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Nel momento in cui la vita umana è attraversata dalla sofferenza e dalla povertà, dal disagio,

DIOCESI DI VERONA UFFICIO PASTORALE DELLA SALUTE Ministri Straordinari della Comunione Aggiornamento 2014 don Gianni Naletto.

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Nel momento in cui la vita umana è attraversata dalla sofferenza e dalla povertà, dal disagio,

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Presentation Transcript


  1. DIOCESI DI VERONAUFFICIO PASTORALE DELLA SALUTEMinistri Straordinaridella ComunioneAggiornamento 2014don Gianni Naletto

  2. Il tema della XXII Giornata Mondiale del malato «Fede e carità - “...anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”» sottolinea l’importanza di educare alla cultura del dono operatori pastorali e sanitari, persone ammalate e sofferenti, famiglie e tutta la comunità cristiana. La vita dell’uomo è un dono ricevuto che trova la sua pienezza e il suo completamento solo quando viene ridonata con generosità ai fratelli. Ma perché questo sia possibile, occorre che ci lasciamo formare dallo Spirito del Vangelo alla carità e alla misericordia, vera profezia in una società che conosce forti accenti di egocentrismo, e che talvolta è segnata fortemente dalla cultura dell’avere, del consumare e dello sprecare.

  3. “Educare alla vita nella fragilità: Sfida e profezia per la pastorale della salute” Nel momento in cui la vita umana è attraversata dalla sofferenza e dalla povertà, dal disagio, quando si comincia ad abituarsi a parole del tipo “ma quella non è vita”, NOI abbiamo ancora il coraggio di annunciare che invece è ancora “vita buona”? Certo necessita di una attenzione particolare: diventa indispensabile educare ed educarsi al servizio e alla presenza accanto all’uomo nel tempo della fragilità

  4. Al termine di un servizio con collegamento sul risveglio dal coma di Max Tresoldi, il quale è riuscito anch'egli a riemergere dalla stessa condizione di sospensione dopo 10 anni, la D'Eusanio, la cui presenza era stata evidentemente richiesta proprio per la conoscenza di prima mano dell'argomento, se n'è uscita dal nulla con un commento ben poco televisivo:"Rivolgo un appello pubblico a mia madre, se dovesse accadermi quel che è accaduto a Max, non fare come sua mamma! Quella non è vita”

  5. Promuovere la cultura del dono Promuovere “la cultura del dono”per la pastorale della salute significa anzitutto affermare il riconoscimento incondizionato della dignità̀ di ogni persona umana, “Sua trasparente immagine”(C. V. II Messaggio Padri Conciliari). È questo atteggiamento di fondo, in un tempo di “crisi etica e antropologica” che ci renderà capaci non solo di rispetto della vita e di ogni vita, ma anche di intraprendenza nel prenderci cura della persona ferita dalla storia, malata, gravemente disabile, perché la sua esistenza sia percepita come realtà buona e degna di essere vissuta.

  6. “Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”(1Gv 3,16) …aiuta operatori pastorali e sanitari a prendere coscienza dell’importanza del dono di sé, gratuito e generoso, per le persone sofferenti, contributo all’umanizzazione e atto di giustizia, oltre che annuncio della presenza di un Dio che, attraverso le nostre mani, desidera prendersi cura di quanti stanno vivendo momenti di prova. La logica del crocifisso è quella della compassione, dove con rapporto empatico sincero, accolgo il dolore dell’altro fino a portare consolazione. “Accettare l’altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia. Ma proprio perché ora è divenuta sofferenza condivisa, nella quale c’è la presenza di un altro, questa sofferenza è penetrata dalla luce dell’amore... La consolatio è “un essere con” nella solitudine, che allora non è più solitudine...”

  7. Benedetto XVI Lettera Enciclica Caritas in Veritate Cresca la consapevolezza che “l’essere umano è fatto per il dono... che la logica del dono non esclude la giustizia e non si giustappone ad essa in un secondo momento e che lo sviluppo economico sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità”(34)

  8. Parliamo di un incrocio tra due misteriprendo contatto con la mia sofferenza… • Sofferenza nel vedere un mio fratello nel dolore • Difficoltà nel non sapere cosa fare e cosa dire • Pensiero che anch’ io un domani potrei essere nella stessa condizione • Voglia di dare coraggio, quando siamo consapevoli della difficoltà nel trovare la strada giusta per farlo • Rabbia nel constatare che la sofferenza è parte della nostra vita • PRESA DI CONTATTO CON LA PROPRIA FRAGILITA’ E VULNERABILITA’

  9. L’altro di fronte a me come misteroUn riferimento biblico: Es 3,3-6Mosè sull’Oreb ha un’esperienza straordinaria “3Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». 5Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». 6E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio”.

