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11. Amministrazione, liquidazione e chiusura. Lezione n. 11 di diritto fallimentare Anno accademico 2012/2013. L’esercizio provvisorio, funzione. L’esercizio provvisorio non è più funzionale alla
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11. Amministrazione, liquidazione e chiusura Lezione n. 11 di diritto fallimentare Anno accademico 2012/2013
L’esercizio provvisorio, funzione L’esercizio provvisorio non è più funzionale alla liquidazione (conservazione del valore del bene e della sua efficienza fino alla vendita), ma alla vera e propria continuità dell’impresa (104). E’ al contrario funzionale alla espropriazione l’affitto d’azienda, solo che si pensi al procedimento ad evidenza pubblica nella scelta dell’affittuario (art. 104 bis).
Presupposto Il presupposto è il grave danno (anziché l’originario “grave e irreparabile danno”) per il patrimonio, sempre con attenzione particolare alla tutela dei creditori. Il problema nasce dalla circostanza che dalla gestione provvisoria nascono crediti prededucibili, che riducono l’attivo patrimoniale e dunque possono pregiudicare i creditori.
Il parere del comitato Resta, come già nel previgente art. 90, la necessità del parere favorevole del comitato dei creditori, il quale deve rinnovarlo– per la delicatezza – ogni tre mesi e può sollecitare l’interruzione della continuazione con istanza al giudice delegato (art. 104, 3° e 4° comma).
L’autorizzazione del tribunale e del giudice delegato L’esercizio provvisorio può essere disposto dal tribunale in sentenza, se non autorizzato in sentenza può esserlo dal giudice delegato su proposta del curatore
Cautele Per la delicatezza dovuta all’insorgere di crediti in prededuzione (art. 104, 8° comma), sono introdotte cautele: • il periodico rinnovo del parere del comitato e l’iniziativa contraria in ogni momento del comitato stesso; • la presentazione di un rendiconto semestrale del curatore (art. 104, 5° comma); • la possibilità del tribunale di ordinare la cessazione dell’esercizio provvisorio, d’ufficio o su iniziativa del curatore (art. 104, 6° comma).
L’affitto di azienda L’affitto d’azienda è invece funzionale alla liquidazione (art. 104 bis, 1° comma: “quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti della stessa”). Ne è prova che la scelta dell’affittuario è effettuata con procedimento ad evidenza pubblica, sul modello della vendita forzata (art. 104 bis, 2° comma), sulla base di parametri che non sono solo l’ammontare del canone, ma anche le garanzie prestate.
Autorizzazione L’autorizzazione è concessa dal solo giudice delegato, su proposta del curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori (art. 104 bis, 1° comma). In caso di urgenza, si può provvedere all’affitto di azienda, ancor prima dell’elaborazione del programma di liquidazione.
I contenuti del contratto Ai sensi dell’art. 104 bis, 3°, 4° e 6° comma, si introducono regole speciali al contratto: - durata compatibile alle finalità liquidatorie; - diritto di recesso unilaterale del curatore, salvo giusto indennizzo prededucibile; - previsioni di idonee garanzie per l’adempimento degli obblighi; - facoltà del curatore di effettuare ispezioni; - in caso di retrocessione, esonero dalla procedura dei debiti maturati sino alla retrocessione. In caso di mancata previsione della regola speciale è da ritenersi nullo il patto contrattuale contrario ex art. 1419 c.c.
La prelazione Ai sensi dell’art. 104 bis, 5° comma, stante la scelta dell’affittuario mediante procedimento ad evidenza pubblica, a quest’ultimo può essere concessa prelazione, su autorizzazione del G.D. e parere favorevole del comitato. In tal caso, determinato il prezzo, il curatore ne fa comunicazione all’affittuario il quale può esercitare il diritto di acquisto entro 5 giorni.
