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Elementi di linguistica sarda. Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 5. I più antichi italianismi del sardo. A partire dall’XI sec. penetrò nel sardo una quota cospicua di voci italiane antiche, fra le quali ricordiamo:
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Elementi di linguistica sarda Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 5
I più antichi italianismi del sardo A partire dall’XI sec. penetrò nel sardo una quota cospicua di voci italiane antiche, fra le quali ricordiamo: log. béttsu, camp. béčču “vecchio” (nel sardo sopravvive anche una parola più antica per “vecchio”: centr. békru, bréku, log. éǥru, béju, éju, ma si dice ormai solo degli alberi, o della legna); log. dzóvanu, ğóvanu, camp. ğóvanu, ğóvunu “giovane”; log. abbaiđare “guardare”; log. abbiṡare “credere, accorgersi” (anche in espressioni del tipo abbíṡu méu “secondo me”);
log. attsivire, camp. aččiviri “preparare, provvedere di, fornire” (qui anche attsívu “provvista”); camp. diađéru “davvero”; log. sett. indzuldzare, indzundzare “ingiuriare”; centr. manikare, log. sett. maniǥare “mangiare”; log. virgòndza, birgòndza, camp. briǥúnğa “vergogna”; log. čáffu, tsáffu “schiaffo”; log. ánku, camp. ánki “che” (in frasi che esprimono augurio o malaugurio: log. ancu tenzas bonos annos “possa tu avere anni buoni”);
log. ğássu, dzássu, camp. ğássu “callaia, ingresso ai poderi rustici”; “luogo, sito”; camp. orƀáči, orƀáži, arƀáži e simm. (si estende sino alla Barbagia meridionale: oƀráke, orƀáče) “orbace”. Come si avrà modo di dire più avanti, inoltre, l’influsso toscano fu particolarmente incisivo nella regione meridionale dell’isola: in particolare, agì sulla fonetica del campidanese, che in questo modo acquisì alcuni tratti che lo distinguono in modo evidente dal logudorese.
Il superstrato catalano e spagnolo Nel 1297 Bonifacio VIII assegnò in feudo il regno di Sardegna e Corsica a Giacomo II di Aragona. A séguito di ciò, nel 1323 un corpo di spedizione guidato dall’infante Alfonso, figlio di Giacomo II, sbarcò in Sardegna. A partire da questa data inizia una fase storica destinata a segnare in profondità la Sardegna, sotto molteplici aspetti: tale fase si protrae sino al 1720, con l’isola sottoposta in modo pressoché ininterrotto al dominio catalano-aragonese prima, spagnolo poi.
Dal punto di vista linguistico il dominio iberico ha lasciato una traccia profondissima nel sardo, ancora oggi ben individuabile. A questo proposito, M. L. Wagner – lo studioso tedesco che più volte abbiamo citato e ancora citeremo, vista l’importanza della sua opera in relazione al sardo – scriveva nella Lingua sarda: «L’elemento catalano-spagnolo è, naturalmente dopo il latino, di gran lunga il più importante del sardo. Se molti vocaboli astratti tendono a essere [segue]
soppiantati da italianismi, quelli conservati, numerosissimi, che hanno invaso quasi ogni sfera dell’attività umana, si sono talmente radicati che sono diventati parte integrante della vita sarda e quindi anche della lingua». La diffusione del catalano fu più rapida e intensa nella regione meridionale dell’isola: solo più tardi, venuta meno la resistenza politica e militare del Giudicato di Arborea (che si protrasse sino al 1478), il catalano prese piede anche nella regione centro-settentrionale. In particolare, poi, il catalano si diffuse nelle città, soprattutto a Cagliari, mentre nel contado il sardo continuò a essere di gran lunga prevalente.
Per comprendere quanto intensamente il catalano si diffuse nella Sardegna meridionale, si cita spesso un modo di dire ancora in uso in campidanese, no šíri ṡu ǥađalánu, che letteralmente significa “non sapere il catalano”, ma viene usato per indicare una persona che si esprime con fatica (vale dunque “non saper parlare”). L’esempio è significativo perché indica che a un certo momento, nella zona dell’isola in cui l’espressione trovò impiego, il catalano, in quanto lingua cittadina, associata ad ambienti elevati, godette di notevole prestigio.
All’estremo opposto di questo esempio, che mostra un atteggiamento favorevole ai Catalani e alla loro lingua, si collocano altri casi, nella Sardegna settentrionale, che indicano un atteggiamento nient’affatto amichevole nei confronti dei dominatori iberici. In alcuni paesi di area logudorese settentrionale, infatti, con kađalána (Osilo, Berchidda), kađalánu (Bulzi) si indica lo scarafaggio, la blatta; anche in sassarese (varietà non sarda, come vedremo) kaddarána vale “blatta”, e così pure nel catalano di Alghero, ove si dice katará.
