi. Dentro la collina c’è una grotta che si chiama “Grotta Sposata”. All’interno si trova un laghetto d’acqua fresca, profonda mille metri o più. Vicino c’è un lago, dove i turisti vanno a fare il bagno : l’acqua è molto salata.Il nome “Grotta Sposata” deriva da questa leggenda.
Un pastore aveva una figlia e voleva darla in sposa ad un ragazzo che a lei non piaceva. La ragazza cercò di ribellarsi, pregò il padre, lo scongiurò di non volerla la sua felicità, ma il padre fu irremovibile: la sua decisione doveva essere rispettata. Si arrivò al giorno delle nozze e la ragazza si faceva sempre più triste: quel giorno la sposa aveva un bellissimo abito bianco,ma non disse una parola.
Appena riuscì ad eludere la sorveglianza del padre, fuggì sulla collina di sale, poi si gettò nella grotta per porre fine alle sua infelicità e morì. Cercavano la ragazza per valli e monti, poi seppero da un pastore che era salita sulla collina e non era ritornata indietro, allora tutti capirono e si rattristarono molto della sua fine. Anche il padre pianse amaramente per non capito il tormento della figlia e per non averle dato ascolto. Da quel giorno la grotta venne chiamata “Grotta Sposata” perché la figlia avrebbe preferito la grotta e l’acqua profonda piuttosto che lo sposo scelto dal padre. Il lago vicino si chiamò “Baia del Pastore “ perché non era scelto dalla ragazza.
La parola di Costantinoleggenda albanese raccontata da Mario Gioni La leggenda vuole sottolineare la volontà di un uomo di mantenere la sua promessa anche a costo di combattere contro la morte La leggenda ha inizio in Albania, un paese lontano, lontano, nascosto dietro le montagne e le valli, dove c'era una vedova che aveva tredici figli: dodici maschi e una femmina, Doruntina . I ragazzi sono cresciuti alti, belli e forti, e la ragazza è cresciuta fino a essere bella e fiera, tra i fratelli Kostandino è sempre stato il suo preferito. -
Molti uomini sono venuti a chiederla in sposa, portando regali costosi e belle carrozze. Naturalmente, Kostandin, essendo il fratello e volendo proteggerla continuava a dire "Non sono abbastanza buoni!" Poi un giorno giunse un bell’uomo alto che proveniva da una terra lontana, A Doruntina lui piaceva. Kostandino quindi studiò bene l’uomo: aveva tutto, denaro, gioielli, anche conoscenza.
Infine, Kostandin si rivolse a sua madre, "Devo essere onesto, non posso rifiutare uno dopo l’altro tutti i pretendenti Ho pensato che quest’uomo vada bene per Doruntina. Sua madre allora disse con occhi tristi, "O figlio, adesso, non sei saggio. Se Doruntina sposerà quest’uomo, ... lei sarà lontana dalla mia mano, per favore, caro Kostandin, cerca di capire. " "Madre", Kostandin disse "non ti preoccupare affatto! La distanza tra te e Doruntina sarà breve. Ogni volta che avrai bisogno di lei o sarai triste o vorrai gioire , prenderò il mio cavallo e la porterò da te! Non sarà poi così difficile " Non erano ancora passati tre anni dalle nozze di Doruntina che in Albania scoppiò la guerra. I nemici uccisero tutti i fratelli, uno a uno,. La madre li seppellì in ordine di età con le lacrime agli occhi. Bruciò i suoi vestiti colorati e disse Addio ai suoi figli, cominciando a vestirsi di nero Sulla tomba di ogni figlio accese una candela. Ma sulla tomba d Kostandin ne accese due , che brillavano luminose, e disse : "Kostandin", ho lasciato andare la mia bambina, che non era giusto! Ma tu mi hai convinto che l’avresti portata da me .Ora anche tu sei morto e io sono rimasta sola!Non avrei dovuto lasciarla andare “ Poi andò a casa piangendo, maledicendo il figlio.
A Mezzanotte, quando la madre era ormai andata via, Kostandin si alzò dalla sua lapide polverosa, che si trasformò in un cavallo per guidarlo. Kostandin salito sul cavallo e se ne andò, e cavalcò tutta la notte Poi arrivò rapidamente alla porta della casa della sorella. Doruntina rimane senza fiato alla vista del fratello "Vieni, Doruntina, dobbiamo andare! Sono venuto per te. C'è la madre che ha bisogno di noi Ma Doruntina, si chiedeva quali vestiti dovesse indossare. Se la madre aveva bisogno di lei per il bene, avrebbe messo gioielli sui capelli, e se lei aveva bisogno per condividere il suo dolore, avrebbe indossato abiti neri Poi Doruntina lasciò una lettera al marito si mise il cappotto, e corse fuori, dove suo fratello la attendeva con impazienza.
