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Elementi di linguistica sarda. Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 11. Il vocalismo del sardo. Il sardo presenta un sistema vocalico peculiare.
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Elementi di linguistica sarda Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 11
Il vocalismo del sardo Il sardo presenta un sistema vocalico peculiare. Il latino classico aveva cinque vocali di timbro diverso, e ognuna di esse poteva essere realizzata come breve o come lunga (sicché le vocali, in pratica, erano dieci): ă (a breve), ā (a lunga), ĕ (e breve), ē (e lunga), ĭ (i breve), ī (i lunga), ŏ (o breve), ō (o lunga), ŭ (u breve), ū (u lunga).
Perdita delle distinzioni quantitative In latino la quantità delle vocali aveva valore distintivo, poteva cioè differenziare da sola il significato di due parole: così come in italiano ha valore distintivo la quantità delle consonanti (succede, cioè, che due parole si possano differenziare soltanto per la presenza di una consonante breve oppure lunga: es. calo~callo), in latino si avevano coppie di parole distinte unicamente dalla presenza di una vocale lunga oppure breve (tipo vĕnit “viene” ~vēnit “venne”). Col tempo, però, questo meccanismo che consentiva di impiegare la quantità delle vocali per distinguere il significato delle parole si perse.
Nascita di nuovi sistemi vocalici Nella maggior parte delle lingue romanze (ma non nel sardo), al posto delle vecchie distinzioni basate sulla quantità vocalica, si è affermato un nuovo sistema: in base a esso, le vocali in origine brevi furono pronunciate più aperte delle corrispettive lunghe (così, per es., ĕ fu realizzata come è aperta, ē come é chiusa). In particolare, se consideriamo il punto terminale di questo processo attraverso la testimonianza dell’italiano, vediamo da un lato (per le vocali anteriori) che in sillaba accentata ĕ latina ha dato è aperta, mentre ē ed ĭ si sono fuse in é chiusa: per es., dal lat. BĔNE abbiamo bène, mentre da ACĒTU e da PĬLU acéto e pélo.
Peculiarità del vocalismo sardo Passando alle vocali posteriori, vediamo che ŏ del latino ha dato in italiano, sempre sotto accento, ò aperta, mentre ō ed ŭ si sono fuse in ó chiusa: per es., dal lat. PŎRCU abbiamo pòrco, mentre da SŌLE e da BŬCCA sóle e bócca. Il sardo mostra un’evoluzione differente e caratteristica del vocalismo latino: si ha infatti costantemente la fusione delle vocali in origine brevi con le corrispettive vocali lunghe, come si può vedere dagli esempi forniti nella diapositiva seguente.
Riprendiamo gli esempi dati in precedenza per l’italiano: dal lat. BĔNE si ha in sardo bène, bèni (a seconda dei dialetti); da ACĒTU si ha akétu o aǥéđu o ažéđu (a seconda dei dialetti; ciò che non cambia, si osservi, è la vocale accentata), e da PĬLU pílu; da PŎRCU si ha pórku, prókku (a seconda dei dialetti); da SŌLE si ha sòle, sòli (a seconda dei dialetti), e da BŬCCA búkka. Confrontando l’ital. pélo col sd. pílu o bócca con búkka si coglie la caratteristica essenziale del vocalismo del sardo: il mantenimento dei timbri originari del latino dopo la perdita della quantità.
Il meccanismo della metafonia Si deve osservare che in sardo la presenza di una è aperta (come nel caso di bène “bene”) o di é chiusa (come in akétu “aceto”), così come di ò aperta (come in òtto “otto”) o di ó chiusa (come in pórku “porco”) è un qualcosa che non ha niente a che fare con l’originaria situazione latina. Siamo invece in presenza di un meccanismo interno al sardo: le e e le o che portano l’accento sono realizzate chiuse se, nelle sillabe che seguono, è presente una vocale chiusa, cioè i od u. Ad es. béni “vieni!”, prénu “pieno”, póḍḍine “fior di farina”, bónu “buono” etc.
Le e e le o che portano l’accento sono invece realizzate aperte in tutti gli altri casi: ad es. bènnere “venire”, kèra “cera”, bène “bene”, bòna “buona”, bònos “buoni” etc. Il fenomeno appena descritto, per il quale l’apertura o la chiusura di una e od o sotto accento è determinata meccanicamente dal tipo di vocale che segue, prende il nome di metafonia ed è presente «in tutti i dialetti genuinamente sardi» (M. L. Wagner). La metafonia, assente nel sassarese e nel gallurese (dialetti italiani), è presente nell’italiano regionale di Sardegna. [N.B.: più avanti vedremo che, per intendere il funzionamento della metafonia in campidanese, sono necessarie alcune precisazioni]
Adattamenti proporzionali Da tempo i Sardi hanno una conoscenza intuitiva delle particolarità del vocalismo della loro lingua in paragone con quello delle altre parlate romanze con le quali sono venuti in contatto: in particolare, limitando il discorso all’italiano, di corrispondenze del tipo sd. pílu~ ital. pélo, sd. búkka~ ital. bócca. È successo e succede, in questo modo, che quando una parola è presa in prestito dall’italiano, e presenta una é o una ó in sillaba accentata, queste possano essere adattate al vocalismo del sardo: così, ad es., l’ital. allegro è stato adattato nel sd. allígru, treccia in tríttsa o tríčča, borgo in búrgu, torta in túrta etc.
