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TESTIMONE testimòne [ testi'mɔne ] s.m . e f., s.m . 1 sm [in senso propro ] la persona che assiste a un fatto, o ne è a diretta conoscenza 2 sm [in senso figurato] la persona chiamata a comprovare la validità di una tesi; tutto ciò che attesta l'esistenza di qualcosa
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TESTIMONE testimòne [testi'mɔne]s.m. e f., s.m. 1 sm[in senso propro] la persona che assiste a un fatto, o ne è a diretta conoscenza 2 sm[in senso figurato] la persona chiamata a comprovare la validità di una tesi; tutto ciò che attesta l'esistenza di qualcosa 3 sm{diritto} la persona chiamata in un processo per rivelare o esporre fatti a scopo dl prova 4 sm{diritto} la persona che assiste alla stesura di un atto pubblico e lo sottoscrive AFFIDABILE che dà affidamento che dà buone garanzie attendibile credibile Seminario interdisciplinare«Testimoni affidabili del ‘900»
La difficile definizione di un genere Intervista a Primo Levi ex deportato «Nel campo avevo un quaderno, non più di venti righe. Avevo troppa paura, il fatto stesso di scrivere era sospetto. Non erano appunti, era la voglia di tenere appunti, tanto sapevo che non avrei potuto conservare nulla. Se non nella memoria». “Quello che ho scritto in Se questo è un uomo non era uno scritto nel senso comune del termine cioè non si riprometteva successo letterario”. La testimonianza di Levi come documento di storia Di Federico Cereja «Ogni problema sollevato dagli storici revisionisti, ogni contestazione sul lager si svuota e non è sostenibile, si scontra con l’esistenza di una serie di testimonianze che sono documentazioni storiche, certamente da vagliare, come ogni documento, ma che esistono e non sono eludibili. […] Levi non volle mai presentarsi come storico, il suo ruolo è diverso, è quello del testimone che risponde a domande»
Autobiografia: Ricordi di fatti privati, non espropriabili; valore indagativo di una esperienza individuale; finalità di opera letteraria. Testimonianza Ricordi di fatti pubblici, da condividere; valore ricostruttivo di una esperienza collettiva; finalità di documento storico. Autobiografia versus Testimonianza
Tre tipologie di testimoni -Testimoni di primo grado Testimone oculare Ha il senso di una storia che finisce con lui. La testimonianza è vista come un tentativo di sistematizzazione di un patrimonio di conoscenze. Sopravvissuto Ha bisogno di confrontarsi con ciò che rimane della sua vicenda. La testimonianza è vista come condizione necessaria per la costruzione di una memoria pubblica. -Testimoni di secondo grado Figlio di un sopravvissuto Ha il problema di essere investito di una eredità pesante nell’età della post-memoria. La testimonianza come forma di gestione di un difficile passato familiare. La memoria come atto selettivo - Tre nodi problematici Cosa e come si memorizza Tre sono i principali problemi della memoria: la sua insufficienza: meccanismi di logoramento e di rimozione; la inconsapevole idealizzazione del passato: un ricordo troppo spesso rievocato rischia di fissarsi in uno stereotipo; la credibilità dei testimoni Se si memorizza Cosa rimarrà dopo l’ultimo testimone? La testimonianza della Shoahcome comunicazione di memoria
Tre nodi problematici 1) Cosa è stato il lager (prevalenza del dato rievocativo-descrittivo) 2) Come essere testimone (prevalenza del dato riflessivo) 3) Necessità testimoniare (prevalenza del dato etico) Primo Levi: testimone affidabile del ‘900.
