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La sanità. Il modello sanitario ideato e realizzato in Lombardia è giunto a compimento, con un processo di “riforma” sostanzialmente concluso. 1997-2002: la fase espansiva del sistema ospedaliero 2002 su 1996: ricoveri +60% nel privato; -15% nel pubblico
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Il modello sanitario ideato e realizzato in Lombardia è giunto a compimento, con un processo di “riforma” sostanzialmente concluso. • 1997-2002: la fase espansiva del sistema ospedaliero • 2002 su 1996: ricoveri +60% nel privato; -15% nel pubblico • deficit: circa 4,5 miliardi di lire, con una politica successiva di rientro data soprattutto dai ticket e dell’aumento delle tasse • opzione sul sistema assicurativo generalizzato (poi rientrato, ma oggi riproposto dal Libro Bianco) • modifica strutturale del ruolo delle ASL • 2002-2008: la fase recessiva • si bloccano gli accreditamenti e si inseriscono i contratti tra ASL ed erogatori • si introducono i tetti di spesa • si accentua il sistema dei controlli (in particolare dopo gli scandali in sanità privata) utili esclusivamente al controllo dei costi, anziché alla tipologia delle prestazioni e della loro qualità (appropriatezza) • si riconferma e si rafforza la rete ospedaliera, a scapito della territorialità dei servizi
Il modello oggi • Non tutti gli obiettivi sono stati realizzati (ad esempio la trasformazione delle AO in Fondazioni), anche se oggi la struttura privata in Lombardia si può considerare una struttura concorrente e non complementare al sistema pubblico: • mediamente sono strutture più grandi, • intervengono prevalentemente sull’attività per acuti, • sono coinvolte nella rete di emergenza/urgenza. • Contrariamente al altre Regioni, la struttura lombarda ha al centro la “rete ospedaliera”, che oggi appare punto di possibile difficoltà nel dibattito nazionale che parla di “- ospedale + territorio” • E’ sicuramente una delle quattro regioni “virtuose” sul piano dei costi: si riconosce l’efficienza, evidenziando però dubbi in tema di equità ed efficacia (appropriatezza)
I NODI CRITICI DEL SISTEMA ATTUALE La rete ospedaliera Il rapporto tra pubblico e privato è passato dal 26% nel 2001 al 30% nel 2006, con una quota di mercato pari al 36% sul totale (a livello nazionale nel periodo 1998/2005 è passato dal 10% al 15%). Questi dati dimostrano che non è possibile spostare ulteriormente questo equilibrio a favore del privato. Anche il recente annuncio di taglio di posti-letto, che riguardava anche la nostra Regione, non può esercitarsi con un ulteriore ridimensionamento della struttura pubblica. La recente assegnazione (nel riparto Stato-Regioni) di 255 milioni di euro vincolati agli obiettivi di PSN rivolte alle cure primarie, assistenza 24 h, non autosufficienza possono rappresentare una buona base di partenza per lo spostamento dell’asse dall’ospedale al territorio.
