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Segni del sacro e paesaggio planetario Prof. Ugo Morelli Università degli Studi di Bergamo. 9° FORUM DELL’INFORMAZIONE CATTOLICA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO “Salì sul monte. Mons sanus pro corpore sano Dolomiti Bene UNESCO” Trento, 14-17 giugno 2012.
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Segni del sacro e paesaggio planetarioProf. Ugo MorelliUniversità degli Studi di Bergamo 9° FORUM DELL’INFORMAZIONE CATTOLICA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO “Salì sul monte. Mons sanus pro corpore sano Dolomiti Bene UNESCO” Trento, 14-17 giugno 2012 Scuola per il governo del territorio e del paesaggio Provincia autonoma di Trento “Se non fosse per il mondo che è in noi il mondo che ci circonda sarebbe desolato” [Wallace Stevens]
G. B. Vico, Princìpi di scienza nuova, Napoli 1744 “Le menti dei primitivi, di nulla erano astratte, di nulla assottigliate, di nulla spiritualizzate, perch’erano tutte immesse ne’ sensi, tutte rintuzzate nelle passioni, tutte seppellite ne’ corpi”
Paesaggio e lingua madre Il paesaggio è come la lingua madre: esige da noi che ne acquisiamo consapevolezza
Una sacra unità uomo natura Oltre il dualismo per un’inedita forma di vita: - Un’etica della prassi e un’estetica del presente - Siamo parte del tutto - La finitudine come condizione della vivibilità
Il paesaggio come simbolo dell’unità uomo-natura Paesaggio come documento della relazione uomo-natura
Il paesaggio è … …confuso con … la memoria e il ricordo, ma …
…il ricordo … … “non è incassato nel tempo come un gioiello nel suo scrigno” [V. Jankélévitch, 1978, Da qualche parte nell’incompiuto, Einaudi, Torino 2011; p. 41]
Critica al dualismo separante Separare, conservare e sacralizzare le parti/agire senza limiti e condizioni nel resto
“Conservare” è una parola che … … indica orientamenti e azioni che si dovrebbero sottoporre a una critica approfondita; - certo, l’immagine evocata dalla conservazione è rassicurante, securizzante; ma… - una memoria siffatta richiama la sicurezza dei collezionisti
Performatività del paesaggio Il modo insidioso in cui siamo chiamati dai luoghi ad agire in essi, divenendo noi stessi attraverso l’azione. Fondazione e ri-fondazione del senso Figurazione e ri-figurazione del paesaggio
Mente, bellezza e paesaggio Esperienza estetica come struttura di legame che collega gli esseri dei sistemi viventi
Una cultura della finitudine Riconoscere la finitudine come possibilità della vita - Come nuovo inizio - Come condizione della - pienezza - bellezza (la fragilità del bene) (Martha Nussbaum)
Noi, incagliati e oppressi • tra le opere della nostalgia e • le opere prometeiche (reciprocità)
Valori “Prometeici” e nostalgici > INVIDIA “Sodali” > GRATITUDINE
Sacro – Tensione rinviante • Estetica e etica • Mito e narrazione: Verso la natura di cui siamo parte, il paesaggio della nostra vita
Iperumano: vedersi dal sistema vivente Lo svelamento liberatorio del delirio della perennità può essere l’inizio di una nuova narrazione e di una inedita responsabilità
Passeggeri del paesaggio • La terra come territorio riservato alla vita è uno spazio chiuso • “Terribile rivelazione”: la consapevolezza ecologica rinvia ogni umano alla propria responsabilità.