  10. Analogamente a ciò che avviene in questo testo dell’Esodo anche nell’incontro con il mistero dell’altro potremmo essere invitati a vivere gli stessi gesti o atteggiamenti “TOGLIERSI I SANDALI”- vorrà dire rispetto, attenzione, accoglienza del mistero che ho davanti (non siamo forse ad immagine e somiglianza di Dio?). Dovremmo avere la preoccupazione di non violare uno spazio “sacro” e quindi porci in atteggiamento di attesa perché l’altro possa aprire il suo cuore. “LUOGO SANTO”- A volte ci avviciniamo all’altro “solo per guardare”. Il Signore ci chiede di entrare in un atteggiamento diverso: occorre accostare il mistero come qualcosa di “santo” e quindi di sacro, di unico, di prezioso ai suoi occhi. Infine forse si tratta di “COPRIRSI IL VOLTO”non per metterci in atteggiamento di difesa o di vergogna (che è ancora peggio) ma come simbolo della nostra povertà e del nostro rispetto nei confronti dell’altro. Coprirsi il volto può anche essere il modo con cui decidiamo di far tacere un po’ il nostro “io” per fare spazio al “tu” dell’altro…

  11. L’esperienza della malattia La malattia è un’esperienza traumatica • che attenta l’integrità fisica e psichica dell’uomo, • comporta una brusca rottura della quotidianità • e fa percepire immediatamente la fragilità della natura umana, intravvedo all’orizzonte… • addirittura determina una diversa immagine di se stessi e del mondo circostante. Ancora la persona malata è facilmente soggetta a sentimenti di timore e di scoraggiamento. A causa della malattia e della sofferenza possono essere a dura prova anche la sua stessa fede in Dio e nel suo amore di Padre.

  12. Tutti gli interventi pastorali così come gli aiuti offerti dai diversi operatori della salute, si possono riassumere attorno a quattro verbi che sintetizzano il mosaico della misericordia

  13. Che cosa posso fare per il malato? • Che cosa possa comunicare al malato? • Che cosa posso essere per il malato? • Che cosa posso imparare dal malato? • Una sequenza ottimale • PRESENZA – ESSERE: Rendersi prossimo a chi soffre • DIALOGO – COMUNICARE: Addentrarsi nel suo mondo • APPRENDIMENTO – IMPARARE: Scoprire le sue preoccupazioni, bisogni e risorse • AGIRE – FARE: Offerta di aiuto concreto, alla luce delle valutazioni precedenti

  14. La pastorale della Salute La pastorale della salute può pertanto essere intesa come un aiuto alla “ricostruzione” o alla “riparazione” della capacità di ascolto di Dio, capacità disturbata o annullata dalla malattia.

  15. Si tratta di instaurare: A LIVELLO PSICOLOGICO – una relazione interpersonale con una persona che vive un momento difficile della sua vita. A LIVELLO SPIRITUALE – di realizzare un incontro profondo con una persona, ed è necessario crescere anche nella propria “umanità” per incontrarsi con l’“umanità” dell’altro. A LIVELLO ASSISTENZIALE – di offrire al malato un servizio, a testimonianza di quell’amore di Dio, del quale l’operatore (professionale o volontario), se credente, vuol essere uno strumento. A LIVELLO RELIGIOSO - un rapporto di comunione e di condivisione di fede, con la vicinanza dell’operatore pastorale che si fa compagno di viaggio per un tratto di strada.

  16. Compagni di viaggio Nella realtà questo incontro è motivato sia da una richiesta di aiuto in vista del recupero della salute, ma costituisce anche il luogo di espressione di una duplice esigenza di relazione umana: quella dell’operatore, di “darsi” quella della persona malata, di “affidarsi” Un rapporto assistenziale alla luce della Parola di Dio, che vuol dire porsi accanto a chi soffre in un cammino di condivisione, nel quale la testimonianza di solidarietà dell’operatore può contribuire a portare il sofferente a trovare in se stesso il coraggio necessario per elaborare soluzioni appropriate, nuovi adattamenti psicologici, nonché per dare “un senso” alla sua stessa sofferenza, per farne uno strumento di crescita personale e spirituale.