Le risorse e il rapporto pubblico-privato • Il sistema delle regole e dei controlli può essere utile se non finalizzato esclusivamente al contenimento della spesa, ma prende a riferimento l’appropriatezza della cura. • Noi abbiamo individuato e sottolineato alcune critiche (non ascoltate): • - un limite è dato dalla mancanza di programmazione • - la prevalenza del criterio dell’offerta di prestazioni anziché la domanda accompagnata dall’appropriatezza ed utilità • - un sistema di finanziamento esclusivo attraverso i DRG (tariffe predefinite) evidenzia che si interviene esclusivamente a valle e ha natura esclusivamente amministrativa • - manca un’autorità “terza” scientificamente riconosciuta • - un sistema non direttamente proporzionale alla composizione pubblico-privato, ma più consistente su quest’ultimo, date le finalità oggettive (risultato economico prevalente) • Il tema dei costi standard (alternativi alla spesa storica) potrà essere un’occasione con alcune pre-condizioni: • * l’affermazione di diritti sociali universali a livello nazionale • * definizione dei fabbisogni standard sanitari e sociali (LEA e LIVEAS) • * pesatura della popolazione e lettura progressiva degli indicatori demografici ed epidemiologici territoriali • La Regione Lombardia, ad oggi, non sta producendo iniziativa sul tema dei costi standard (e questi sembrano “scomparsi” anche nel libro bianco di Sacconi)
La territorialità • In ragione delle modificazioni demografiche (compreso un incremento delle malattie croniche-degenerative) è necessario continuare ad operare affinché si affianchi alla rete delle aziende ospedaliere un sistema di medicina territoriale e una rete di servizi in grado di garantire prevenzione, cura, riabilitazione. • Una recente indagine (Cergas Bocconi con Fiaso) fatta su alcuni territori a livello nazionale (per la Lombardia l’ASL di Cremona) dimostrano che: • Vi è una relazione positiva tra aumento della spesa territoriale e riduzione del tasso di ospedalizzazione • Ad un aumento della presenza di Medici di medicina generale che lavorano in gruppo, corrisponde una diminuzione di dimissioni ospedaliere ad alto rischio di in appropriatezza • Ad un aumento della spesa per le strutture sanitarie intermedie, corrisponde una riduzione del tasso di ospedalizzazione.
L’assistenza primaria • Si è aperta recentemente una discussione, con relativi atti di parziale contenimento dei costi, sulla struttura di emergenza nella nostra Regione (delibera ASL di Milano, riduzione tariffaria del 25%). Noi crediamo che un intervento su questo settore, pone innanzitutto il tema di un ridisegno della medicina di base. L’iniziativa della CGIL medici che ha prodotto +669 medici di base (rapporto 1/1000 contro 1/1300 della regione). • Anche in ragione di ciò le ASL dovrebbero, oltre all’incremento del numero dei medici: • potenziare la domiciliarità, • realizzare una presa in carico effettiva dei malati cronici • sviluppare l’attività di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) (3,1% in Lombardia, contro il 2,9% a livello nazionale, ma 5,6% in Veneto). • Le risorse destinate dal FSR alle attività distrettuali ammontano a circa 8 miliardi di €, ma la spesa specialistica è tutta assegnata alle AO: • * a livello nazionale la specialistica pesa per circa il 12% sul totale • * in Lombardia si aggira intorno al 14-15%, ed è in continuo aumento (tema dell’appropriatezza) • Le ASL sono state trasformate in PAC (programmazione e controllo) e questo produrrà, con tempi ancora incerti, l’esternalizzazione anche dei pochi servizi ancora oggi “facenti capo” alla struttura, tutti dedicati alla prevenzione e alla territorialità. Inoltre la trasformazione di ruolo produce una mancanza di intreccio tra area sanitaria e area sociale, venendo meno il tema della programmazione sanitaria legata ai bisogni sociali.
La prevenzione • La Regione stanzia per il 2009 il 5,5% della spesa a favore della prevenzione. • Consideriamo però che la prevenzione si gioca soprattutto ad altri livelli. I “determinanti di salute” ci danno l’incidenza dei diversi fattori sullo stato di salute della popolazione: • * i fattori socio-economici e gli stili di vita incidono per il 40- 50%, • * lo stato e le condizioni dell’ambiente per il 20-30%, • * l’eredità genetica per un altro 20-30% • * i servizi sanitari per il 10-15%. • Assistiamo ad una progressiva riduzione dei servizi rivolti alla salute sessuale e riproduttiva (vedi dati allegati alla relazioni sullo stato dei consultori) e alla salute dell’età evolutiva
I NOSTRI OBIETTIVI 1.- Valorizzazione del ruolo delle ASL e dei distretti Abbiamo bisogno di unarevisione del ruolo della struttura, forti del bisogno inevaso di servizi integrati socio-sanitari nel territorio, del mantenimento e relativo potenziamento –in termini di risorse umane ed economiche- dei servizi ancora oggi assegnati alle ASL nel territorio, fermando la logica della dismissione e/o esternalizzazione dei servizi. Uno stretto collegamento tra il bisogno di salute e la risposta del territorio: questo oggi è reso molto difficile a causa della netta separazione tra la cura (quasi sempre assegnata alla struttura dell’ospedale) e il bisogno di re-inserimento o di risposte ai bisogni plurimi di salute. Ruolo della medicina di base: una riorganizzazione del ruolo e del sistema di funzionamento.