La liquidazione atomistica La liquidazione era originariamente suggestionata dalle regole dell’esecuzione individuale, con la conseguenza di una liquidazione frammentata ed atomistica dei beni, nonostante che la sentenza dichiarativa di fallimento, uno actu, colpisse l’universalità dei beni da un vincolo giuridico pari a quello del pignoramento (e non vi fossero pertanto singoli atti autonomi destinati ciascuno a pignorare un particolare bene, mobile, immobile o credito, secondo la netta tripartizione tradizionale dei beni)
Il problema della liquidazione dell’azienda, di situazioni e di azioni Ne risultava impossibile la liquidazione unitaria della universalità di beni di cui è costituito il patrimonio dell’imprenditore, particolarmente dell’azienda o di un ramo di essa, oppure la liquidazione di situazioni soggettive, come diritti, obblighi o rapporti aggregati sinanchead azioni giurisdizionali. Ciò, nel primo caso, perché non era contemplata la vendita uno actudell’azienda e nel secondo caso per la mancata previsione di un’espropriazione dei beni immateriali nella varia espressione originata dai rapporti commerciali ed economici
La potenzialità della sentenza di fallimento Il richiamo all’esecuzione individuale impediva di sfruttare nella sua pienezza la potenzialità di efficacia della sentenza che dichiara il fallimento destinata a produrre un vincolo materiale e giuridico, uno actu, su tutti i beni e componenti attive del patrimonio dell’imprenditore, anche immateriali, e dunque avrebbe potuto essere seguito da un atto conclusivo dell’espropriazione, la vendita, ove ancora uno actu, fosse possibile la liquidazione dei beni nel loro complesso organizzato per i valori intrinseci dell’avviamento che ne discendono, compresi i beni immateriali.
La reazione della prassi Facendo leva sull’art. 106, 2° comma, nel tenore previgente, che ammetteva la vendita in massa di beni mobili, con una forzatura estrema nella norma, la giurisprudenza ebbe a perfezionare, come modalità liquidatoria, la cessione forzata dell’azienda, intesa come universalità dei beni organizzata dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa ex art. 2555 c.c.
La centralità del giudice Il richiamo al modello dell’esecuzione individuale, poi, con una maggiore discrezionalità sancita dalle norme di richiamo della legge fallimentare nel tenore previgente (art. 106, 1° comma e 108, 1° comma) attenuava fortemente il ruolo ed i poteri del curatore nella gestione e liquidazione a favore del giudice.
Vendita - ripartizione Dell’esecuzione, infine, si attingeva il modello bifasico vendita-ripartizione, senza adottare modelli più avanzati come, ad esempio, come effetto della cessione forzata dell’azienda o come oggetto diretto della stessa, la cessione di debiti o di rapporti del fallimento a terzi, i quali anziché soddisfarsi in sede di riparto avrebbero avuto agio di agire nei confronti di un terzo cessionario del debito
La riforma Con la riforma, cogliendo le potenzialità degli effetti della sentenza, si è • superato il modello atomisticoe la scarsa sensibilità verso i beni immateriali, • accentuando il ruolo del curatore (a scapito del giudice)nelle scelte programmatiche contenute nel regolamento di liquidazione ex art. 104 ter e nei singoli atti esecutivi, autorizzati preventivamente in sede di regolamento di liquidazione, • superandosi il modello vendita liquidazione.
L’oggetto della liquidazione. La vendita dell’azienda, di situazioni, di azioni Ne è risultato l’abbandono del modello atomistico nella vendita forzata, mediante più efficienti forme di vendita dell’azienda (art. 105) o di ramo di essa oppure di beni immateriali, come rapporti giuridici in blocco (art. 106), situazioni attive o passive, azioni revocatorie, nella prospettiva di una soddisfazione dei creditori mediante adempimento da parte di terzi, con accollo dei debiti. Forme queste tutte da esperire con preferenza rispetto ad ogni altra di carattere frazionato ed atomistica (art. 105, 1° comma).
L’accollo dei debiti L’accollo dei debiti pone il grave problema costituito dal rispetto della par condicio creditorum, poiché in caso di cessione parziale alcuni creditori potrebbero essere soddisfatti senza la falcidia fallimentare, perché pagati integralmente da un terzo, a differenza degli altri non ceduti soggetti alla falcidia dei riparti, per cui il curatore nell’operare tale forma di liquidazione deve prestare attenzione ad un trattamento proporzionalmente identico alle due categorie di creditori, negli accordi con il terzo.
