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STRANIERI E SCUOLA . Integrazione e convivenza in una società che cambia Cesare Rosso. Il territorio torinese e l’approccio al fenomeno.
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STRANIERI E SCUOLA Integrazione e convivenza in una società che cambiaCesare Rosso
Il territorio torinese e l’approccio al fenomeno Torino città Romana, Torino Città Olimpica, Torino Capitale Tecnologica, Torino capitale dell’auto, Torino prima capitale d’Italia, Torino Barocca; i mille volti di Torino ci stupiscono e ci affascinano; ci fanno comprendere come una città considerata da molti superficiali “brutta e sporca” come dichiarò la famosissima guida turistica Americana “Fielding’s”, consigliando a turisti e viaggiatori di evitarla perché inquinata e densa di fumi pericolosi, celi una ricchezza intima che deve essere scoperta da intelligenze limpide che riescono ad interpretarla. In quella occasione non fummo salvati da politici o da amministratori locali, tantomeno da accademici o industrali, ma da un certo professor Giorgio Maccagno, docente di prima linea e preside dell’Istituto Professionale per il Turismo Paolo Boselli e dalla Associazione “Immagine Torino” fondata dall’Istituto stesso. Il Prof. Maccagno, accortosi della recensione fornita dalla guida, scrisse alla direzione della stessa, ottenendo una sostanziale inversione di rotta, restituendo a Torino, se non la sua fama antica, per lo meno la sua dignità.
Non a caso il mondo della scuola ha affermato il suo primato culturale a difesa del territorio e della gente che ci vive, ma anche dei monumenti e della storia che quel territorio richiama. Ora ci risiamo; spesso Torino viene più citata per i suoi fatti di cronaca legati all’immigrazione, che non per il suo esempio di città multi-etnica e raro esempio di convivenza tra popoli provenienti da tutto il mondo. Su un piano culturale una delle sfide più impegnative e determinanti per il futuro della nostra città è la progressiva integrazione e istruzione degli stranieri comunitari e non comunitari. La comunità Romena è oramai la prima in ordine numerico in città, scavalcando la comunità Maghrebina, che da decenni deteneva il primato a Torino. Questo dato ci offre uno spunto di riflessione, sia in termini sociologici che antropologici, ma soprattutto diventa primario il bisogno di favorire progressivamente l’accesso a tutti i livelli della scuola e della formazione a sacche di popolazione che reclamano diritti primari come istruzione e lavoro. I giovani stranieri trovano una opportunità di scolarizzazione presso i Centri Territoriali Permanenti di Istruzione per l’età adulta (sul nostro territorio sono ben sette) che svolgono una azione di prima linea nel contattare e avviare al canale dell’istruzione queste utenze. Proprio dalla stretta collaborazione con la Formazione Professionale (tramite Associazioni Temporanee di Scopo) e con i Servizi Sociali del comune sono nate iniziative sperimentali prese a modello anche in altre regioni molto importanti come la Lombardia, dove il fenomeno si comincia a far sentire in modo significativo.