2.- Ruolo delle amministrazioni locali • Rafforzare il ruolo di coordinamento tra l’ASL e l’assemblea dei sindaci del territorio • Forme di maggior coordinamento e partecipazione alle scelte (modello Piani di Zona) • Relazione da rafforzare con ANCI e UPI • 3.- Rete di servizi integrata • L’Asl deve diventare il soggetto responsabile della programmazione a livello territoriale: in questa direzione vanno definiti e costruiti nella nostra regione i distretti socio-sanitari. • Scopo prioritario è quello di una rete di protezione delle dismissioni –non solo sanitaria ma anche sociale- che risponda ad un bisogno di cura e sostegno, che non può essere lasciata solo alla famiglia
4.- Il sistema “dote” • Una recente delibera ha introdotto il sistema della dote anche in sanità: • è stata annunciata come una sperimentazione a tempo, • da effettuarsi su alcune patologie di ammalati cronici (diabete, ipertensione, terapia anti-coagulante), • assegnata al medico di famiglia, • con lo scopo di garantire il sistema di controlli preventivi e necessari al contenimento della cronicità. • Non è chiaro però cosa succede qualora la dote si esaurisca per il singolo paziente prima del tempo. • A questo proposito riteniamo che sia necessaria la pubblicizzazione dei risultati della sperimentazione evitando altresì il razionamento delle prestazioni.
5.- Accesso e pubblicizzazione delle liste d’attesa • Dal 2002 la Regione Lombardia non aggiorna la pubblicazione dei dati relativi alle liste d’attesa. • Riteniamo che il primo passo sia quello di pubblicizzare e rendere trasparenti i tempi d’attesa per le diverse tipologie diagnostiche. • Questo in ragione dell’obiettivo di perseguire la loro riduzione, non solo per gli screening, come annunciato recentemente. • 6.- Piano Socio-Sanitario 2010/2012 • Al di là dei tempi (prima o dopo le elezioni regionali del 2010) riteniamo che: • i punti sopra esposti debbano stare a pieno titolo nelle proposte di nuovo piano • vada riposizionata la sanità lombarda verso il territorio e per una integrazione socio-sanitaria • vada potenziato il sistema di regole e controlli • Sul PSSR rivendichiamo un tavolo di consultazione per le organizzazioni sindacali confederali
Il modello lombardo attuato nel sistema sanitario regionale ha permeato anche lo sviluppo del sistema dei servizi sociali e socio-sanitari. Dal punto di vista del sistema le scelte regionali sono andate con determinazione nella direzione di un arretramento del ruolo pubblico di gestione dei servizi. Anche i Comuni per la parte sociale sono diventati progressivamente soggetti acquirenti di prestazioni. Tale forma, che si auto-seleziona dal lato dell’offerta prevede che sul lato della domanda vi sia la capacità di scelta di persone e famiglie nel trovare autonomamente e liberamente sul mercato la risposta adeguata ai propri bisogni, cosa che sappiamo non essere vera per molte tipologie di persone e/o famiglie (accesso all’informazione, capacità di selezionare, capacità di leggere i propri bisogni, ecc). Per quanto riguarda la governance si configura come fortemente centralizzata da parte della Regione, con un apparato dirigenziale che garantisce il perseguimento uniforme di linee di indirizzo non secondo priorità di obiettivi ma per modalità di intervento (voucherizzazione) e con una gestione nettamente separata tra sociale e sanitario.