La cessione dei crediti La cessione dei crediti come modalità di liquidazione fuori dalla cessione dell’azienda e come effetto di essa, evidenzia l’opportunità di un abbandono a terzi delle azioni per il recupero del credito. A riprova della scarsa propensione del fallimento ad introdurre azioni, è l’ipotesi del mandato a terzi per la riscossione dei crediti e della cessione dell’azione revocatoria concorsuale (art. 106, 1° e 3° comma)
La cessione delle azioni revocatorie L’istituto noto solo nel concordato fallimentare con assunzione nel tenore pre-riforma, oggi non solo è patto del concordato, ma modalità di liquidazione fallimentare. Con la cessione non si cede in realtà il bene oggetto dell’atto di disposizione da revocare, ma si anticipa la liquidazione del bene quale effetto dell’accoglimento dell’azione revocatoria, per cui l’acquirente in vendita forzata acquista il bene con un contratto aleatorio condizionatamente all’esito dell’azione, di cui diventa protagonista. In tale veste egli può intervenire ex art. 111 c.p.c. nella controversia. Sono cedibili solo le azioni revocatorie già introdotte dalla procedura, onde evitare il mercato tra acquirente dell’azione e terzo contraente.
La cessione indiretta ai creditori L’art. 105 prevede una modalità di cessione originale mediante conferimento ad una società, con conseguante cessione più attenuata sul piano fiscale delle quote (art. 105, 8° comma). L’ istituto si presenta come alternativo alla gestione provvisoria o all’acquisto dell’azienda, facendo ricadere sul terzo gli effetti perversi dei crediti in prededuzione. L’istituto può ingenerare una capitalizzazione del credito ovvero una cessione a favore dei creditori delle quote della società ed è alternativo al trust che costituisce una modalità di intestazione dei beni fuori dalla procedura con un mandato fiduciario alla loro liquidazione.
Il ruolo centrale del curatore Ai sensi dell’art. 107, 1° comma, il curatore ha un ruolo centrale nelle modalità degli atti di liquidazione, a discapito dell’originaria prerogativa ed iniziativa del giudice delegato ed il comitato ha un ruolo di coprotagonista nell’approvazione del programma di liquidazione. Il giudice delegato conserva la prerogativa solo di verificare la compatibilità del singolo atto liquidatorio con il programma di liquidazione (art. 104, ter, u.c.) e l’eventuale potere ex art. 108 di sospendere le operazioni di vendita e/o il perfezionamento della vendita per “gravi e giustificati motivi” oppure quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, su istanza del fallito, del comitato dei creditori e di altri interessati, ma può riacquistare prerogative nell’alternativa offerta dall’art.107, 2°comma, laddove il curatore può provvedere secondo le disposizioni del libro III del c.p.c.
Il potere discrezionale del curatore Il potere discrezionale del curatore è limitato solo dall’inclusione dell’atto liquidatorio nel programma, autorizzato con l’approvazione del comitato, non ha limiti di forma e contenuto, salvo (art. 107, 1° comma): • la determinazione del prezzo con l’ausilio di uno stimatore; • l’uso di forme di pubblicità della gara; • l’adozione di un procedimento di gara ad evidenza pubblica; • informare giudice delegato e comitati all’esaurimento delle operazioni con l’aggiudicazione (art. 107, 5° comma).
La vendita confluenza dell’affitto L’art. 104- bis, nel prevedere il patto di prelazione nella vendita a favore dell’affittuario, costituisce un ulteriore possibile sviluppo della liquidazione, che esaurisce gli atti del curatore in sede di liquidazione.
Il ritorno all’antico L’art. 107, 2° comma, dovuto alla novella del 2007, è indice pericoloso di restaurazione del potere del giudice delegato, offrendo al curatore la facile alternativa delle forme del libro III (facile perché deresponsabilizza l’organo degli effetti delle scelte discrezionali)
Il riparto L’art. 110, 1° comma sancisce l’obbligo del riparto parziale ogni 4 mesi, per attenuare gli effetti della sospensione degli interessi per la dilazione, salvo: • il trattenimento del 20% per spese o imprevisti; • il trattenimento di quanto è risultato di una sentenza non ancora passata in giudicato; • il trattenimento di quanto necessario per gli esiti ancora non esauriti dell’accertamento del passivo (perché riservati, perché accertati ma soggetti a impugnazione, perché non accertati ma con decreto opposto, quando sono già accertati da provvedimento sommario o da sentenza).