giovani adolescenti con una età compresa tra i 14 e i 18 anni, con un bisogno di istruzione e formazione finalizzato ad un inserimento nella società attraverso una pedagogia basata sul compito, che si concretizza attraverso l’alfabetizzazione e l’acquisizione di una qualifica professionale o alternativamente attraverso un titolo di studio. Questi percorsi sono tralaltro determinati per acquisire il permesso di soggiorno al compimento del diciottesimo anno di età. giovani ed adulti ultra diciottenni, con un bisogno di istruzione e formazione decisamente finalizzato ad un inserimento lavorativo. Abbiamo quindi di fronte uno scenario duplice per quanto riguarda l’utenza straniera:
Il minore e la scuola : la costruzione di una identità comune Per la prima fascia di utenti le disposizioni del Fondo Sociale Europeo 2007-2013 hanno reso il lavoro di formatori e insegnanti ancor più complesso, in quanto i giovani di prima fascia, ovvero con età compresa fra i 14 e i 16 anni non potranno più frequentare i corsi di formazione professionale dedicati alle fasce deboli e ai giovani a rischio, ma necessariamente dovranno frequentare, in uscita dalla scuola media inferiore percorsi di formazione professionale biennali o triennali, avendo come alternativa la scuola superiore (Licei, Istituti Professionali, Licei Tecnologici, Istituti Tecnici). Prima fascia di utenti (14 – 16 anni) Percorsi triennali di Formazione Professionale Istituti Tecnici Istituti Professionali Licei Licei Tecnologici
Questa disposizione ha fatto subito emergere un interrogativo. Riusciranno i 15 enni in uscita dai CTP o dalla scuola media inferiore a reggere l’impatto emotivo con un impegno che, nella migliore della ipotesi , si prefigge il conseguimento di una qualifica biennale? Spesso gli strumenti adottati in percorsi medio-lunghi si sono rivelati insufficienti per far fronte alla dispersione scolastica; in questo caso le preoccupazioni sono amplificate dagli irrigidimenti di legge che prevedono, per un giovane straniero la possibilità di acquisire,al compimento del 18 esimo anno di età un permesso di soggiorno per motivi lavorativo-occupazionali, soltanto se ha seguito un progetto triennale che prevede un anno almeno di scuola dell’obbligo e 2 anni di formazione professionale. Allo stato attuale il pericolo è che ben 400 allievi sulla provincia di Torino non trovino collocazione, in quanto iscritti ai 61 percorsi di formazione professionale triennali finanziati: ne occorrebbero almeno 20 di più per garantire un soddisfacimento della richiesta numerica. I corsi di formazione al lavoro denominati PAL (Preparazione al Lavoro) diventeranno esclusivo appannaggio dei giovani con età compresa tra i 16 e i 18 anni, che possono usufruire di questo percorso per poi collocarsi in azienda tramite i contratti di apprendistato. 15/16 enni Scuola Superiore Formazione Professionale, corsi biennali e destrutturati
Adulti stranieri : il rapporto con la scuola e la formazione Per quanto riguarda l’utenza adulta, ovvero gli ultradiciottenni, la popolazione è costituita in prevalenza da donne che con volontà e tenacia cercano una collocazione che favorisca l’ingresso nel mondo del lavoro dopo il conseguimento di un attestato di qualifica o di frequenza; molti di questi percorsi vengono frequentati contemporaneamente ai corsi dei CTP . Un esempio significativo sono i percorsi modulari per il conseguimento della qualifica OSS (Operatore Socio Sanitario); questo tipo di percorso offre agli allievi buone possibilità di inserimento lavorativo, ma è necessario conseguire la licenza media inferiore per poter accedere alle selezioni, che sono sempre più scrupolose e sotto certi aspetti impietose. Da questo scenario emerge l’importanza di un lavoro svolto in rete con il territorio che porti l’utenza ad un progressivo inserimento socio-lavorativo ed a una integrazione vera di questi soggetti.
Il punto di vista del mondo accademico Aumenta certamente l’interesse rispetto al come gestire situazioni di aula con stranieri presenti nel gruppo classe e anche l’Università come istituzione si interroga su come preparare adeguatamente le generazioni future di insegnanti per svolgere adeguatamente il suo compito. • “La SIS non prevede moduli riguardanti l’argomento “la presenza di ragazzi stranieri in classe”, che non deve essere confuso con l’argomento “insegnamento dell’italiano come lingua seconda”, anch’esso non trattato in alcun modulo.” • “L’inserimento di studenti stranieri nella Scuola è senza dubbio un tema complesso in fase di crescente problematicità. Complicano progressivamente la situazione il numero, in fortissima crescita, degli studenti stranieri che chiedono di frequentare la scuola superiore, la loro scarsa conoscenza della lingua italiana e del sistema scolastico italiano, la non univoca interpretazione della normativa, la generale impreparazione degli insegnanti che non hanno ancora avuto il tempo e il modo di crearsi una specifica competenza sull’argomento.” Così riferiscono la Prof.ssa Lucia Fontanella e il Prof.Giuseppe Noto, docenti della SIS.