  17. La persona amica, capace di stare in silenzio, insieme in un momento di confusione o di disperazione, in un’ora di lutto o di pena, senza pretendere di sapere, di curare, di guarire, ma capace di una vicinanza a testimonianza dell’amore di Dio, è colui che davvero si prende cura. L’aiuto più prezioso che si può dare agli altri è “ESSERCI”

  18. S. Agostino Questa capacità di curare, propria anche dell’operatore pastorale, del famigliare o del volontario, fu espressa già da Sant’Agostino: “Io non so come succeda, che quando un membro soffre, il suo dolore divenga più leggero se le altre membra soffrono con lui. L’alleviamento di questo dolore, non deriva da una distribuzione comune dei medesimi mali, ma dalla consolazione che si trova nella carità degli altri”. (Lettere 99,2)

  19. Insieme con Cristo Naturalmente è un cammino basato non solo sulle forze umane, perché Cristo viene incontro all’uomo malato: “Man mano che l’uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla Croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della sofferenza”. (Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Salvifici Doloris, n. 26)

  20. “Dio offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna”(LF 57) La cura dei malati, nelle sue diverse espressioni, fa parte del DNA del cristiano, perché è stata praticata da Gesù e da lui inserita, quale elemento integrante nella missione della Chiesa. Obbedendo al comando di Cristo: “Predicate il Vangelo e curate i malati”, e partecipando alla sua grazie di guarigione e di cura, la comunità cristiana “ha riscritto, di secolo in secolo, la parabola evangelica del Buon Samaritano, rivelando e comunicando l’amore di consolazione di Gesù Cristo” (ChL 53). Il Concilio Vaticano II ha contribuito a far prendere coscienza che tra i vari ambiti e settori dell’azione pastorale della Chiesa, non poteva rimanere trascurato quello della cura e dell’accompagnamento dei malati.

  21. Ministeri “di fatto” e “istituiti” I MINISTERI DI FATTO – esercitati senza una esplicita “investitura” da parte della Chiesa, che vedono i laici impegnati nelle diverse attività nella liturgia, nella catechesi, nella carità. I MINISTERI ISTITUITI – servizi ecclesiali che la Chiesa conferisce con un apposito rito liturgico: (Paolo VI – 1972) Il Lettorato come ministero della Parola L’Accolitato come ministero della Comunione e della Carità I MINISTRI STRAORDINARI DELLA COMUNIONE - Il 29 gennaio 1973 – “perché non restino privi dell’aiuto e del conforto di questo sacramento i fedeli che desiderano partecipare al banchetto eucaristico.

  22. Verso il Ministero della Consolazione Sta ora maturando l’idea di un nuovo ministero, più specifico che esprima ancor più efficacemente la missione della Chiesa, “chiamata a versare balsamo sulle ferite di chi soffre, rendendo il Signore presente che illumina la mente e riscalda il cuore, infonde coraggio e forza, stimola la creatività, accendere la speranza…. per alimentare la speranza tra le persone che fanno sulla propria pelle esperienza drammatica della fragilità”. Per assicurare la continuità dell’accompagnamento dei malati e dei loro famigliari, accanto alle modalità già esistenti è auspicabile che venga istituito un ministero specifico: IL MINISTERO DELLA CONSOLAZIONE .

  23. Non mancano i riferimenti biblici Nell’ottica della fede “consolare chi soffre”si traduce in una attualizzazione dell’atteggiamento di Dio tenero e misericordioso, quale è presentato nella Bibbia. Nell’Antico Testamento, a più riprese il Signore si definisce “consolatore” del suo popolo: “Io sono il tuo consolatore”(Is 51,12) Per il popolo di Israele, dopo momenti di silenzio e di oscurità, la parola consolatrice di Dio raggiunge le persone direttamente o attraverso la mediazione dei profeti: “Consolate, consolate il mio popolo dice il vostro Dio”(Is 40,1)

  24. Nel Nuovo Testamento la consolazione di Dio si incarna nella persona di Gesù – “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò” – “Beati gli afflitti perché saranno consolati” – “Il Samaritano buono versa sulle ferite l’olio della consolazione il vino della speranza” – “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre” – “Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima dolcissimo sollievo. Nella fatica riposo, nella calura riparo nel pianto conforto. O luce beatissima invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina”.

  25. Maria, madre di consolazione Da sempre Maria è venerata dalla Tradizione Cristiana come Madre della Consolazione. Tonino Bello: << La “resa incondizionata” alla sovranità di Dio, può fornire all’uomo l’alfabeto primordiale per la lettura di ogni altro servizio umano.>> Premurosa verso la cugina Elisabetta, attenta al disagio degli sposi di Cana, nel suo atteggiamento si esprime l’amore di Dio, la cui misericordia non conosce limiti. Il servizio della Vergine Maria trova la manifestazione massima nella partecipazione alla sofferenza e alla morte del Figlio. “Ora risplende in cielo segno di consolazione e di sicura speranza” (Prefazio IV della Vergine Maria)

  26. Un ministero laicale accanto a chi soffre Fermo restando il compito e l’impegno è di tutti e non solo di alcuni, di un gruppo, di una “élite”… “ci pensino loro…”: “La responsabilità di tutto il Popolo di Dio nei confronti del malato non viene ignorata o diminuita dal fatto che tra i laici ve ne siano alcuni che, per sensibilità naturale e per un dono di Dio, si sentono attratti in maniera particolare verso questo servizio”. E sarà un servizio sempre più prezioso ed importante anche in considerazione in fatto che è sempre più evidente: l’invecchiamento della popolazione. Non si tratta più di fare semplicemente visita a un malato, ma probabilmente bisognerà mettersi a servizio di una realtà, forse anche di una famiglia ammalata. A chi state portando la Comunione? In casa? una casa di riposo?...

