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Sant’Ambrogio di Giuseppe Giusti

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Sant’Ambrogio di Giuseppe Giusti

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Presentation Transcript


  1. Per i 150 anni dell’unità d’Italia, noi ragazzi della 2^ C abbiamo preparato una presentazione in PowerPoint che ripercorre – a grandi maglie – gli eventi storici più importanti del Risorgimento, dalla fine del Congresso di Vienna del 1815 all’estate del 1871, quando Roma divenne capitale d’Italia. Nella presentazione al pubblico abbiamo recitato delle poesie risorgimentali molto note, alcune scritte da patrioti come Luigi Mercantini e Arnaldo Fusinato, che crearono le loro opere con lo stesso impegno con cui lottarono per la realizzazione dei loro ideali politici.

  2. 1. Nel 1814 i rappresentanti degli Stati europei si riuniscono in un congresso a Vienna, per decidere quale organizzazione dare all’Europa dopo la sconfitta di Napoleone. In Italia, l’Austria ottiene il Lombardo-Veneto e il controllo dei Ducati di Parma, Modena e Reggio e Toscana.

  3. Sant’Ambrogio di Giuseppe Giusti La lirica prende spunto da un fatto realmente accaduto: mentre si trovava a Milano, ospite di Alessandro Manzoni,Giuseppe Giusti fece visita alla basilica di sant’Ambrogio, al cui interno s’imbatté in un gruppo di soldati austriaci che a quei tempi occupavano il Lombardo-Veneto. Ad un primo sentimento di repulsione nei confronti dell’oppressore, si sostituisce una certa compartecipazione alla sorte di quei soldati che, lontani dalla patria, sono ridotti - forse loro malgrado - a strumento di sopraffazione. Il canto intonato da quei soldati suscita nel poeta una commozione inaspettata, da cui scaturisce una riflessione profonda sulla sorte dei popoli che spesso sono soltanto delle marionette nelle mani di chi detiene il potere.

  4. Vostra Eccellenza, che mi sta in cagnescoper que’ pochi scherzucci di dozzina,e mi gabella per anti-tedescoperché metto le birbe alla berlina,o senta il caso avvenuto di frescoa me che girellando una mattinacàpito in Sant’Ambrogio di Milano,in quello vecchio, là, fuori di mano. Entro, e ti trovo un pieno di soldati,di que’ soldati settentrionali,come sarebbe Boemi e Croati,messi qui nella vigna a far da pali:difatto se ne stavano impalati,come sogliono in faccia a’ generali,co’ baffi di capecchio e con que’ musi,davanti a Dio, diritti come fusi.

  5. Mi tenni indietro, ché, piovuto in mezzodi quella maramaglia, io non lo negod’aver provato un senso di ribrezzo,che lei non prova in grazia dell’impiego.Sentiva un’afa, un alito di lezzo;scusi, Eccellenza, mi parean di sego,in quella bella casa del Signore,fin le candele dell’altar maggiore.

  6. Ma, in quella che s’appresta il sacerdotea consacrar la mistica vivanda,di sùbita dolcezza mi percuotesu, di verso l’altare, un suon di banda.Dalle trombe di guerra uscian le notecome di voce che si raccomanda,d’una gente che gema in duri stentie de’ perduti beni si rammenti.

  7. Era un coro del Verdi; il coro a DioLà de’ Lombardi miseri, assetati;quello: “O Signore, dal tetto natio”,che tanti petti ha scossi e inebriati. Qui cominciai a non esser più ioe come se que’ còsi doventatifossero gente della nostra gente,entrai nel branco involontariamente.

  8. Che vuol ella, Eccellenza, il pezzo è bello,poi nostro, e poi suonato come va;e coll’arte di mezzo, e col cervellodato all’arte, l’ubbie si buttan là.Ma, cessato che fu, dentro, bel bello,lo ritornava a star come la sa;quand’eccoti, per farmi un altro tiro,da quelle bocche che parean di ghiro, un cantico tedesco, lento lentoper l’aer sacro a Dio mosse le penne;era preghiera, e mi parea lamento,d’un suono grave, flebile, solenne,tal, che sempre nell’anima lo sento:e mi stupisco che in quelle cotenne,in que’ fantocci esotici di legno,potesse l’armonia fino a quel segno.

  9. E, quando tacque, mi lasciò pensosodi pensieri più forti e più soavi.Costor, – dicea tra me, – re paurosodegli’italici moti e degli slavi,strappa a’ lor tetti, e qua, senza ripososchiavi li spinge, per tenerci schiavi;gli spinge di Croazia e dli Boemme,come mandre a svernar nelle maremme.

  10. A dura vita, a dura disciplina,muti, derisi, solitari stanno,strumenti ciechi d’occhiuta rapina,che lor non tocca e che forse non sanno;e quest’odio, che mai non avvicinail popolo lombardo all’alemanno,giova a chi regna dividendo, e temepopoli avversi affratellati insieme. Povera gente! lontana da’ suoi;in un paese, qui, che le vuol male,chi sa, che in fondo all’anima po’ poi,non mandi a quel paese il principale!Gioco che l’hanno in tasca come noi.Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale,colla su’ brava mazza di nocciòlo,duro e piantato lì come un piolo.