riparto e stato passivo Nel riparto il curatore deve attenersi alle risultanze dello stato passivo quanto ad esistenza,quantificazione e rango. Salvo quei creditori che beneficiano di un’ipoteca offerta dall’imprenditore come terzo datore, questi non sono soggetti ad accertamento perché non sono creditori e quindi le eventuali contestazioni sul collocamento sono risolte con il reclamo avverso gli atti del curatore (art. 36)
procedimento di riparto, art. 110 Elaborato, viene ordinato dal giudice delegato il suo deposito, che viene comunicato a tutti i creditori, anche quelli non ancora accertati ma con procedimento di accertamento in corso: questi possono entri 15 giorni reclamare ex art. 36 solo per motivo di legittimità.
esecuzione Le modalità di pagamento, art. 115, le fissa il giudice delegato; in difetto di richiesta del creditore, le somme vengono depositate. Entro cinque anni, senza formalità di riapertura del fallimento, in difetto di richiesta dell’avente diritto, è consentita l’istanza di un qualunque creditore e il riparto viene operato senza formalità salvo il contraddittorio con provvedimento del giudice delegato (art. 117)
Rendiconto prodromico alla chiusura Il curatore mandatario nella gestione e liquidazione deve presentare un rendiconto non semplicemente contabile (mediante la predisposizione di un bilancio) ma della gestione (mediante analitica prospettazione delle attività e dei loro risultati documentati), art. 116, 1° comma. Il giudice delegato non ha alcun potere di intervento sul rendiconto se non sollecitato da una contestazione di un creditore. A tale fine viene ordinato il deposito in cancelleria, fatta comunicazione ai creditori da parte del curatore e fissata un’ udienza nella quale le contestazioni possono essere espresse all’interno di un procedimento camerale puro.
Chiusura Casi di chiusura (art. 118):- mancata presentazione di domande di accertamento del credito - soddisfacimento in qualsiasi forma di tutti i creditori; - integrale ripartizione dell’attivo patrimoniale liquidato, in mancanza di soddisfazione di tutti i creditori; -inidoneità dell’attivo di soddisfare spese e creditori in prededuzione e tutti gli altri (diversa nozione dell’insufficiente realizzo dell’attivo ex art. 102, ove è previsto anche il soddisfacimento di spese e prededucibili)
Procedimento Con rito camerale puro, mediante decreto del Tribunale su istanza dell’imprenditore fallito, del curatore o d’ufficio, art. 119. Il decreto è reclamabile alla Corte e poi ricorribile per cassazione. Efficacia dal passaggio in giudicato e pubblicazione come la sentenza ai sensi dell’art. 17.
Effetti, art. 120 Cessazione immediata degli effetti personali (senza necessità di riabilitazione) e patrimoniali per il fallito, che perciò ritorna in bonis, 1° comma. Reviviscenza delle azioni individuali dei creditori e terzi, salvo l’esdebitazione e inutilizzabilità dei giudicati, 3° comma (potendo usare l’accertamento del passivo come titolo per l’emissione di un d.i., 4° comma). Improcedibilità delle azioni che derivano dal fallimento, salvo il reclamo avverso la sentenza che dichiara il fallimento (per la sua efficacia ex tunc), 2° comma
esdebitazione Beneficio dell’imprenditore individuale, presupposti soggettivi art. 142 (collaborazione nn.1, 2 e 5; non recidivo, n. 4; rispettato i limiti alla corrispondenza, n. 3; non sia stato condannato ai delitti fallimentari, n. 6). Presupposti oggettivi: soddisfazione parziale dei creditori, 2° comma. Esclusioni, 3° comma (crediti alimentari; danni da fatto illecito e sanzioni). Salvezza delle garanzie di terzi. Procedimento, 143 (litisc. necessario Corte cost. n. 181/2008), incidentale o autonomo in camerale puro, decreto reclamabile. Effetti, 143, 1° comma e 144, solo inesegibilità e non estinzione della obbligazione, l’adempimento spontaneo.
Riapertura (art. 121) Se avvenuta ai sensi dei nn. 3 e 4 dell’art. 118 la chiusura, entro 5 anni può riaprirsi su istanza di un creditore o dell’imprenditore, quando risulti utile (pagamento del 10% dei creditori). Effetti che tengono conto del precedente fallimento, 122 (liquidazioni e accertamento del passivo); Effetti che non ne tengono conto 123 (revocatorie, nuovi termini salvo atti a titolo gratuito), 121, 2° comma, nuovo accertamento del passivo, 5° comma, nomina Comitato creditori)