  27. Anche la famiglia si ammala Quella del dolore è sempre un’esperienza travolgente, che mette in discussione, cambiando le carte in tavola, modificando punti di vista ed equilibri. E’ un’esperienza che, pur restando personale e individuale viene condivisa e convissuta in modi diversi e con diverse sfumature. E quando “viene a bussare alle porte di casa”, non si presenta certo come un periodo facile, obbliga i diversi componenti al riconoscimento di un proprio ruolo e alla revisione dei rapporti tra loro.

  28. Nella famiglia i malati anziani In modo particolare forse oggi i ministri della comunione che vanno nelle case a portare la comunione hanno a che fare con persone anziane spesso segnate anche da degrado fisico e psichico; ma anche si possono incontrare famiglie che vivono con grande disagio e fatica questa nuova parentesi della vita famigliare

  29. La vita si allunga, ma... La qualità della vita? Come si invecchia? Quanto siamo preparati? Nell’attesa che la scienza trovi i rimedi necessari per fare fronte a questa nuova realtà, si sta facendo appello a tutte le risorse possibili, da quelle tecniche a quelle comportamentali. Tra queste ultime va annoverata LA COMUNICAZIONE La comunicazione

  30. Il linguaggio del corpo Nelle fasi avanzate della malattia, acquistano rilievo e importanza le MODALITA’ NON VERBALIDI COMUNICAZIONE Bisogna apprendere e cogliere i messaggi che il malato trasmette attraverso il linguaggio del corpo: Comunicare con il malato attraverso lo sguardo, il sorriso, il tono di voce, l’utilizzo di poche parola scandite con chiarezza, il contatto fisico, la musica, una preghiera sussurrata…

  31. Forse la mente… non il cuore Se è possibile che il malato abbia perduto la testa, ciò non significa che abbia perduto il cuore: piccoli gesti, espressioni di affetto, un bacio, tenerezza, non cadono nel vuoto e non sono mai sterili. Le dosi di amore che si amministrano al malato non sono mai inutili: né per chi li riceve, né per chi li dona. La memoria affettiva che passa attraverso il cuore del malato, lo fa sentire amato e ancora capace di amare.

  32. Attenti ai più piccoli segnali senza banalizzare nulla… ci guida la convinzione che la vita è presente con i suoi battiti anche là dove il degrado fisico e psichico sembra avere il sopravvento. Sul vecchio olmo, spaccato dal fulminee a metà ammuffito, con le piogge di aprile e il sole di maggio sono spuntate alcune foglie verdi. Un muschio giallo sbiadito macchia la corteccia biancastra del tronco consunto e polveroso ... O olmo, prima che il fiume verso il mareti spinga per valli e dirupi voglio annotarela grazia del tuo ramoscello rinverdito

  33. La testimonianza di un sacerdote la cui mamma è stata colpita da Alhzeimer Egli descrive la sofferenza nel vedere questa donna così significativa per lui dimenticare con sempre maggior frequenza e, piano piano, farsi come assente, confondere i tempi, perdersi nello spazio, ...fino a non riconoscere più né se stessa, né i suoi cari.

  34. Con un'immagine, una volta ci venne spiegato che il nostro cervello è come un meraviglioso e luminoso lampadario, addobbato di numerose lampadine ... ma, con lo spegnersi di ciascuna di esse, poco a poco, si fa sempre più buio fitto.

  35. Ma, quando tutto sembra perso, scorgi occhi ancora vispi in colei che ti ha "portato” e un sorriso che ti dice: "Vieni qui, siediti giù!". Così, quando meno te l'aspetti, dopo un gesto di attenzione o, nel partire, saluti con la mano, da colei che tu per primo dovresti ringraziare, ti senti dire: "Grazie,ciao!" ...e se nemmeno questo senti, resta ancora spazio per tanti affettuosi baci.

  36. Papa Francesco – Lumen Fidei 57 La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi. All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce.

  37. Concludendo “Il dare, il donarsi nel dono, immerge l’offerente in Dio e lo riporta al fratello, visto non più come “un consumatore del beneficio”, ma come benefattore, donatore del divino. Accogliendo il dono infatti egli offre al donatore la possibilità di dare e con questo la possibilità di sperimentare la “beatitudine maggiore” affermata da Gesù: «In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!”» (At 20,35) Il grazie quindi dovrebbe dirlo non tanto colui che riceve quanto colui che dona: “Grazie di avermi messo in condizione di poter dare. Così esisto in Dio”

  38. Grazie

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