  11. 2. Le decisioni prese dal Congresso di Vienna causano ribellioni in molti Paesi perché sono decisioni che non rispettano la storia e la volontà dei popoli. I moti, organizzati da società segrete come la Carboneria e la Giovine Italia di Mazzini, non hanno successo e causano la morte di molte persone.

  12. La spigolatrice di Sapri di Luigi Mercantini Una giovane donna che si reca nei campi a raccogliere le spighe di grano lasciate dai mietitori assiste allo sbarco dei trecento volontari guidati da Carlo Pisacane. Tale spedizione, voluta da Mazzini e avvenuta a Sapri, si proponeva di liberare il Napoletano dai Borboni. Il progetto fallì miseramente: Pisacane fu ucciso con molti compagni, mentre altri furono fatti prigionieri e processati.

  13. Me ne andavo un mattino a spigolarequando ho visto una barca in mezzo al mare:era una barca che andava a vapore,e alzava una bandiera tricolore.All’isola di Ponza si è fermata,è stata un poco e poi si è ritornata;s’è ritornata ed è venuta a terra;sceser con l’armi, e noi non fecer guerra. Sceser con l’armi, e a noi non fecer guerra,ma s’inchinaron per baciar la terra.Ad uno ad uno li guardai nel viso:tutti avevano una lacrima e un sorriso.Li disser ladri usciti dalle tane:ma non portaron via nemmeno un pane;e li sentii mandare un solo grido:Siam venuti a morir pel nostro lido. Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

  14. Con gli occhi azzurri e coi capelli d’oroun giovin camminava innanzi a loro.Mi feci ardita, e, presol per la mano,gli chiesi: – dove vai, bel capitano? - Guardommi e mi rispose: – O mia sorella,vado a morir per la mia patria bella. -Io mi sentii tremare tutto il core,né potei dirgli: – V’aiuti ‘l Signore! -

  15. Quel giorno mi scordai di spigolare,e dietro a loro mi misi ad andare:due volte si scontraron con li gendarmi,e l’una e l’altra li spogliar dell’armi.Ma quando fur della Certosa ai muri,s’udiron a suonar trombe e tamburi,e tra ‘l fumo e gli spari e le scintillepiombaron loro addosso più di mille. Eran trecento non voller fuggire,parean tremila e vollero morire;ma vollero morir col ferro in mano,e avanti a lor correa sangue il piano;fin che pugnar vid’io per lor pregai,ma un tratto venni men, né più guardai;io non vedeva più fra mezzo a loroquegli occhi azzurri e quei capelli d’oro.Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti!

  16. 3. Il 1848 è un anno di grandi cambiamenti in molti Paesi europei. A Venezia e a Milanoi cittadini combattono per le strade con grande coraggio. I Milanesi costringono i soldati austriaci a lasciare la città dopo cinque giorni di scontri, le famose CinqueGiornate. Il Piemonte di Carlo Alberto si pone alla testa della Prima guerra di indipendenza contro l’Austria.

  17. Marzo 1821 di Alessandro Manzoni L’ode, forse pensata e costruita mentalmente nel 1821, ma composta nel 1848, riflette la gioia di chi vede ormai compiuto il processo di liberazione dell’Italia intera, non solo della Lombardia, dalla dominazione straniera.

  18. Soffermàti sull'arida sponda.vòlti i guardi al varcato Ticino,tutti assorti nel novo destino .certi in cor dell'antica virtù.han giurato: Non fia che quest'onda scorra più tra due rive straniere;non fia loco ove sorgan barrieretra l'Italia e l'Italia, mai più!

  19. L' han giurato: altri forti a quel giurorispondean da fraterne contrade.affilando nell'ombra le spade che or levate scintillano al sol.Già le destre hanno stretto le destre;già le sacre parole son porte:o compagni sul letto di morte.o fratelli su libero suol

  20. Chi potrà della gemina Dora,della Bormida al Tanaro sposa,del Ticino e dell’Orba selvosascerner l’onde confuse nel Po; chi stornargli del rapido Mellae dell’Oglio le miste correnti,chi ritogliergli i mille torrentiche la foce dell’Adda versò,Quello ancora una gente risorta potrà scindere in volghi spregiati,e a ritroso degli anni e dei fati,risospingerla ai prischi dolor;una gente che libera tutta,o fia serva tra l’Alpe ed il mare; una d’arme, di lingua, d’altare,di memorie, di sangue e di cor.

  21. Con quel volto sfidato e dimesso,con quel guardo atterrato ed incerto,con che stassi un mendico sofferto per mercede nel suolo stranier,star doveva in sua terra il Lombardo;l’altrui voglia era legge per lui;Il suo fato, un segreto d’altrui;la sua parte, servire e tacer.

  22. O stranieri, nel proprio retaggiotorna Italia, e il suo suolo riprende;o stranieri, strappate le tendeda una terra che madre non v’è.Non vedete che tutta si scote, dal Cenisio alla balza di Scilla?Non sentite che infida vacillasotto il peso de’ barbari piè?