La proposta della Prof.ssa Fontanella è dunque di attivare un modulo di 10 ore, in ogni classe di abilitazione, in cui non si proponga agli specializzandi materiale teorico, ma descrizioni di realtà scolastiche, informazioni sulla normativa vigente e sulla realizzazione di convenzioni fra diverse istituzioni, segnalazione dei punti di riferimento sul territorio, del materiale bibliografico, delle strategie di prima accoglienza, delle caratteristiche e delle abitudini (non solo scolastiche) delle principali comunità di stranieri presenti in Piemonte, ecc. ecc. Alla Professoressa Fontanella ed al Prof. Noto, non sfugge il problema di fondo, insuperabile anche dalla normativa più precisa e dalla più attenta preparazione sull’argomento: l’inserimento dei ragazzi stranieri nella Scuola prima di essere un problema tecnico è un problema sociale. Una corretta impostazione tecnica facilita enormemente i percorsi, ma non è sufficiente a risolvere questioni sostanziali, di cui spesso deve farsi carico il singolo docente, di ogni area disciplinare. Accanto a questa prima proposta, una seconda, che riguarda l’attivazione di un laboratorio trasversale di “ Insegnamento dell’ Italiano L2”, per fornire, a chi lo desideri, le basilari nozioni a riguardo. La Professoressa Fontanella e il professor Noto, affermano inoltre che, mentre è facile reperire docenti per il secondo laboratorio citato, occorrerà molta attenzione nell’affidamento del primo incarico. Sono poche infatti le persone che conoscono con precisione la situazione in Piemonte. Tra le altre possibilità i professori Fontanella e Noto, propongono di reperire le ore del modulo (10) diminuendo quelle dei laboratori disciplinari del 2° anno; ad esempio: tre ore di riduzione della geografia, tre della storia, quattro della lingua e della letteratura italiana.
L’approccio sistemico per la gestione del problema Come si può notare le soluzioni anche molto competenti si trasformano in veri contributi che debbono essere recepiti dai dirigenti scolastici, affinché le strategie messe in campo non siano meri esempi di volontariato, ma diventino prassi. E’ necessaria una socializzazione di tutte le proposte e certo si renderà necessario un tavolo di lavoro per apportare le opportune modifiche e aggiustamenti. In questa direzione si è mosso l’assessorato alla formazione professionale della Regione Piemonte che ha già recepito alcune proposte, portandole sul tavolo della commissione ordinamenti didattici. Tocca ora alla scuola pubblica un atto formale di sensibilizzazione e formazione del personale docente su questi temi. Il compito della scuola è quello di sostenere il cittadino straniero affinché lui possa salvaguardare la propria identità, ma acquisendo una capacità adeguata di relazione in grado di favorire una vera integrazione, svincolata dal mero assistenzialismo che ghettizza ancor più le persone. Scuola quindi non soltanto istituzione che elargisce “pezzi di carta” tramite i CTP, ma scuola che crea opportunità di successo e di carriera futura. Questo approccio favorirebbe quel processo che alla Casa di Carità Arti e Mestieri oramai da anni viene definito delle “opportunità stabilizzanti”, ovvero cercare di cogliere in tutti i modi le competenze umane e professionali che le persone hanno portato con sé dal loro paese di origine, per innestarle in un percorso coerente ed in continuum con la loro storia.
IL BILINGUISMOTratto dalla tesi della Dott.ssa Maria Chiara Scudo su Migrazione ed Evoluzione L’italiano per uno straniero che vive in Italia non è una lingua straniera, ma la lingua seconda, cioè parlata nel paese di arrivo e indispensabile per un reale inserimento. Favorire l’apprendimento dell’italiano è un’esigenza imprescindibile per aiutare i ragazzi stranieri nell’integrazione: i migranti vedono nell’apprendimento della lingua seconda uno strumento per non essere emarginati dalla società ospitante, per migliorare la propria situazione lavorativa, un mezzo di aggregazione e di incontro con i pari.