Come essere testimoneNe pas chercher à comprendre Obiettivi dichiarati da Levi: • «fornire dei dati»; • rispondere in modo «completo» e «veridico»; • usare un «tono grave»; • prediligere un «linguaggio oggettivo» e «conciso»; • «Il fatto di essere io stato coinvolto non mi fornisce gli strumenti specifici di spiegazione. Io posso fornire dei dati ma il perché no». Intervista a P. Levi ex deportato. • Levi dice di voler fare una testimonianza «quasi di taglio giuridico (una deposizione di fronte a un tribunale); nella mia intenzione doveva essere un atto di accusa». Intervista a P. Levi ex deportato. • “Ho sviluppato l’abitudine a scrivere compatto, a evitare il superfluo. La precisione e la concisione che, a quanto mi si dice, sono il mio modo di scrivere, mi sono venute dal mestiere di chimico. Come anche l’abitudine all’obiettività, a non lasciarsi ingannare facilmente dalle apparenze». Dialogo tra P. Levi e T. Regge
Il timore di non essere creduti « Molte SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: ‘[…] nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà’ […] questo stesso pensiero affiorava in forma di sogno». Prefazione ai Sommersi e i salvati. «Qui c’è mia sorella, e qualche mio amico non precisato, e molta altra gente. Tutti mi stanno ascoltando, e io sto raccontando proprio questo: il fischio su tre note, il letto duro, il mio vicino che io vorrei spostare ma ho paura di svegliarlo perché è più forte di me. Racconto anche diffusamente della nostra fame, e del controllo dei pidocchi, e del Kapo che mi ha percosso sul naso e poi mi ha mandato a lavarmi perché sanguinavo. È un godimento intenso, fisico, inesprimibile, essere nella mia casa fra persone amiche, e avere tante cose da raccontare: ma non posso non accorgermi che i miei ascoltatori non mi seguono. Anzi, essi sono del tutto indifferenti: parlano confusamente d’altro fra di loro, come se io non ci fossi. Mia sorella mi guarda, si alza e se ne va senza far parola. Allora nasce in me una pena desolata, come certi dolori della prima infanzia: è dolore allo stato puro […]. Se questo è un uomo L’incubo diventa realtà: tra incredulità e mistificazione «Qui il treno si arrestò e io scesi sulla banchina […]. Forse ero fra i primi vestiti da zebra a comparire in quel luogo detto Trzebinia: mi trovai subito al centro di un fitto cerchio di curiosi, che mi interrogavano volubilmente in polacco. Risposi del mio meglio in tedesco e di mezzo al gruppetto di operai e contadini si fece avanti un borghese, in cappello di feltro con occhiali e una busta di cuoio in mano, un avvocato.[…] Possedeva tutti i requisiti perché io finalmente dopo il lunghissimo anno di schiavitù e di silenzio, ravvisassi in lui il messaggero. Avevo una valanga di cose urgenti da raccontare al mondo civile: cose mie ma di tutti, cose di sangue, cose che, mi pareva, avrebbero dovuto scuotere ogni coscienza dalle sue fondamenta.[…] L’avvocato traduceva in polacco in favore del pubblico. Ora io non conosco il polacco ma so come si dice ‘ebreo’ e ‘politico’ e mi accorsi che la traduzione del mio resoconto, benché partecipe, non fosse fedele. L’avvocato mi descriveva al pubblico non come un ebreo italiano ma un prigioniero politico italiano.[…] I miei ascoltatori se ne andavano alla spicciolata […] qualcosa del genere avevo sognato, tutti avevamo sognato, nelle notti di Auschwitz: di parlare e di non essere ascoltati, di ritrovare la libertà e di restare soli». La tregua La necessità di testimoniarela testimonianza come «imperativo categorico»
La testimonianza come «impulso immediato e violento» Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case; Voi che trovate tornando la sera Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo Che lavora nel fango Che non conosce la pace Che lotta per mezzo pane Che muore per un sì e per un no Considerate se questa è una donna, Senza capelli e senza nome Senza più forza di ricordare Vuoti gli occhi e freddo il grembo Come una rana d'inverno: Meditate che questo è stato: Vi comando queste parole: Scolpitele nel vostro cuore Stando in casa andando per via, Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli: O vi si sfaccia la casa, La malattia vi impedisca, I vostri cari torcano il viso da voi.