Il paesaggio… Come spazio e forma della vivibilità, che emerge a punto di connessione tra mondo interno e mondo esterno, con la mediazione dei princìpi di movimento e immaginazione
Compatibilità tra natura e mito • Il paesaggio planetario esige profondi cambiamenti nella coscienza collettiva • Cambiare idea è difficile per noi esseri umani • È necessario “cambiare leggenda” sul rapporto tra uomo e territorio G. Clement, 2004, Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2006
Contrapposizione perniciosa Siamo giunti fino a qui creando una vivibilità contrapposta tra: • la fede in un ordine di natura, il destino e • la fede in un mito per vincere l’ordine di natura, il mito prometeico
Come renderli compatibili? Non basta l’integrazione Si tratta di vivere la dimensione sacra dell’oikose non di sue parti separate, o separandosi e ergendosi sopra l’oikos
Plasticità dei comportamenti Proiezione/introiezione nella creazione del paesaggio Potremmo pensare che esistano colori e paesaggi nel mondo esterno e noi, semplicemente, li percepiamo. Non è così. - lunghezze d’onda riflesse dagli oggetti - condizioni circostanti di luce - coni dei nostri occhi - circuiti neurali del nostro cervello - relazioni sociali di riconoscimento Apprendimento/Cambiamento
Ampiezza biologica “Insegnare i motori dell’evoluzione come si insegnano le lingue, le scienze, le arti” [G. Clement, 2004]
Divenire responsabili Le forme di vita ecologiche risultano costitutivamente antropomorfe e parlano di coloro che le creano. Non solo, ma allo stesso tempo parlano a coloro che le creano plasmando le loro individuazioni e identificazioni. Oggi, in particolare, quelle forme ci invocano: invocano cioè la nostra attenzione e responsabilità a divenire finalmente responsabli dei vincoli e delle possibilità che la nostra presenza pone al sistema vivente e alla stessa vivibilità.
Paesaggi planetari Paesaggi planetari: • molari • molecolari Ciò che è stato ed è sacro, cioè separato, e che è stato fonte di senso in grado di placare la nostra angoscia di finitudine, (e che per questo ha diviso i luoghi e gli artefatti in eccezionali ed ordinari), oggi dovrebbe essere unito in una nuova alleanza in grado di trasferire il sacro all’ordinario e di interrompere quella separazione.
Elaborare la nostra finitudine Possiamo criticare finalmente la distruttività indotta dalla separazione e dalla presunzione di superiorità rispetto al resto del vivente, esseri umani di altre culture compresi, giustificata da supposte attribuzioni divine, elaborarne il vuoto, e coglierne la generatività, per accorgerci che il sacro può essere esteso all’ordinario per umana deliberazione. Sarebbe quello il modo da poter fare più facilmente esperienza dell’universale in ognuno dei luoghi della nostra vita e non solo nei luoghi deputati e separati; al fine di divenire consapevoli di poter attingere a noi stessi per elaborare la nostra finitudine.
Trascendenza e corporeità Alla base dei nostri stili poietici e della capacità di creazione ci sono la nostra tensione rinviante e l’immaginazione. Fare “sacro” un luogo e conferirgli un significato “separato” vuol dire proiettare la nostra corporeità e la nostra mente incarnata che tende alla ricerca di significato, su quel luogo. Il paesaggio, che può essere considerato una metafora di un luogo, è strettamente connesso alla nostra tensione a rinviare ad oltre quello che esiste, alla nostra capacità di trascendenza di quel luogo. La nostra corporeità è decisiva per comprendere le metafore con cui descriviamo e comprendiamo il mondo. La materia corporea e la materia paesaggistica sono perciò intimamente interconnesse. Da quella interconnessione emerge il significato che diamo a un luogo, inventando e creando il paesaggio.
All’origine la relazione All’origine dell’invenzione del paesaggio vi è, quindi, la relazione che noi stabiliamo con gli altri in un luogo. “In the beginning is the relation”, ha scritto Martin Buber - relazioni - emozioni - sensazioni - azioni
Il paesaggio e il sacro Di fatto il paesaggio delle nostre narrazioni, il paesaggio di cui ognuno di noi parla, è frutto della proiezione del nostro mondo interiore che in origine abbiamo introiettato, e dei gesti e delle azioni che nel tempo compiamo introiettandone il senso e il significato. La trasformazione in “sacro”, come parte della trasformazione dei luoghi in paesaggio, è parte di questo processo.
I paesaggi della nostra vita La qualità della nostra vita e del nostro modello neurofenomenologico di noi stessi è strettamente connessa alla qualità e alla vivibilità, alla natura e all’estetica dei “materiali” e dei segni che introiettiamo e proiettiamo, attraversati come siamo dai paesaggi della nostra vita, mentre li attraversiamo.
L’inferno dei viventi, Italo Calvino “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
L’innocenza dell’essere parte e la ragion poetica Le menti relazionali incarnate umane nel tempo dell’evoluzione culturale e della creazione del paesaggio planetario Il poeta è colui che fa “E’ suonando la cetra che si diventa citaristi, ed è nel movimento innocente dell’ispirazione che l’uomo diventa poeta: perché il poeta è colui che fa e segue la via dritta senza guardare a se stesso” [Jankelevitch – Pagliarani]