Le tappe dell’evoluzione del modello lombardo La Regione Lombardia avvia il tema del cambiamento del sistema di welfaresociale solo a partire dal 2001. Nel Programma regionale di sviluppo 2001-2005 viene esplicitata la necessità che venga avviata una separazione tra chi deve assumere il ruolo di acquisto di prestazioni - Asl e Comuni - e chi li fornisce - erogatori di prestazioni pubblici e privati – per incentivare la concorrenza che dovrebbe garantire il miglioramento della qualità e una maggiore efficacia ed efficienza dei diversi interventi. Da questa logica discende la prima sperimentazione di un bonus per anziani non autosufficienti. A partire dal DPEFR 2002-04 viene avviato il passaggio dal Welfare state alla welfare society: secondo un’idea di sussidiarietà orizzontale per cui c’è un ulteriore spostamento delle funzioni pubbliche ad erogatori pubblici o privati, espressione della società che si auto-organizza. ASL e Comuni definiscono la rete di offerta socio-sanitaria e sociale attraverso il sistema dell’accreditamento e contratto secondo unità di offerta predefiniti dalla Regione. Il sistema dei titoli sociali (buoni e voucher) dovrebbe garantire la libertà di scelta da parte del cittadino. Accanto a questo va evidenziato il continuo calo delle risorse disponibili, che rischia di peggiorare le condizioni di lavoro ed economiche degli addetti (precarietà, molteplicità di contratti, dumping).
La legge regionale 3/2008 e i Piani di Zona La legge regionale 3/08, che sostituisce di fatto la L 328, è stata profondamente modificata rispetto alla prima stesura, grazie ad un intervento congiunto delle organizzazioni sindacali e del terzo settore, opera la separazione delle unità di offerta sociali e socio-sanitarie individuate dalla Giunta Regionale, affidandone poi l’integrazione della programmazione ai Comuni, attraverso i Piani di Zona . I Piani di Zona vengono predisposti dai Comuni , d’intesa con l’ASL e con il coinvolgimento di terzo settore e del sindacato, fermo restando il ruolo della Regione che, tramite la ripartizione delle risorse attraverso le ASL, ha compiti definiti (criteri per l’accreditamento, fissazione dei livelli di prestazione socio-sanitarie, tariffe, ecc). I Comuni hanno la piena titolarità delle competenze per gli interventi in campo sociale, attingendo risorse non solo nazionali e regionali, ma anche proprie (70-80% secondo una recente ricerca della Bocconi). Emerge che nella nostra regione esistono profonde differenze sia in termini di quantità che qualità della spesa, derivata anche da una diversa capienza di risorse disponibili.
IPdZ vengono predisposti in forma singola o associata dai Comuni, d’intesa con l’ASL e in collaborazione con gli altri soggetti, fermo restando il ruolo della Regione che, tramite la ripartizione delle risorse attraverso le ASL, ha compiti preposti (accreditamenti, fissazione dei livelli di prestazione socio-sanitarie, tariffe, ecc). I Comuni procedono poi all’accreditamento delle unità di offerta sociali. Per la terza triennalità, 2009-2011, in un contesto in cui si avverte l’assenza dei LIVEAS (in qualità anche di diritti minimi ed universali) la Regione ha diramato linee guida per la programmazione. Tuttavia i vincoli di programmazione posti non sono stati preceduti né da una valutazione di impatto sui risultati della precedente programmazione né vengono dati ai Comuni strumenti di valutazione dei propri territori e delle criticità; infatti la rendicontazione è di tipo esclusivamente contabile, mentre le ASL conservano un ruolo centrale di validatori dei piani.