Poi cominciò a notare delle stranezze nel fratello -Kostandino fratello mio, perché i capelli sono pieni di polvere?- - Dorontina sorella mia durante il percorso c’era molta polvere e mi ha fatto i capelli grigi . -Kostandino fratello mio,perché i miei fratelli non sono qui ? -Dorontina, sorella mia, forse sono ad un matrimonio e ci aspettano stasera. - Kostandino , fratello mio perché le luci di casa sono tutte spente stasera? - Perché faceva freddo e le abbiamo chiuse perché soffia un forte vento dal mare.- Quando arrivò vicino alla chiesa Kostandino disse: -Tu vai avanti che io entro a pregare!- Kostandino rientrò nella sua tomba
-. Doruntina andò a casa, corse alla porta e bussò. "Sono io, Doruntina! Apri la porta, cara madre!" "Tu? Doruntina?" la vecchia gridò. "Tu non sei figlia mia, tu sei il diavolo, che è venuto per me. Ha preso i miei figli e la figlia è lontana e ancora non è soddisfatto. Non vedi? Sono vecchio e stanco, la mia famiglia non c’è più più ". "O Madre mia, che cosa stai dicendo? Apri la porta!" "Allora dimmi, se sei la mia bambina, chi ti ha portato qui?" "Kostandino, madre, mi ha portato qui ". La madre allora, si lasciò cadere in ginocchio sul pavimento, "Kostandin, hai detto? Non sai che è morto? " "No, mamma, lui è vivo. In realtà, lui è al cimitero, ha detto che sarebbe tornato". Doruntina continuava a insistere che il fratello era tornato. "Kostandin è morto tre anni fa” La madre sentiva che non avrebbe vissuto a lungo e allora aprì la porta e vide per l’ultima volta sua figlia Doruntina. Poi morì. Questa leggenda racconta la promessa fatta da questo giovane uomo e di come lui la volle mantenere , vincendo anche sulla morte.
Il castello di Rozafaraccontata da Silvia Shity Questa leggenda narra di tre fratelli, impegnati nella costruzione di una fortezza. . I fratelli lavoravano faticosamente di giorno, ma di notte il lavoro eseguito crollava Così decisero di rivolgersi al vecchio saggio che abitava nella città. Il saggio rivelò che le mura per essere forti e solide necessitavano del sacrificio di una delle loro mogli. La scelta della moglie doveva avvenire casualmente. Colei che l’indomani sarebbe giunta con il pranzo sarebbe stata immolata per il bene della comunità. Il giuramento di assoluto silenzio venne infranto da due dei tre fratelli che raccontarono tutto alle rispettive mogli. Fu così che toccò alla moglie del più giovane dei fratelli e madre di un bambino, portare l’indomani il pranzo. Le venne raccontato quanto il vecchio saggio aveva detto e il giuramento che era stato fatto fra di loro. La giovane accettò di farsi murare viva all'interno delle mura, ma pose come unica condizione che una gamba, un braccio, un occhio ed una mammella, rimanessero scoperti per poter vedere, cullare, accarezzare e allattare il proprio figlio. Il castello fu costruito e viene ricordato in memoria della coraggiosa donna. Alcuni ancora credono che ci sia una parete del castello da cui, persino oggi, il latte fluisce. Il nome Rozafa deriverebbe in realtà dalla composizione dei nomi di Roza, una giovane donna sconosciuta, e di Fa, suo fratello. I due giovani costruirono il castello in tempi remoti.
Il ponte del diavolo Si racconta che San Francesco di Paola (Paola 1416-Tours 1507, fondatore dell'Ordine dei Frati Minimi) volesse realizzare, nelle vicinanze della cittadina di Paola, in Calabria, un ponte che attraversasse un torrente.Furono trovate moltissime difficoltà nell'impresa. Il santo, allora, decise di scendere a patti col Diavolo ed in cambio della riuscita del lavoro di costruzione, gli offrì l'anima di colui che, per primo, avesse attraversato il ponte.Quando l'opera fu realizzata, San Francesco fece in modo che il primo essere ad attraversare il ponte fosse un cane.Il Diavolo si adirò per l'affronto subíto ed ingaggiò una violenta lotta con San Francesco.Ancora adesso sulla strada che porta al Santuario di San Fracesco di Paola, sono visibili i segni di questa lotta: un'impressione nella roccia che la tradizione vuole sia stata provocata da una "manata" del Diavolo ed un foro in un muro che, a quanto pare, è stato anch'esso procurato da un calcio sferrato dal Diavolo.