Il bilinguismo sottrattivo indica il caso in cui il soggetto migrante acquisisce una seconda lingua, mettendo però da parte il bagaglio di conoscenze linguistiche precedenti, che non vengono socialmente valorizzate. Avviene così la perdita dei racconti, delle narrazioni, dei giochi di parole, dei canti e delle poesie, che costituisce il costo dovuto alla marginalità linguistica e culturale in cui vivono gli stranieri. Nel bilinguismo aggiuntivo, invece, lo straniero sviluppa una buona competenza della seconda lingua, fortemente valorizzata nel paese di arrivo, pur mantenendo il proprio repertorio linguistico precedente: ha così competenze pari a quelle di un parlante nativo in tutte e due le lingue. Esistono due bilinguismi : un bilinguismo detto aggiuntivo ed uno sottrattivo (G. Favaro, 1992)
Ciascuna lingua corrisponde a un sistema di comunicazione in modo che il soggetto può contare su due registri linguistici e culturali intercambiabili, in rapporto alla situazione e all’interlocutore: di norma la lingua materna è quella utilizzata nell’ambito affettivo, mentre la nuova lingua è preminente nell’ambito cognitivo. Nel caso di un migrante adolescente, bisogna considerare anche il fatto che la sua capacità di apprendimento della lingua seconda è più rapida rispetto a quella di un adulto. Per questo il minore diventa spesso l’interprete esperto per la famiglia immigrata nel risolvere problemi concreti riguardo la lingua (es.compilazione di moduli/certificati…), col rischio di un rovesciamento dei ruoli, di una genitorializzazione dei figli. Da quanto emerge in questo scritto della dottoressa Scudo è inevitabile il confronto con quanto avvenuto ai nostri emigranti italiani che nel dopoguerra si trasferirono nei paesi del Nord -Europa. Alcuni di loro, di fatto, non si sono mai integrati ed hanno usato i figli come interpreti fino al loro rientro in Italia a fine carriera lavorativa. Molti di loro, ritornati alla nazione di origine, furono nuovamente emarginati, perché padroneggiavano correttamente soltanto il dialetto della Regione in cui erano nati.
Verso una identità nuova Fino a pochi anni fa valeva la suddivisione tra giovani italiani e minori stranieri non comunitari, ma oggi queste posizioni vale la pena rivederle. Sempre di più il giovane tenta una integrazione che lo porta a non identificarsi soltanto nel suo gruppo etnico (Romeno, Maghrebino, Albanese, Africano Nero,Ispanico), ma che lo porta a costruire una nuova identità che ruota intorno a gruppi di interesse misto. Gli interessi comuni diventano il catalizzatore che unisce etnie e nazionalità: a volte questo reca con sé anche dei pericoli che celano fenomeni di spaccio organizzato all’interno degli istituti scolastici, o fenomeni di micro-delinquenza sul territorio. L’occhio attento della scuola e della formazione professionale diventa strumento per combattere i comportamenti devianti con modalità che vanno ben oltre il gruppo etnico di riferimento, ma che si basano sull’ascolto e sulla comprensione delle motivazione che stanno a monte del comportamento deviante. Detta così, l’impresa sembra quasi utopica, ma se ci pensiamo bene, la scuola è l’unico vero strumento efficace per contrastare disagio e devianza, in quanto crea il gruppo concentrandosi e focalizzandosi su un interesse “sano” e spesso gratificante. Per ora gli insegnanti che si confrontano con questo tipo di problematiche sono per lo più volontari, professionisti che accettano le sfide di una società che cambia, ma in un futuro molto vicino e visto l’aumento di queste utenze non si potrà più scegliere, e sarà necessario mettere in campo tutte le competenze e tutte le risorse a nostra disposizione. Cesare Rosso