LE AREE E I NOSTRI OBIETTIVI • La gestione del consenso, la “mistica” della famiglia • e la sussidiarietà • Nelle linee guida per i P.d.z. e negli ultimi PDEFR molto spazio è lasciato al sistema famiglia come soggetto e destinatario principale delle politiche regionali. • Vogliamo però rilevare che la realtà delle famiglie lombarde è di una progressiva e profonda fragilità ed impoverimento (un solo componente, aumento di separazioni e divorzi, crisi economica, anziani soli –soprattutto donne con pensione al minimo-) e che questi dati contrastano decisamente con l’idea di un mercato/rete di servizi in cui persone e famiglie si muovono liberamente, sempre capaci di comprendere i propri bisogni e di ricercare la soluzione più idonea. • Evidenziamo: • il rischio di un accesso non universalistico ma selettivo • la volontà di una riallocazione sulle famiglie delle funzioni di cura, a minori, disabili e persone non autosufficienti
Sotto il profilo dell’equità degli interventi tema importante è quello dell’ISEE, in quanto disomogenea tra Comuni e con la Regione Lombardia che, se in passato aveva provato ad individuare un proprio parametro, oggi usa parametri diversi per le diverse deliberazioni (es: bonus famiglia). Su questo tema riteniamo necessario aprire una riflessione ed un approfondimento. • Rivendichiamo: • l’integrazione delle politiche sociali con quelle socio-sanitarie e sanitarie, con una lettura ed una conoscenza dei diversi territori, con un uso appropriato delle risorse e della loro ripartizione, con una prevenzione di quei comportamenti a rischio legati alle fragilità sociali; • punti unici di accesso, quale strumento di accessibilità ed universalità della rete dei servizi • la messa in rete dei risultati dei Piani di Zona e dell’impatto dei titoli sociali
La non-autosufficienza • E’ oggi uno dei nodi centrali della ridefinizione del nuovo welfare. Vi è la necessità di affiancare a quelli tradizionali una rete di servizi integrata, utile per rispondere ai diversi bisogni delle persone e delle famiglie. • Ai bisogni delle persone anziane (in continuo aumento) vi sono state sostanzialmente due risposte: • * La struttura delle RSA: in regione vi sono circa 600 strutture, nel biennio 2009/10 si aggiungeranno 2.500 posti letto, con un tasso di ricoveri pari al 2,67% contro il 2% a livello nazionale. Oggi però si apre il tema delle rette e della sostenibilità dei costi, oltre che il tema della qualità del servizio e del rapporto tra area sanitaria e area sociale; • * Il ricorso alle assistenti familiari, con il costo interamente addebitato alla famiglia, mantenendo però la persona anziana nel proprio contesto di vita. • Viceversa il tasso di assistenza domiciliare (ADI) è in linea con il tasso nazionale, ma decisamente più basso rispetto ad altre regioni “virtuose”, dimostrando ancora una volta la focalizzazione della nostra regione sulla struttura ospedaliera. • La piattaforma del sindacato pensionati, che dobbiamo sostenere con forza, pone al centroe dovrà trovare a tempi brevi una sua definizione: • Lastrutturalità del fondo per la Non autosufficienza • Un sistema di domiciliarità integrato, con la presa in carico della persona anziana • Un sistema di RSA che risponda anche alle attività di “sollievo”.
I servizi educativi 0/6 • L’applicazione della L 285/97 ha sicuramente contribuito ad una diversa cultura dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nei territori, con un rapporto di collaborazione tra diversi soggetti. • Oggi assistiamo: • alla dismissione del pubblico • ad un ridimensionamento della spesa • ad un trasferimento monetario per servizi di cura • Noi riteniamo invece che sia necessario, pur in un rapporto di collaborazione tra pubblico e privato, conservare il ruolo pubblico di progettazione, coordinamento e formazione continua, oltre che un ripensamento delle condizioni di accesso (a maggior ragione pensando che il tasso di popolazione sarà garantito dalla presenza di stranieri).
La psichiatria • In Regione si evidenzia un trend in crescita: +36% delle persone in trattamento psichiatrico tra il 1999 e il 2006, con una percentuale tra il 17% e il 24% di nuovi casi ogni anno. • Sul lato dei servizi si evidenzia che le dotazioni di organico dagli anni 80 ad oggi non hanno subito variazioni, mentre sono aumentate nel settore privato (pari ad un quarto del totale). • Sono fortemente aumentati i ricoveri nelle strutture residenziali e vi è un aumento significativo delle giornate di degenza (+164% tra il 1999 e il 2006). • Noi riteniamo necessario: • un aumento delle risorse a tutela della salute mentale (non meno del 5% del totale della spesa sanitaria); • un intervento e risorse mirate per la psichiatria infantile; • servizi e politiche per l’integrazione territoriale, in controtendenza con le politiche finora attuate; • la convocazione, così come già concordato con la Regione, degli Stati Generali sulla Salute Mentale nella nostra Regione.