  23. O stranieri! sui vostri stendardista l’obbrobrio d’un giuro tradito; un giudizio da voi proferitov’accompagna all’iniqua tenzon;voi che a stormo gridaste in quei giorni:Dio rigetta la forza straniera;ogni gente sia libera, e pèra della spada l’iniqua ragion.

  24. Cara Italia! dovunque il dolentegrido uscì del tuo lungo servaggio;dove ancor dell’umano lignaggio ogni speme deserta non è;dove già libertade è fiorita,dove ancor nel segreto matura,dove ha lacrime un’alta sventura,non c’è cor che non batta per te. Oggi, o forti, sui volti baleniIl furor delle menti segrete: per l’Italia si pugna, vincete!Il suo fato sui brandi vi sta.O risorta per voi la vedremoal convito de’ popoli assisa,o più serva, più vil, più derisa sotto l’orrida verga starà.

  25. Oh giornate del nostro riscatto!Oh dolente per sempre coluiche da lunge, dal labbro d’altrui,come un uomo straniero, le udrà! che a’ suoi figli narrandole un giorno,dovrà dir sospirando: io non c’era;che la santa vittrice bandierasalutata quel dì non avrà.

  26. 4. La guerra si conclude senza successo. Carlo Alberto lascia il suo posto al figlio VittorioEmanuele II, che firma la pace con l’Austria. A Roma e a Venezia, dove nel 1848 sono nate delle repubbliche, ritornano i governi di prima.

  27. L’ultima ora di Venezia di Arnaldo Fusinato La poesia ricorda l’eroica resistenza di Venezia contro gli Austriaci. Il 16 marzo 1848 Venezia insorse contro l’Austria, precedendo di due giorni le Cinque Giornate di Milano. Stremata dalla fame e dalle malattie, la città veneta dovette chiedere la resa il 19 agosto dell’anno successivo e il giorno 22 veniva firmata la capitolazione, che riportava la gloriosa Repubblica sotto la soggezione austriaca.

  28. Fra i rotti nugoli dell’occidente il raggio perdesi del sol morente e mesto sibila per l’aria bruna l’ultimo gemito della laguna. E’ fosco l’aere, il cielo è muto ed io sul tacito veròn seduto in solitaria malinconia ti guardo e lagrimo Venezia mia!

  29. Passa una gondola della città: -Ehi, della gondola, qual novità? -Il morbo infuria il pan ci manca sul ponte sventola bandiera bianca! Venezia! L’ultima ora è venuta; illustre martire, tu sei perduta… il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca!

  30. Ramingo ed esule in suol straniero, vivrai, Venezia, nel mio pensiero; vivrai nel tempio qui del mio cuore come l’immagine del primo amore. Ma il vento sibila, ma l’onda è scura ma tutta in tenebre è la natura: le corde stridono, la voce manca… sul ponte sventola bandiera bianca!

  31. 5. Con un’abile politica diplomatica, nel 1858, Cavour firma un accordo con l’imperatore francese Napoleone III, ottenendo l’appoggio della Francia nella Seconda guerra di indipendenza contro l’Austria. Al termine del conflitto, il regno sabaudo conquista la Lombardia, ma non il Veneto. Nel 1860, grazie alla spedizione dei Mille, Garibaldi conquista prima la Sicilia, poi il Sud della penisola, arrivando fino a Napoli.

  32. A levante di Genova è una villanascosta negli aranciQui, tra l’ombre appiattato,Come un ladro in agguato,L’Eroe attese. E vennero a drappelli,Cauti, furtivi, con taciti lanci,Intorno a lui nell’alberata fossa;e tutti aveano la camicia rossa,e tutti erano belli. E giovinetti: da città e da montiscesi, da tutte bande;lasciando nelle case le fanciulle,le madri, i vecchi tremuli e le culle,portando in fondo al cuoreIl sogno d’una Italia ottima e grandee una sete di vincere infinita:sdegnosi d’ogni umano bene, prontia donare la vitacome si dona un fiore.

  33. Erano mille appenai giovinetti araldidella fortuna italica nascente:mille, contro un esercito potentearmato di cannoni.Mille inermi … Che importa?Avevano un coraggio da leoni.Era con loro l’anima risortadei martiri sepolti, e la serenaforza di Garibaldi!

  34. Notte odorosa e tiepida di maggiobella come nessuna!In mezzo al cielo nitida e rotondacampeggiava la luna.Sotto il soave raggiocon Garibaldi scesero alla sponda;E laggiù, fremebondi come schiaviin catene, battean le carabinecontro la roccia risonante. E alfineebbero le due navi.E salpavano. E via per le tranquilleserenità, sotto la bianca luna,incontro alla fortunaNuova d’Italia!.

  35. 6. Nel 1861 nasce il Regno d’Italia; la sua prima capitale è Torino. Il Veneto sarà unito all’Italia nel 1866 con la Terzaguerra di indipendenza, Roma sarà unita nel 1870, le zone di Trento e Trieste saranno unite con la Prima guerra mondiale del 1915-18. Nel 1871Roma diventa la nuova capitale del Regno d’Italia.

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