Le vocali finali in campidanese In logudorese (ossia nel sardo centro-settentrionale) restano ben distinte le vocali -e ed -i finali, così come le -o e le -u finali: per es., káne “cane”, kánes “cani”, dèke, dèǥe “dieci” (con -e già in lat.), ma bínti “vénti” (con -i già in lat.); bónu “buono” (con -u già in lat.), ma bònos “buoni”, dòmo “casa”, òtto “otto” (con -o già in lat.). In campidanese (ossia nel sardo centro-meridionale) le cose vanno diversamente, in quanto in sillaba finale -e passa ad -i, -o passa ad -u: le forme per “cane”, “cani” sono dunque káni, kánis, per “dieci” dèži, per “buoni” bònus, per “casa” dòmu, per “otto” òttu (le altre per “vénti” e “buono” sono uguali a quelle del logudorese). [Nella carta linguistica di M. Virdis, alla diapositiva 15, si veda l’isoglossa n. 2: tutte le località a sud di essa conoscono il fenomeno descritto]
Apparenti eccezioni alla metafonia Occorre rilevare ora un fatto importante: si noterà che in camp. la e di dèži e la o di òttu sono aperte, nonostante siano seguite da i e da u, vocali chiuse, ragione per la quale attenderemmo una loro pronuncia chiusa (secondo la regola della metafonia). In realtà, l’eccezione è solo apparente, perché in campidanese e ed o si pronunciano aperte anche quando sono seguite da i e da u solo quando queste ultime vocali provengano da e e da o più antiche: per es., òttu viene dal lat. OCTO, che aveva in sillaba finale una -o (conservata in logudorese: òtto), che solo in un secondo momento è passata ad -u; se invece la -u fosse stata originaria, la o sarebbe stata chiusa (come in bónu “buono”).
Prostesi in logudorese Un fenomeno caratteristico del logudorese, ma assente nel campidanese, è lo sviluppo, davanti alle parole che iniziavano con s seguita da consonante, di una i- cosiddetta prostetica (prostesi significa “aggiunta”). Per es., dal lat. SCALA si ha in log. iskála “scala” (ma in camp. skála), da SPICA centr. ispíka, log. ispíǥa (ma camp. spíǥa), da STARE log. istare (ma camp. stai). La carta linguistica nella diapositiva 15, con la isoglossa n. 8, divide la Sardegna in due zone: quella a nord della linea conosce il fenomeno descritto, quella a sud ne è priva.
Prostesi in campidanese In campidanese, però, si incontra un tipo di prostesi diverso: le parole che originariamente iniziavano con r- inseriscono davanti a questa consonante una vocale, con la r- che si raddoppia. Per es.: lat. RANA dà in camp. arrána (in log. rána). La situazione più diffusa in campidanese è quella con a- come vocale di prostesi; nei dialetti barbaricini meridionali, tuttavia, si possono avere anche altre vocali: per es., ital. ricco dà camp. arríkku (ma anche, in certe zone, erríkku, irríkku; in log. ríkku); lat. ROTA dà camp. arròđa (ma anche orròđa; in log. ròta, ròđa). Si veda la carta linguistica nella diapositiva 15, con la isoglossa n. 9 (le località a sud di essa conoscono questo tipo di prostesi).
Vocali paragogiche in sardo Il sardo è una lingua in cui le parole terminano spesso in consonante (il pl., ad es., si forma con -s; -t è la desinenza verbale di 3a persona sg., etc.). Quando, nel parlato, una parola che termina in consonante è seguita da una pausa, allora si aggiunge una vocale di appoggio in finale (detta vocale paragogica): per es. íssu “egli” + est “è” verrà realizzato íssu èste (con la e sottolineata che è vocale paragogica). Si osservi che la vocale paragogica ha lo stesso timbro di quella che precede la consonante finale: per es. sos pòrkoṡo, sas féminaṡa etc.
Breve bibliografia M. Contini, Étude de géographie phonétique et de phonétique instrumentale du sarde, Alessandria 1987. M. Virdis, Aree linguistiche, in G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmitt (a cura di), Lexikon der Romanistischen Linguistik, Tübingen 1988, pp. 897-913. M. L. Wagner, Fonetica storica del sardo, Cagliari 1984.