La tossicodipendenza • Il costante aumento degli utenti in carico ai Ser.T ci segnala non solo consumo di eroina, ma anche un consumo generalizzato di cocaina. • In Lombardia dal 2000 al 2007 si è passati da 81 Ser.T a 71, gli operatori da 1020 sono scesi a 930, il numero degli utenti è salito da 21.913 a 26.118. • Assistiamo, oltre che ad uno spostamento di risorse verso il privato, a una politica che aumenta le risorse alle Comunità, con l’innalzamento a 3 anni di possibile permanenza nella struttura. • La legge sull’accertamento sulle dipendenze nei luoghi di lavoro, di recente emanazione, ci deve portare alla massima vigilanza affinché: • si evitino accertamenti sull’intera popolazione di un’impresa, ma siano finalizzati esclusivamente all’affidamento della mansione • vi sia un raccordo tra strutture sindacali ai diversi livello e struttura dei servizi dedicati agli accertamenti
Il collocamento mirato • Con la legge regionale 22/2006 e 19/2007 si è definito un nuovo sistema di politiche per la formazione e il lavoro: l’introduzione della dote lavoro e della dote formazione determina che dalla centralità dell’offerta si è passati alla centralità della domanda. • Abbiamo espresso un giudizio critico, in particolare perché: • non vi può essere, in un sistema così definito, una programmazione dei corsi con contestuale lettura dei bisogni delle imprese; • si evince una scarsità di risorse (già nella prima sperimentazione molte persone sono state escluse) e un non facile accesso al sistema informativo • assumono centralità le cooperative di tipo B, come risposta al bisogno di inserimento lavorativo delle persone con disabilità
IL RAPPORTO CON LA REGIONE E IL SISTEMA DELLE AUTONOMIE LOCALI • Nel rapporto con la Regione quello che accade sul piano formale è così sintetizzabile: • vi è un ambito formale e formalizzato di confronto, a volte preventivo a volte consultivo, sulle scelte e conseguenti delibere che la Regione definisce; • i temi su cui attuare la consultazione sono sempre scelti dalla Regione, sulla base delle priorità “sociali o politiche” da loro definite; • ai tavoli formali sono invitati più soggetti, con rappresentanze diverse. • Sul piano sostanziale la situazione peggiora: • la Regione non riconosce il ruolo di rappresentanza sociale; • il sindacato è chiamato a rispondere in situazione di emergenza; • le politiche di inclusione sociale e di risposta ai bisogni sociali diffusi non sono oggetto di confronto, ma derivate quasi esclusivamente in un rapporto diretto tra governanti e cittadini. • Per questo abbiamo bisogno di ripensare al nostro rapporto con la Regione, anche a partire da un rapporto diverso con l’ANCI e l’UPI, attori oggi spesso assenti nella discussione di merito ai tavoli regionali. • E’ altrettanto necessario stabilire una “relazione politica” con il III settore, che noi intendiamo non come sostitutivo ma integrativo del sistema di welfare e diprotezione sociale, così come già svolto in occasione della discussione della legge regionale 3/08.
IL “LIBRO BIANCO” DI SACCONI: • PRIMI APPUNTI DI LAVORO • “la libertà di scelta e di iniziativa delle persone è spesso • compressa dalla invadenza di un attore pubblico che non sempre è in grado • di garantire adeguati standard qualitativi dei servizi essenziali. • Non di rado lo Stato si sostituisce al cittadino nelle sue decisioni con strutture • viziate da ricorrente autoreferenzialità. Ciò diffonde una cultura assistenzialista che comprime • il senso di autonomia e responsabilità”. • Sottolineiamo solo alcuni elementi di valutazione: • l’identità valoriale fa esplicito riferimento alla persona nelle sue relazioni familiari collocate nel territorio • si parla di welfare multi-pilastro, introducendo il principio di capitalizzazione (sanità integrativa, previdenza complementare obbligatoria) • si parla di responsabilità della persona, contrapposto al sistema di diritto e di protezione pubblica • la totale equiparazione tra pubblico e privato • Riteniamo quindi necessario prevedere, ad ogni livello, momenti di discussione ed approfondimento, per poter definire una nostra strategia di risposta.