Voci di origine catalana nel sardo La lista delle parole sarde di origine catalana è assai lunga, sicché ci limiteremo ad alcuni esempi particolarmente significativi: camp. aíči “così” (come pure dal cat. viene aíč’ e tóttu “lo stesso”); log. amiǥántsja “amicizia”; camp. arratapiñáta, arratapinnáta “pipistrello”; camp. arrevél’u (de óu) “tuorlo”; log. e camp. banduléri “vagabondo”;
camp., centr. e log. merid. bardúffula, bardóffula “trottola” (nella regione settentrionale si usa invece il tipo morrókula, marrókula); log. e camp. bárra “spranga, paletto, catenaccio” e “mascella, ganascia”; log. e camp. barƀéri “barbiere” (anche altri nomi di mestiere: camp. balantséri, log. balanséri “bilanciaio”; log. sett. drappéri “sarto”; camp. fustéri “falegname”, nel Sàrrabus “bottaio”; log. interramòrtos, camp. interramòrtus “becchino”; log. pikkapeđréri, camp. pikkaperdéri “tagliapietre, muratore”; camp. sabbatéri “calzolaio”);
camp. e barb. bláu, bráu “azzurro, celeste”; camp. bòrea, log. buèra, abbuèra “nebbia”; log. e camp. bonèṡa “bonarietà”; camp. e centr. brassólu, brattsólu, bartsólu “culla”; camp. buččákka, centr. buttsákka, log. bušákka, buṡákka “tasca”; log. (fíǥu) burdašòtta “specie di fico nero, brogiotto”; camp., barb. e nuor. kađíra “sedia”; log. kamèḍḍa “arco del gioco dei buoi”;
log. karabássa “specie di zucca lunga”; log. karèna “carcame, scheletro” (in nuor. indica tutto il corpo); log. kartsòffa, iskartsòffa, camp. kančòffa, končòffa “carciofo”; log. kašále, camp. kašáli “dente molare”; log. e camp. kunfraría “confraternita”; log. diṡidzare, camp. diṡiğğai “desiderare” (anche il sost. diṡídzu, diṡíğğu “desiderio”); log. e camp. diṡispéru “disperazione”;
log. e camp. faína “faccenda, lavoro” (e anche log. e camp. fainéri “lavoratore”; log. affainare, camp. affainai “affaccendarsi”; log. iṡfaináđu, camp. ṡfaináu “ozioso, fannullone”); log. e camp. fardètta “gonnella”; camp. gòččus “composizioni poetiche cantate in onore della Madonna, di Gesù Cristo e dei Santi”; log. ispram(m)are, camp. spram(m)ai “spaventare” (e isprám(m)u, spram(m)a “spavento”); log. istimare, camp. stimai “amare”; log. leƀréri “conca di terracotta”;
camp. léğğu, centr. lédzu “brutto”; log. mèske(s) “specialmente, principalmente, tanto più” (in nuor. mèska(s); log. matéssi “stesso”; camp. míğa, centr. mídza “calza”; log. e camp. oril’èttas “frittura di pasta al burro con zucchero o miele (di forma diversa, ma per lo più a spire)”; log. pertokkare, camp. pertokkai “appartenere, riguardare”; log. e camp. retáulu “tavola dipinta, retablo”;
camp. skrukkullai “indagare, scrutinare, rovistare” (nel log. merid. iskurkulljare “sconvolgere”); log. e camp. síndrja “anguria”; log. sòstre, camp. sòstri “soffitta”; log. tankare, camp. tankai “chiudere” (qui anche tánka “podere chiuso da siepi o muriccioli”); log. e camp. tássa “bicchiere”; log. tastare, camp. tastai “assaggiare”; log. e camp. testarrúđu (in camp. spesso tostorrúđu) “testardo, caparbio”; camp. ullèras, ul’èras “occhiali”.
Breve bibliografia I. Loi Corvetto, La Sardegna, in I. Loi Corvetto, A. Nesi, La Sardegna e la Corsica, Torino 1993, pp. 1-205. G. Paulis, Le parole catalane nei dialetti sardi, in J. Carbonell, F. Manconi (a cura di), I Catalani in Sardegna, Milano 1984, pp. 155-163. M. L. Wagner, Dizionario etimologico sardo, Heidelberg 1960-64. M. L. Wagner, La lingua sarda. Storia, spirito e forma, Nuoro 1997.